L’IVA nelle operazioni accessorie

La corretta gestione dell’IVA sulle prestazioni accessorie a quella principale potrebbe far sorgere dubbi applicativi agli operatori. In questo articolo analizziamo la disciplina di riferimento per il rapporto di accessorietà, anche con rimandi alla normativa comunitaria, con esempi pratici.

IVA nelle prestazioni accessorie: premessa

iva prestazioni accessorieCome stabilito dall’art. 1, § 2 della Direttiva n. 2006/112/CE:

Il principio del sistema comune d’IVA consiste nell’applicare ai beni ed ai servizi un’imposta generale sui consumi esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi, qualunque sia il numero delle operazioni intervenute nel processo di produzione e di distribuzione antecedente alla fase d’imposizione”.

Per la normativa comunitaria, quindi, ogni prestazione deve essere considerata in maniera distinta ed indipendente.

Tuttavia, a questa regola di ordine generale è possibile derogare se un’operazione si compone di più elementi.

In una simile evenienza, infatti, occorre determinare quando gli elementi:

  • devono essere trattati separatamente;
  • costituiscono un’unica operazione.

Di seguito, ci occuperemo in maniera dettagliata di quest’ultima ipotesi, focalizzando la nostra attenzione:

  • sul rapporto di accessorietà, ed in particolare di quando una prestazione deve essere considerata distinta, ovvero accessoria alla principale;
     
  • su quelle operazioni che per loro natura risultano collegate al punto tale da formare oggettivamente un’unica prestazione economica.

 

La disciplina di riferimento per il rapporto di accessorietà

In ambito comunitario l’art. 78, § 1, lett. b) della Direttiva n. 2006/112/CE è la disposizione di riferimento del rapporto di accessorietà.

La norma in questione stabilisce, infatti, che nella base imponibile devono essere comprese “b) le spese accessorie, quali le spese di commissione, di imballaggio, di trasporto e di assicurazione addebitate dal fornitore all’acquirente o al destinatario della prestazione”.

Nel diritto interno, invece, il rapporto di accessorietà viene regolamentato dall’art. 12 del DPR n. 633/1972.

Una norma che stabilisce che:

Il trasporto, la posa in opera, l’imballaggio, il confezionamento, la fornitura di recipienti o contenitori e le altre cessioni o prestazioni accessorie ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, effettuati direttamente dal cedente o prestatore ovvero per suo conto e a sue spese, non sono soggetti autonomamente all’imposta nei rapporti fra le parti dell’operazione principale.

Se la cessione o prestazione principale è soggetta all’imposta, i corrispettivi delle cessioni o prestazioni accessorie imponibili concorrono a formarne la base imponibile”.

Dalla ratio delle due norme emerge chiaramente che per non assoggettare autonomamente ad IVA una cessione o una prestazione accessoria è necessario che detta operazione secondaria sia effettuata:

  • nei confronti dello stesso destinatario dell’operazione principale;
     
  • dallo stesso soggetto che effettua l’operazione principale, ovvero da un terzo che agisce per conto e a spese del primo.

Ebbene, pare evidente come né la normativa comunitaria e né la disciplina nazionale chiariscano definitivamente il concetto di operazione accessoria. Definizione di operazione accessoria che, però, può essere ricavato dai lavori preparatori al decreto IVA[1].

 

I presupposti del rapporto di accessorietà

Il rapporto di accessorietà presuppone l’esistenza di un duplice requisito soggettivo, ed oggettivo.

È consolidato a tal riguardo, infatti, l’indirizzo della prassi amministrativa.

Come rilevato dalla Corte di Giustizia Europea nella Causa C-111/05 del 29.5.2007 segnaliamo, inoltre, che, fatta salva l’esistenza di pratiche abusive, per poter individuare l’operazione principale rispetto a quella accessoria occorre, anzitutto, fare riferimento alla volontà delle parti.

Il valore economico delle operazioni, pur costituendo un criterio di valutazione non assume, invece, alcuna rilevanza.

Detto ciò, occorre aggiungere che in presenza di una operazione complessa, costituita da cessioni di beni e da prestazioni di servizi, l’individuazione dell’operazione principale porta a definire ai fini IVA che l’intera operazione sarà qualificata o come una cessione di beni o come una prestazione di servizi.

Da ultimo rileviamo che, sempre sulla stessa questione, la Corte di Giustizia Europea ha anche chiarito che:

l’elemento predominante deve essere determinato basandosi sul punto di vista del consumatore medio… e tenendo conto, nel contesto di una valutazione di insieme, dell’importanza qualitativa e non semplicemente quantitativa degli elementi di prestazione di servizi rispetto a quelli rientranti in una cessione di beni[2].

 

Il presupposto soggettivo del rapporto di accessorietà

In base al requisito soggettivo l’operazione principale e quella accessoria devono essere realizzate dagli stessi soggetti.

A tal riguardo l’art. 12 comma 1 del DPR n. 633/1972 prevede, infatti, che le prestazioni accessorie devono essere effettuate “direttamente dal cedente o prestatore ovvero per suo conto e a sue spese”.

Di seguito l’analisi di alcuni casi.

 

Caso 1 – Trasporto dei beni ad opera di un vettore incaricato dal cedente

A norma dell’art. 12 del DPR n. 633/1972, quando il trasporto è effettuato da un terzo vettore “per conto e a spese del cedente”:

  • il carattere di accessorietà dell’operazione esiste esclusivamente tra le parti dell’operazione principale, ovvero nel rapporto cedente – cessionario. Di norma, infatti, il cedente riaddebita nella fattura al cessionario il costo del trasporto;
     
  • il vettore assume la qualifica di terzo rispetto ai soggetti dell’operazione principale.

Diversamente, nel rapporto cedente – vettore la prestazione di trasporto risulta autonoma.

In forza della vigente normativa, infatti, una prestazione può essere considerata accessoria solo in presenza di due operazioni realizzate da uno stesso soggetto.

Pertanto, nel rapporto cedente – vettore, il trasporto deve essere assoggettato autonomamente in fattura con aliquota del 22%, perché qualificato come “unica prestazione”.

 

Caso 2 – Le visure catastali effettuate nella fase istruttoria di una concessione prestiti

Ipotizziamo che una banca nella fase istruttoria, relativa ad una concessione prestiti, dia mandato ad una società di effettuare delle visure ipocatastali.

Ci si chiede se dette operazioni possano essere non assoggettabili ad IVA perché:

  • relative ad operazioni creditizie e finanziarie, che di fatto risultano esenti a norma dell’art. 10, comma 1 del DPR n. 633/1972[3];
     
  • qualificate come accessorie rispetto alle principali operazioni creditizie e finanziarie.

Ordunque, nella nostra fattispecie l’esecuzione delle visure ipocatastali, pur risultando un’attività strumentale al fine della concessione del prestito, non presenta le stesse caratteristiche e funzioni delle operazioni di finanziamento effettuate dalla banca.

Pertanto, detta attività sicuramente non può rientrare nel regime di esenzione delle operazioni creditizie e finanziarie, di cui all’art. 10, comma 1 del DPR n. 633/1972[4].

Resta da stabilire adesso se l’esecuzione delle visure ipocatastali possa, invece, essere considerata esente perché accessoria alla concessione del finanziamento.

Diversamente da quanto previsto dall’art. 12 del DPR n. 633/1972, le visure ipocatastali sono, nel nostro esempio, effettuate da un soggetto diverso dal prestatore principale e sono indirizzate non al cessionario, ma bensì al cedente.

A ben vedere, infatti, le visure fanno parte dell’attività interna della banca, propedeutica alla concessione del prestito e non sono oggetto del rapporto contrattuale instaurato tra l’istituto di credito e il cliente.

Per questi motivi l’esecuzione delle visure catastali:

  • non può essere considerata operazione accessoria alla concessione del finanziamento e conseguentemente non è esente IVA;
     
  • è assoggetta ad IVA nella misura del 22%.

 

La normativa comunitaria

Diversamente dalla disciplina interna l’art. 78 della Direttiva n. 2006/112/CE:

  • richiede che le operazioni accessorie siano addebitate dal fornitore al cliente;
     
  • non richiede che le operazioni accessorie siano eseguite direttamente dal fornitore, ovvero per suo conto e a sue spese.

In particolare, dopo aver superato l’iniziale orientamento, che ai fini dell’accessorietà richiedeva la stessa identità soggettiva di chi effettuava l’operazione principale e quella secondaria, la giurisprudenza comunitaria ha affermato che il carattere di accessorietà non viene perso quando la prestazione secondaria viene realizzata da un soggetto diverso da quello che esegue la prestazione principale.

È bene precisare, però, che le sentenze della Corte di Giustizia europea riguardano esclusivamente operazioni esenti IVA. Pertanto, ci si chiede se lo stesso principio possa valere anche nei confronti delle operazioni imponibili.

Se così fosse ci troveremo di fronte a questo paradosso:

  • lo Stato italiano non avendo recepito correttamente la normativa comunitaria non potrebbe richiederne l’applicazione;
     
  • il contribuente potrebbe liberamente scegliere se applicare la normativa nazionale o quella comunitaria.

Pertanto, di fronte ad un potenziale contenzioso il contribuente potrebbe legittimamente applicare la disciplina comunitaria se più vantaggiosa.

Nella sottostante tabella riportiamo alcune delle principali sentenze rese dalla Corte di Giustizia.

Alcune sentenze della Corte di Giustizia sul tema dell’accessorietà
Causa C-392/11 del 22.9.2012 – oneri locativi

Nella sentenza in esame viene chiarito che la locazione di un immobile strumentale e i servizi a esso relativi, cosiddetti “oneri locativi” costituiscono una prestazione unitaria, esente da IVA, anche quando resi da un soggetto diverso dal locatore.

Nel caso di specie:

  • la locazione era stata fatturata in regime di esenzione, perché il locatore non aveva esercitato l’opzione per l’imponibilità, ex art. 137, § 1, lett. d) della Direttiva n. 2006/112/CE;
     
  • il locatario aveva ritenuto che i servizi collegati all’immobile costituissero prestazioni autonome, da assoggettare a imposta.

Diversamente, la Corte di Giustizia UE, tenendo conto dell’aspetto formale, rappresentato dal contenuto del contratto di locazione e dell’aspetto sostanziale, ovvero della ragione economica sottesa alla stipulazione, ha considerato la locazione e i servizi come un’unica prestazione.

Per i giudici europei, infatti, il locatario ha voluto non soltanto ottenere il diritto di occupare l’immobile, ma anche di beneficiare di un insieme di servizi resi dal locatore.

In particolare, i giudici comunitari:

  • hanno chiarito che l’unicità della prestazione discende dal nesso di accessorietà che lega i servizi (prestazioni secondarie) alla locazione (prestazione principale);
     
  • hanno giustificano la loro posizione affermando che i servizi prestati dal locatore non possono avere un fine a sé stante per il locatario medio di locali come quelli di cui trattasi nel procedimento principale, ma costituiscono piuttosto il mezzo per fruire, nelle migliori condizioni, della prestazione principale, cioè della locazione di superfici commerciali.

La stessa Corte di Giustizia prosegue rilevando anche che l’unicità della prestazione, non potrebbe essere esclusa nemmeno nel caso in cui i servizi fossero stati eseguiti da un terzo in luogo del locatore.

Detto ciò, osserviamo come questa conclusione risulti in linea con quanto previsto dall’art. 9, comma 4 della Legge n. 392/1978 (Legge sull’equo canone).

Una disposizione in cui viene stabilito che gli oneri condominiali, se addebitati dal locatore al conduttore, devono intendersi corrispettivi di prestazioni accessorie a quella di locazione.

Rileviamo, infine, che sulla stessa questione, la sentenza relativa alla causa C-572/07 dell’11.6.2009 aveva, invece, escluso il regime di esenzione applicato al servizio di pulizia degli spazi comuni di un edificio concesso in locazione.

In quel caso, però, l’esenzione da imposta del servizio era stata negata sulla base del fatto che i servizi in parola potevano essere forniti con modalità diverse, ovvero:

  • da un terzo che avrebbe potuto fatturare il costo direttamente ai locatari;
     
  • dal proprietario che avrebbe potuto impiegare il proprio personale o avrebbe potuto fa ricorso a un’impresa di pulizie.
Causa C-453/05 del 21.7.2007 – consulenza finalizzata alla concessione di prestiti

Con la sentenza in questione i giudici comunitari hanno stabilito che la prestazione di consulenza, con la quale un soggetto analizza la situazione patrimoniale e finanziaria dei suoi clienti, al fine di far ottenere agli stessi un credito, ha carattere accessorio rispetto all’attività creditizia.

Pertanto, entrambe le operazioni sono esenti da IVA a norma dell’art. 135, § 1, lett. b) della Direttiva n. 2006/112/CE.

Nel caso di specie, una società attraverso l’intermediazione di un suo subagente, che opera come consulente finanziario, ha messo a disposizione dei soggetti privati diversi prodotti finanziari.

Prodotti finanziari per i quali la stessa società ha stabilito in precedenza le condizioni generali con gli istituti di credito.

Il consulente finanziario ricerca i clienti potenziali e, dopo un’analisi della loro situazione patrimoniale e finanziaria, propone agli stessi i prodotti finanziari idonei a soddisfare le loro necessità.

Quando il cliente si dimostra interessato, il consulente predispone una proposta di contratto vincolante che una volta firmata dello stesso cliente, viene trasmessa alla società, la quale ne controlla la regolarità.

Successivamente la società invia la proposta di contratto all’istituto di credito ai fini dell’erogazione del finanziamento.

Se il contratto viene concluso, la società percepisce dall’istituto di credito una commissione e, a sua volta, la società versa al consulente finanziario una provvigione come contropartita per il suo intervento nella conclusione del contratto.

Da parte sua, il cliente non paga alcuna provvigione né alla società, né al consulente finanziario.

Ebbene per la Corte di Giustizia UE, il fatto che le prestazioni fornite dalla DVAG e dal suo subagente siano remunerate dagli istituti di credito nel solo caso in cui i clienti reperiti e consigliati dal consulente finanziario concludano un contratto di credito, porta a ritenere che l’operazione di negoziazione costituisca la prestazione principale, essendo la prestazione di consulenza di natura meramente accessoria.

È innegabile, infatti, che la negoziazione di prodotti finanziari appare come la prestazione decisiva sia per i beneficiari del credito sia per gli istituti che lo elargiscono.

Di fatto, l’attività di consulenza finanziaria si svolge solo in una fase preliminare ed è limitata all’assistenza offerta al cliente nella scelta, fra i diversi prodotti finanziari, di quelli maggiormente appropriati alla sua situazione e alle sue esigenze.

Causa C-76/99 del 11.1.2001 – prelievo di sangue e trasporto dello stesso presso il laboratorio di analisi

Con la sentenza in esame la Corte di Giustizia stabilisce che la prestazione di prelievo e la trasmissione del prelievo a un laboratorio specializzato costituiscono prestazioni strettamente connesse alle analisi.

Di conseguenza, dette prestazioni devono essere assoggettate allo stesso regime delle analisi, ovvero risultano esenti da imposta a norma dell’art. 132, § 1, lett. b) della Direttiva n. 2006/112/CE. Una norma in base alla quale gli Stati membri esentano dall’IVA le operazioni riferite “all’ospedalizzazione e alle cure mediche, nonché alle operazioni a esse strettamente connesse, assicurate da enti di diritto pubblico oppure, a condizioni sociali analoghe a quelle vigenti per i medesimi, da istituti ospedalieri, centri medici e diagnostici e altri istituti della stessa natura e debitamente riconosciuti”.

Nel caso di specie, un paziente che necessita di alcune analisi mediche si reca presso un laboratorio dove viene fatto esclusivamente un prelievo.

Successivamente il prelievo viene trasmesso ad un secondo laboratorio che effettua le analisi, ed emette fattura al paziente in regime di esenzione da IVA, dato che si tratta di prestazione medica.

Ebbene, secondo la Corte di Giustizia la trasmissione del prelievo dal primo al secondo laboratorio, che avviene anch’essa dietro pagamento di un corrispettivo, ha carattere di accessorietà, perché risponde all’esigenza di offrire al paziente la maggiore affidabilità possibile delle analisi cliniche.

Per i giudici comunitari il nesso di accessorietà ricorre sul presupposto che la trasmissione del prelievo si colloca temporalmente tra la fase del prelievo e quella della sua analisi.

Pertanto, la trasmissione risulta strettamente connessa a quest’ultima.

Per la stessa Corte, invece, si deve pervenire ad una diversa conclusione per le operazioni che si posizionano a monte della prestazione sanitaria e che sono, si può dire, propedeutiche alla prestazione stessa, come nel caso della fornitura di attrezzature, macchinari e materiali necessari per lo svolgimento dell’attività sanitaria, per la quale, quindi, l’esenzione non compete.

 

Servizi accessori ai servizi culturali – la posizione dell’Amministrazione Finanziaria

In via del tutto eccezionale l’Ufficio riconosce una lettura più estensiva della locuzione “per suo conto e a sue spese” per i servizi accessori ai servizi culturali, artistici, sportivi, educativi e affini. Prestazioni che fino al 31.12.2010 risultavano assoggettate ad IVA nel luogo in cui venivano materialmente svolte, anche quando rese nei confronti di soggetti passivi.

In particolare, nel documento di prassi n. 37/E/2011 l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che:

“In considerazione dell’attuale formulazione del testo normativo e dell’evoluzione della giurisprudenza comunitaria in materia si deve ritenere che il concetto di accessorietà nell’ambito dei servizi culturali, scientifici e simili (si veda, al riguardo, l’articolo 33 del regolamento) debba essere inteso, con riferimento al profilo soggettivo dell’operazione, in senso più ampio rispetto a quanto in precedenza previsto.

In sostanza, al fine di qualificare una prestazione di servizi come accessoria rispetto a quella principale, pur restando confermata la necessaria strumentalità della prima rispetto alla seconda, è opportuno prescindere dall’identità dei soggetti coinvolti nell’operazione principale e in quella accessoria: come affermato dalla Corte di Giustizia, piuttosto, debbono essere considerate accessorie ad un’attività artistica, scientifica o affine tutte le prestazioni che, senza costituire direttamente una siffatta attività, rappresentano un presupposto necessario della realizzazione dell’attività principale, indipendentemente dalla persona che presta tali servizi (sentenze C-327/94 del 26 settembre 1996 e C-114/05 del 9 marzo 2006)”.

 

La posizione della Suprema Corte

Sempre con riferimento alla questione dell’accessorietà evidenziamo la posizione della Corte di Cassazione che con sentenza n. 351/2019 ha affermato che il nesso di accessorietà tra due operazioni deve essere valutato solo sul piano oggettivo, senza tener conto dell’identità dei soggetti che hanno realizzato rispettivamente l’operazione principale e quella secondaria.

Nel caso di specie i massimi giudici hanno ritenuto che la consulenza a favore del cessionario, resa dalla società che controlla il soggetto che ha ceduto la partecipazione, risulta esente IVA, perché sul piano oggettivo è funzionalmente collegata alla cessione della partecipazione, la cui esenzione è stabilita dall’art. 10, comma 1, n. 4) del DPR n. 633/1972.

Riprendendo le indicazioni della giurisprudenza comunitaria la Suprema Corte ha, quindi, ritenuto irrilevante o tuttalpiù di secondo ordine il profilo soggettivo.

Osserviamo, infine, che in questa situazione, il nesso di accessorietà non può essere invocato nemmeno in ragione della posizione della Corte di Giustizia, che riconosce la possibilità di prendere in considerazione il requisito dell’identità soggettiva quando le prestazioni si collocano in un periodo temporale compreso tra la fase di inizio e quella di conclusione dell’operazione.

Nel nostro caso, infatti, la consulenza è stata resa dopo l’acquisto della partecipazione.

 

Il presupposto oggettivo del rapporto di accessorietà

Come evidenziato più volte dalla Corte di Giustizia[5] il presupposto oggettivo del rapporto di accessorietà richiede che l’operazione secondaria:

  • non abbia un fine a sé stante per la clientela;
     
  • costituisca il mezzo per godere al meglio del servizio principale offerto dal prestatore.

A maggior ragione queste condizioni devono essere soddisfatte quando l’operazione principale e quella secondaria sono connesse a tal punto da costituire “una prestazione economica indissociabile la cui scomposizione avrebbe carattere artificioso”.

Sulla stessa lunghezza d’onda si pone anche l’Amministrazione Finanziaria.

Per l’Ufficio, infatti, il rapporto di accessorietà:

“richiede, allo stesso tempo, la convergenza di tutte le prestazioni nella direzione della realizzazione di un unico obiettivo e un nesso di dipendenza funzionale delle prestazioni accessorie rispetto alla prestazione principale.

In particolare, occorre che le prestazioni accessorie siano effettuate proprio per il fatto che esiste una prestazione principale, in combinazione con la quale possono portare a un determinato risultato perseguito”.

Al fine del riconoscimento del nesso di accessorietà la stessa Amministrazione Finanziaria ritiene, inoltre, che:

una cessione di beni o una prestazione di servizi risulta accessoria a un’operazione principale quando integra, completa e rende possibile quest’ultima.

Non è dunque sufficiente una generica utilità della prestazione accessoria all’attività principale, unitariamente considerata: occorre che la prestazione accessoria formi un tutt’uno con l’operazione principale[6].

In definitiva, sono considerate accessorie soltanto quelle operazioni che:

  • in necessaria connessione con l’operazione principale sono realizzate dallo stesso soggetto o da un terzo per suo conto;
     
  • di norma hanno la funzione di integrare, completare o rendere possibile la prestazione o cessione principale.

 

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***

NOTE

[1] In particolare, nella relazione illustrativa all’art. 12 del DPR n. 633/1972 viene precisato che:

“Questo articolo detta il principio fondamentale per la soluzione degli innumerevoli problemi che possono presentarsi nell’applicazione dell’imposta alle singole operazioni….

La regola è essenzialmente una: accessorium sequitur principale, sicché in tutte le operazioni deve individuarsi qual è il rapporto o il bene principale e quale quello o quelli subordinati.

Questi, nei limiti della subordinazione, seguono le sorti del primo per quanto concerne le norme applicabili, il presupposto, le aliquote ed ogni altro elemento dell’obbligazione tributaria, pur restando per il resto vincolati alle norme che autonomamente li regolano ed alle vicende proprie che possono influire sul nesso di accessorietà.

Per stabilire quale sia il bene o rapporto principale e quale l’accessorio soccorrono i normali criteri giuridici.

Può però verificarsi, anche per motivi extrafiscali, un rovesciamento del rapporto ed in tal caso occorre avere riguardo al valore dei beni o dei servizi.

L’imballaggio, ad esempio, costituisce di regola un accessorio del bene contenuto, ma esso talvolta – e ciò si verifica particolarmente nelle confezioni omaggio – è soltanto un pretesto per fare un dono di elevato valore (cioccolatini in una scatola d’argento antico: bottiglie di liquori in una confezione di pregio; un’orchidea in una scatoletta di porcellana artistica e simili).

È evidente che in questi casi, “principale” è l’imballaggio e non il contenuto. (…)

Per quanto concerne le prestazioni accessorie più frequenti, è da rilevare che le disposizioni indicate… trovano applicazione in materia di traporto soltanto se il cedente trasporta o fa trasportare la merce per suo conto e a sue spese.

In caso contrario, il contratto ha carattere autonomo e la spesa addebitata distintamente al cessionario o committente, purché documentata, non concorre a formare la base imponibile”.

[2] Corte di Giustizia, cause riunite C-497/09, C-499/09, C-501/09 e C-502/09 del 10 marzo 2011.

[3] L’art. 10, comma 1, n. 1 del DPR n. 633/1972 afferma che:

“Sono esenti dall’imposta:

1) le prestazioni di servizi concernenti la concessione e la negoziazione di crediti, la gestione degli stessi da parte dei concedenti e le operazioni di finanziamento; l’assunzione di impegni di natura finanziaria, l’assunzione di fideiussioni e di altre garanzie e la gestione di garanzie di crediti da parte dei concedenti; le dilazioni di pagamento, le operazioni, compresa la negoziazione, relative a depositi di fondi, conti correnti, pagamenti, giroconti, crediti e ad assegni o altri effetti commerciali, ad eccezione del recupero di crediti; la gestione di fondi comuni di investimento e di fondi pensione di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124 , le dilazioni di pagamento e le gestioni similari e il servizio bancoposta”.

[4] Sulla questione la Corte di Giustizia nella sentenza Causa C-2/95 del 5.6.1997 ha chiarito che:

“l’esecuzione delle visure ipocatastali, pur costituendo un’attività strumentale alla valutazione degli affidamenti, è una semplice attività tecnica che non svolge le stesse funzioni specifiche ed essenziali delle operazioni di finanziamento effettuate dalle aziende di credito e non è idonea a modificare direttamente le situazioni giuridiche ed economiche soggettive”.

[5] Sentenze cause riunite C-308/96 e C-94/97 del 22.10.1998, causa C-349/96 del 25.2.1999, causa C-380/99 del 3.7.2001, causa C-251/05 del 6.7.2006.

[6] Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 306/2020.

 

A cura di Alessandro Marcolla

Venerdì 2 aprile 2021

 

Questo intervento è tratto dalla circolare settimanale di CommercialistaTelematico…

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