La cessione di un contratto preliminare di compravendita immobiliare è operazione abbastanza diffusa, che comporta alcune interessanti problematiche fiscali. Ci sono state incertezze, nel passato, per l’inquadramento della fattispecie; in questo articolo facciamo il punto sugli aspetti relativi alle imposte indirette
La cessione di un contratto preliminare di compravendita immobiliare è operazione abbastanza diffusa nella realtà operativa.
Ci sono state incertezze, nel passato, per l’inquadramento della fattispecie.
La R.M. 6/E/2015
L’Amministrazione Finanziaria ha preso una posizione, nel 2015, con la Risoluzione n. 6/E del 19 gennaio 2015, in risposta ad un interpello.
Un contribuente, privato, desiderava conoscere il trattamento tributario della cessione di un contratto preliminare per un corrispettivo maggiore dell’acconto versato in sede di stipula del contratto.
Il richiedente, peraltro con non molta determinazione, suggeriva di non considerare reddito la eventuale differenza di valore tra quanto versato come acconto e quanto ricevuto.
Non essendo la fattispecie riconducibile ad alcuna specifica norma impositrice vigente e non essendo consentita, alcuna interpretazione analogica, per i tributi, ne derivava che l’unica conclusione possibile era quella di non far concorrere l’eccedenza alla formazione del reddito imponibile.
E questo in base al principio di certezza del diritto tributario.
L’Amministrazione Finanziaria ha dapprima osservato come
“il contratto preliminare non ha effetti reali, vale a dire non trasferisce la proprietà del bene, ma produce esclusivamente effetti obbligatori, nel senso che comporta il sorgere di determinati impegni in capo alle parti contraenti”.
Poi ha concluso affermando che tale reddito deve annoverarsi tra i “redditi diversi” ex art. 67 del Tuir, riconducendo l’eventuale eccedenza percepita per il trasferimento del contratto nella categoria indicata alla lettera l), (corrispettivi percepiti per l’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere).
In questo senso, precedentemente, si era pronunciata anche Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna (n. 72 del 20 settembre 2013).
La dottrina
La dottrina ha un po’ trascurato questa problematica: chi sostiene la tesi della non tassabilità [1], muovendo dalla constatazione della mancanza, nell’ambito dell’elencazione residuale, ma esaustiva, del citato art. 67, di una disposizione che in maniera certa e inequivocabile attragga a tassazione la fattispecie in argomento.
In forza del principio di certezza del diritto tributario, che non consente interpretazioni di tipo analogico per coprire eventuali lacune normative sulla tassazione delle manifestazioni di ricchezza, ciò dovrebbe essere sufficiente ad escludere l’imponibilità del corrispettivo in parola.
La stessa dottrina ha osservato come non si possa comunque in alcun modo inquadrare il corrispettivo della predetta cessione fra i redditi di cui al comma primo, lettera b) dell’art. 67, dal momento che, come si è