La corte di Cassazione torna a parlare di deleghe e cassa la delega in bianco

la delega in bianco ad un funzionario è nulla in quanto non rende possibile verificare agevolmente da parte del contribuente se il delegatario abbia il potere di sottoscrivere l’atto impugnato. Ricordiamo che il Fisco, per legge, deve necessariamente indicare il nominativo del delegato, pena la nullità dell’atto

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 12960 del 23.05.2017, è tornata sul tema della legittimità della delega a favore dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate, già incaricati di funzioni dirigenziali.

Nel caso di specie l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 1039/02/2016, depositata in data 24/02/2016, con la quale (in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso per maggiori IRES, IRAP ed IVA dovute in relazione all’anno d’imposta 2006, a seguito di disconoscimento di costi correlati a fatture emesse da una terza impresa in quanto riferite, secondo l’Ufficio, ad operazioni inesistenti) era stata riformata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso della contribuente.

In particolare, i giudici d’appello, nell’accogliere il gravame della contribuente, hanno dichiarato nullo l’atto impositivo in quanto sottoscritto da funzionario della carriera direttiva non specificamente delegato dal Direttore, avendo l’Agenzia delle Entrate prodotto, a fronte della contestazione mossa dalla contribuente, un atto di delega non nominativo ovvero “in bianco”.

L’Amministrazione ricorrente lamentava dunque la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 42 DPR 600/1973, 21-septies, 21-octies e 21-nonies L. 241/1990, non essendo la specificazione del nome del delegato un requisito richiesto a pena di invalidità della delega di firma, e coincidendo, nella specie, il delegato con la persona fisica che ricopriva il ruolo di responsabile dell’articolazione interna al momento della sottoscrizione dell’atto impugnato.

La censura, secondo la Corte, era infondata,

Evidenziano infatti i giudici di legittimità come la stessa Corte (Cass.22803/2015) ha già precisato che “in tema di accertamento tributario, la delega di firma o di funzioni di cui all’art. 42 del D.P.R. n. 600 del 1.973 deve necessariamente indicare il nominativo del delegato, pena la sua nullità, che determina, a sua volta, quella dell’atto impositivo, sicché non può consistere in un ordine di servizio in bianco, che si limiti ad indicare la sola qualifica professionale del delegato senza consentire al contribuente di verificare agevolmente la ricorrenza dei poteri in capo al sottoscrittore”.

La Corte ha dunque ritenuto, nella controversia esaminata, la delega “nulla in quanto, come già rilevato, priva del nominativo del dirigente delegato, non potendo la delega essere fatta ‘per relationem’ con riferimento a un soggetto incerto, ben potendo i capi uffici o capi team al momento della delega non essere più tali al momento della sottoscrizione degli atti impositivi (per trasferimento, pensionamento etc) e non potendo essere sostituiti dei soggetti eventualmente subentranti neanche individuabili al momento del conferimento della delega, a cui non può riconoscersi ultrattività con riferimento a possibili mutamenti di qualifica di soggetti individuati, al momento del conferimento della delega, solo per relationem con riferimento all’incarico ricoperto. La cd delega in bianco, priva del nominativo soggetto delegato deve quindi essere considerata nulla non essendo possibile verificare agevolmente da parte del contribuente se il delegatario avesse il potere di sottoscrivere l’atto impugnato e non essendo ragionevole attribuire al contribuente una tale indagine amministrativa al fine di verificare la legittimità dell’atto”.

Solo in diversi contesti fiscali, evidenziano ancora i giudici nella sentenza ora in commento, quali, ad esempio, la cartella esattoriale (Cass. n. 13461/12), il diniego di condono (Cass. nn. 11458/12 e 220/14), l’avviso di mora (Cass. n. 4283/10), l’attribuzione di rendita (Cass. n. 8248/06), in mancanza di una sanzione espressa, opera la presunzione generale di riferibilità dell’atto all’organo amministrativo titolare de potere nel cui esercizio esso è adottato; mentre, per i tributi locali, è stata ritenuta valida anche la mera firma stampata, ex L. n. 549 del 1995, art. 3, c. 87 (Cass. n. 9627/12).

Occorre, in sostanza, conclude la Corte, sempre una delega nominativa, perché solo in tal modo si radica il rapporto di fiducia tra delegante e delegato.

Bene aveva fatto quindi, secondo la Corte, la C.T.R. ad affermare che, “alla luce dogi atti di causa“, l’Agenzia delle Entrate non aveva dimostrato l’esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore dell’avviso di accertamento o “la presenza della delega dei titolare dell’Ufficio”.

La sentenza mette dunque un altro punto fermo sulla annosa vicenda della legittimità o meno degli atti sottoscritti dai funzionari già illegittimamente incaricati di funzioni dirigenziali, come affermato dalla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 37/15.

E la delega, secondo quanto rilevato dalla stessa Suprema Corte, a parte naturalmente esistere, deve anche rispondere a precisi requisiti perché sia valida.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22810 del 09.11.2015, ha affermato del resto che le cause di nullità degli avvisi di accertamento sono tassative e tra queste non rientra la mancanza della qualifica dirigenziale dei funzionari che abbiano sottoscritto rispettivamente la delega di firma o i predetti avvisi.

L’articolo 42 del Dpr 600/1973, nel precisare i requisiti dell’avviso di accertamento, prevede soltanto che l’atto sia sottoscritto dal capo dell’ufficio, o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato, senza richiedere quindi che il soggetto che firma debba anche rivestire una qualifica dirigenziale.

Questo non è in dubbio ormai.

Analoghi principi e comunque analoghe conclusioni sono state affermate dalla Corte anche con le sentenze 22800 e 22803 dello stesso giorno.

Proprio quest’ultima, richiamata ora anche nella sentenza in commento, ha però specificato, per prima, che la delega non può essere in bianco.

Il contribuente ha infatti il diritto di verificare l’esistenza di una delega e che il delegato sia in possesso dei requisiti professionali che gli permettano di agire per conto dell’Amministrazione.

Per trasparenza e rispetto dei principi dello Statuto del contribuente, come anche concluso dalla Suprema Corte nelle citate sentenze, tale diritto di verifica resta in capo al contribuente, essendo anzi onere dell’Agenzia, laddove contestato, fornire la prova della legittimità, anche formale, della delega, dovendo in essa precisare, oltre alla persona delegata, anche l’oggetto, i limiti temporali della delega e nello specifico gli atti che il delegato dovrà e potrà compiere in sostituzione del delegante.

E allora, per tutti i sopraddetti motivi, i giudici di legittimità hanno rilevato che le questioni dell’esistenza del potere di firma del soggetto preposto e/o della esistenza e della validità della delega conferita all’eventuale soggetto sottoposto possono certamente essere contestate e verificate in sede giurisdizionale tributaria, implicando l’indagine e l’accertamento sul tema un controllo, non sull’organizzazione interna della p.a., ma sulla legittimità dell’esercizio della funzione amministrativa prevista a pena di nullità.

La delega, infatti, deve rispettare i requisiti, le motivazioni e le ragioni giuridiche che hanno determinato la volontà dell’Amministrazione finanziaria, essendo possibile verificarne il contenuto, dove dovrà essere precisato, oltre all’organo e alla persona che prende in carico determinate funzioni, anche l’oggetto, i limiti temporali della delega e nello specifico gli atti che il delegato dovrà e potrà compiere in sostituzione del delegante.

In assenza dunque di idonea prova in ordine all’esercizio del potere sostitutivo (deposito della delega conferita e prova dell’appartenenza del delegato alla carriera direttiva), l’atto potrebbe essere considerato illegittimo (quanto meno per ragioni processuali, valide come quelle sostanziali).

La stessa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 706/17, richiamando anche la pronuncia n. 13126/2016, quanto al primo motivo del ricorso principale, con il quale l’Amministrazione aveva censurato la ritenuta nullità dell’atto impositivo per mancata produzione della delega del direttore al funzionario per la sottoscrizione dell’atto impositivo (eccezione sollevata dalla contribuente non con il ricorso originario, ma solo con le memorie integrative prodotte nel giudizio d’appello), giudicava del resto fondata la doglianza dell’Agenzia in base alle seguenti considerazioni: “La giurisprudenza di questa Corte ha affermato, con indirizzo cui si intende dare continuità, che la nullità dell’avviso di accertamento non è rilevabile d’ufficio e la relativa eccezione, se non formulata nel giudizio di primo grado, è inammissibile qualora venga proposta per la prima volta nei gradi successivi” (Cass. n. 10802 del 2010; Cass. 5 giugno 2002, n. 8114, n. 13087 del 2003).

Se però l’eccezione è stata tempestivamente sollevata la stessa deve essere esaminata.

E del resto nessun dubbio sussiste sul fatto che, a fronte di una tempestiva eccezione in tal senso, l’onere della prova circa la correttezza della delega spetta all’Agenzia delle entrate, dovendo per contro il giudice verificare l’adeguatezza di tale delega.

Pertanto, a fronte di una contestazione nel ricorso del contribuente, “è onere dell’amministrazione fornire prova documentale circa il possesso dei requisiti soggettivi sia del delegante che del delegato” (Cass. sent. n. 22800/2015).

Il difetto di tale dimostrazione, ossia, nel caso in cui l’ufficio taccia sul punto e/o non dimostri documentalmente tali requisiti, comporta la nullità dell’atto impositivo.

Principio questo, in punto di onere della prova, ormai da tempo consolidato (cfr. Cass. n. 14626/2000).

La funzione e la prova in ordine alla delega sarà inoltre tanto più rilevante laddove, invece che di delega di firma si dovesse parlare di delega di funzioni, differenza questa su cui la Corte, nelle sentenze fino ad oggi emanate, non si è ancora compiutamente pronunciata.

La competenza è del resto stabilita per legge, che individua e ripartisce i poteri tra i diversi soggetti, organi e uffici delle pubbliche amministrazioni.

E lo spostamento della competenza si può attuare solo attraverso la delega di funzioni (cosa diversa dalla delega di firma), laddove lo spostamento può avvenire tra due organi dello stesso ente (interorganica), o tra due enti (intersoggettiva).

Mentre dunque la delega di firma è un istituto assimilabile più alla rappresentanza che non alla delega vera e propria, in quanto la firma del funzionario impegna comunque direttamente il titolare originario della funzione, sul quale grava tutta la responsabilità dell’atto emanato, nel caso invece della delega di funzioni la responsabilità dell’atto trasla in toto al delegato, che prende pienamente il posto del delegante, in maniera formale e sostanziale.

26 maggio 2017

Giovambattista Palumbo