Trust autodichiarato e imposta di donazione

l’impatto fiscale sulla costituzione di un trust è argomento discusso, in quanto a volte i trust sono visti come strumento elusivo; secondo la recentissima interpretazione della Corte di Cassazione, la costituzione del trust auto-dichiarato non comporta il trasferimento di beni e, pertanto, non deve essere assoggettato ad imposta di donazione

  1. Premessa

La Corte di Cassazione, con sentenza del 26 ottobre 2016, n. 21614, ha respinto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, che ha impugnato una sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria, favorevole al contribuente, conformemente a quanto sancito anche in primo grado dalla Commissione Tributaria Provinciale di Perugia.

In particolare, da quanto si può leggere nella motivazione, l’Ufficio locale, a seguito della costituzione di un trust cosiddetto auto-dichiarato con conferimento di beni ed individuazione dei beneficiari, avrebbe recuperato nei confronti del notaio rogante le imposte ipotecaria e catastale in misura proporzionale con aliquote, rispettivamente, del 2% e 1%, mentre l’imposta di donazione non sarebbe stata richiesta in quanto rientrante nella c.d. “franchigia”.

 

Le ragioni di tale contestazione si sarebbero basate sul fatto che, secondo gli accertatori, sarebbero da ricondurrebbe all’ambito applicativo dell’imposta di donazione anche i vincoli di destinazione, qual’ è il trust in oggetto.

Secondo l’Ufficio, infatti, l’art. 2, cc. 47 ss., Decreto Legge 3 ottobre 2006 n. 262, convertito con modifiche nella Legge 24 novembre 2006 n. 286, avrebbe reintrodotto nell’ordinamento giuridico l’imposta sulle successioni e donazioni, estendendone l’ambito di applicazione alla costituzione di vincoli di destinazione, ai quali dovrebbe ricondursi anche la costituzione del trust “auto-dichiarato” oggetto della controversia; ciò in quanto, con lo stesso atto, di fatto sarebbero stati conferiti beni a titolo gratuito “al trustee da immettere in trust” con efficacia “segregante”. Conseguentemente, secondo la tesi erariale, i giudici di secondo grado avrebbero errato a ritenere che, anche in considerazione del carattere “auto- dichiarato” del trust in esame, i beni conferiti (quote di partecipazione ed immobili) nello stesso non sarebbero stati realmente trasferiti, in quanto rimasti nella sostanza nella gestione del disponente trustee, con l’ulteriore errata illazione secondo cui le imposte ipotecaria e catastale avrebbero dovuto essere assolte in misura fissa e non proporzionale al valore dei beni immobili.

Tale conclusione, però, non è stata ritenuta corretta dalla Suprema Corte.

 

Prima di soffermarsi sulle motivazioni della sentenza in commento, è opportuno brevemente esporre in cosa consiste l’istituto del trust.

 

  1. La definizione di trust.

Si ricorda che, secondo la Convenzione dell’Aja del 1985, ratificata senza riserve dall’Italia con legge 16 ottobre 1989, n. 364, il trust è un rapporto giuridico che nasce da un atto dispositivo “inter vivos” o “mortis causa”, con cui il soggetto disponente (“settlor”) trasferisce tutti o parte dei suoi beni (“asset”) ad un “trustee”, il quale avrà il compito di amministrarli e gestirli secondo quanto previsto nell’atto istitutivo del trust e nell’interesse di un beneficiario o al fine del raggiungimento di un determinato scopo (“purpose”). Figura egualmente tipica dell’istituto del trust è quella del guardiano (“protector o enforcer”), nominato dal disponente quale supervisore dell’operato del “trustee”, il quale avrà, in particolare, il potere di revocare e sostituire il “trustee” medesimo.

L’effetto principale e connaturato al trust e, più precisamente, al sotteso atto di dotazione dei beni, è il cosiddeto “effetto segregativo” che determina la separazione dei beni conferiti nei confronti, sia del patrimonio del disponente, sia del patrimonio del trustee, con la conseguenza che i medesimi beni non potranno essere oggetto di azioni esecutive e/o cautelari da parte dei creditori, una volta decorso il termine annuale previsto dal nuovo art. 2929-bis c.c., quanto da quelli del “trustee”.

Come segnalato da autorevole dottrina (cfr. Consiglio Nazionale del Notariato, studio n. 305-2015, approvato nella seduta del 12-13 gennaio 2016), la perdurante assenza di una disciplina nazionale ha posto il problema della legittimità del cosiddetto trust “interno”, ovvero del trust in cui tutti gli elementi soggettivi e oggettivi siano legati ad un ordinamento, come quello italiano, che non qualifica lo specifico rapporto come trust.

Tale problematica sembrerebbe essere risolta, almeno in parte, con la legge sul cosiddetto “Dopo di noi” (Legge 22 giugno 2016, n. 112), laddove, per la prima volta, viene disciplinato dal punto di vista civilistico l’istituto del trust.

Fatte queste doverose premesse, è a questo punto possibile analizzare la tesi della Suprema Corte.

 

  1. La tesi della Corte di Cassazione.

La Corte di Cassazione non condivide la tesi dell’Agenzia delle Entrate, secondo la quale gli “effetti segreganti” del trust, anche se “auto-dichiarato”, danno luogo ad un trasferimento dei beni. Infatti, con l’atto di costituzione dell’istituto, non vi sarebbe il trasferimento di ricchezza liberale e, come tale, da tassazione ai fini dell’imposta di donazione. Del resto, tale interpretazione troverebbe conferma in alcuni documenti della stessa amministrazione finanziaria (cfr. Circolari n. 48/E del 6 agosto 2007 e la n. 3/E del 22 gennaio 2008), laddove è stato sostenuto che il trust, in assenza di conferimento, sconterebbe soltanto l’imposta di registro in misura fissa, atteso che, in questo caso, sarebbe mancante qualsiasi trasferimento di ricchezza, con la conseguenza che l’atto di costituzione del trust, non accompagnato da alcun conferimento, non andrebbe assoggettato all’imposta di successione e donazione proprio perché quest’ultima non è un’imposta d’atto e bensì un’imposta che tassa il trasferimento di ricchezza liberale.

Infatti, la costituzione del trust, come è normale che avvenga per “i vincoli di destinazione”, produce soltanto efficacia “segregante” dei beni eventualmente in esso conferiti e questo, sia perché degli stessi il trustee non è proprietario, bensì amministratore, sia perché i ridetti beni non possono che essere trasferiti ai beneficiari in esecuzione del programma negoziale stabilito per la donazione indiretta.

Pertanto, nella fattispecie in esame mancherebbe un reale trasferimento che è invece all’evidenza impossibile, dal momento che sarebbe del tutto contrario al programma negoziale di donazione indiretta per cui è stato predisposto, il quale prevede la temporanea preservazione del patrimonio a mezzo della sua “segregazione” fino al trasferimento vero e proprio a favore dei beneficiari. L’assenza di un reale arricchimento mediante un reale trasferimento di beni e diritti non permetterebbe di considerare verificato il presupposto impositivo della liberalità e, quindi, dell’applicazione dell’imposta di donazione.

Inoltre, la Suprema Corte non condivide la tesi secondo la quale l’art. 2, cc. 47 ss., DL n. 262 cit., abbia istituito un’autonoma generale imposta “sulla costituzione dei vincoli di indisponibilità”, la cui disciplina sarebbe stata indicata “per relationem” nelle regole contenute nel DLgs. del 31 ottobre 1990, n. 346, “concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni”: se questo fosse confermato, si arriverebbe all’errata conclusione che si tratterebbe di un nuovo tributo che prescinderebbe dal trasferimento di ricchezza discendente dal conferimento di beni e che, per tale motivo, troverebbe il suo presupposto impositivo nella semplice costituzione di “vincoli d’indisponibilità”.

Secondo la sentenza in esame, neppure il dato letterale autorizzerebbe una tale conclusione, dal momento che l’unica imposta espressamente istituita è stata la reintrodotta imposta sulle successioni e sulle donazioni, alla quale, per ulteriore espressa disposizione, debbono andare anche assoggettati i “vincoli di destinazione”; con la scontata conseguenza che il presupposto dell’imposta rimane quello stabilito dall’art. 1 DLgs. n. 346 cit., ovvero quello del reale trasferimento di beni o diritti e, quindi, quello del reale arricchimento dei beneficiari.

A parere dei giudici di legittimità, infatti, quella che in verità emerge chiara dall’art. 2, cc. 47 ss., DL n. 262 cit. è la preoccupazione da parte del legislatore di evitare che un’interpretazione restrittiva della istituita nuova legge sulle successioni e donazioni disciplinata mediante richiamo al già abrogato DLgs. n. 346 cit. potesse dar luogo a nessuna imposizione anche in caso di reale trasferimento di beni e diritti ai beneficiari, quando lo stesso fosse stato collocato all’interno di una fattispecie tutto sommato di “recente” introduzione come quella dei “vincoli di destinazione”, e quindi per niente affatto presa in diretta considerazione dal ridetto “vecchio” DLgs. n. 346 cit.. Per la Suprema Corte, pertanto, questa sembrerebbe essere l’interpretazione, non solo logicamente più corretta, ma anche quella che appare essere l’unica costituzionalmente orientata (cfr. art. 53 Cost.).

In forza di tali considerazioni, la sentenza conclude sancendo che l’istituzione di un trust cosiddetto “auto-dichiarato”, con conferimento di immobili e partecipazioni sociali, con durata predeterminata o fino alla morte del disponente-trustee, con beneficiari i discendenti di quest’ultimo, deve scontare l’imposta ipotecaria e quella catastale in misura fissa e non proporzionale. E questo perché la fattispecie si inquadra in quella di una donazione indiretta cui è funzionale la “segregazione”, quale effetto naturale del vincolo di destinazione, da cui non deriva quindi alcun reale trasferimento di beni e arricchimento di persone, trasferimento e arricchimento che dovrà invece realizzarsi a favore dei beneficiari, i quali saranno perciò nel caso successivamente tenuti al pagamento dell’imposta in misura proporzionale.

Tale sentenza è molto interessante, in quanto permette di effettuare delle valutazioni, in termini di tassazione indiretta del trust, diverse e opposte di quelle contenute in altre sentenze della Corte di Cassazione, le quali, al contrario di quella in esame, si sarebbero conformate alla tesi dell’Agenzia delle Entrate.

 

  1. Il Trust e le imposte indirette.

Dal punto di vista dell’imposizione indiretta, il trattamento tributario della segregazione dei beni in un trust è stato oggetto di numerosi contrasti giurisprudenziali.

Infatti, l’oggetto della discussione si basa sulla problematica del momento in cui si possa definire realizzato il presupposto impositivo ed, in particolare, se, all’atto del conferimento dei beni da parte del disponente, siano dovute l’imposta di donazione e le altre imposte indirette in misura proporzionale (registro, ed ipotecarie e catastali, qualora siano presenti dei beni immobili), oppure in misura fissa.

Per quanto riguarda, l’imposta di donazione, secondo alcune pronunce giurisprudenziali della Corte di Cassazione, ogni fonte di costituzione di vincoli di destinazione sarebbe assoggettabile all’imposta di donazione (cfr. Ordinanza della Corte di Cassazione del 4 febbraio 2015, n. 3735/15, Ordinanza della Corte di Cassazione n. 3886 del 25 febbraio 2015, Ordinanza della Corte di Cassazione n. 3737 del 24 febbraio 2015).

La tesi dei giudici di legittimità sarebbe coerente con quanto stabilito dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 3/E del 2008 (par. 5.4.2), la quale ha chiarito che la costituzione di beni in trust rileva, in ogni caso, ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni, indipendentemente dal tipo di trust utilizzato.

Tale affermazione trarrebbe giustificato motivo dalla natura patrimoniale del conferimento in trust, nonché dall’effetto segregativo che esso produce sui beni conferiti indipendentemente dal trasferimento formale della proprietà e, da ultimo, dal complessivo trattamento fiscale del trust che escluderebbe dalla tassazione il trasferimento dei beni a favore dei beneficiari.

La Cassazione, con le pronunce in commento, è giunta sostanzialmente alle medesime conclusioni, seppur attraverso un percorso ermeneutico differente.

In particolare, avrebbe preso le mosse dall’art. 2, c. 47, del D.L. n. 262/2006, che ha introdotto “l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni” del D.Lgs. n. 346/1990 (vecchio testo unico dell’imposta sulle successioni e donazioni).

Pertanto, stante il dato normativo letterale poc’anzi riportato, il legislatore avrebbe introdotto, accanto all’imposta sulle successioni e donazioni, una nuova fattispecie impositiva sulla costituzione di vincoli di destinazione, che, peraltro, a differenza dell’imposta su successioni e donazioni, prima non esisteva nell’ordinamento e colpisce soltanto la costituzione del vincolo di destinazione, a prescindere dall’esistenza di qualsivoglia trasferimento.

Di diverso avviso, invece, è parte della giurisprudenza di merito, (cfr. CTP di Latina del 14 maggio 2015, n. 716), la quale ha stabilito che, contrariamente a quanto affermato dalla Suprema Corte con le pronunce sopracitate, l’imposta di donazione non è dovuta all’atto di passaggio dei beni dal disponente al trustee, così come le altre imposte indirette sono da applicare in misura fissa. Neppure nei trust con finalità liquidatorie1, si ravviserebbe un vincolo di destinazione tassabile con l’imposta sulle donazioni, dal momento che il beneficiario sarebbe titolare di una mera aspettativa giuridica che non gli consente, al momento della istituzione del vincolo, di conseguire la titolarità di beni e diritti segregati. Pertanto, mancherebbe quell’indice di sopravvenuto arricchimento tassabile, espressione di effettiva e attuale capacità contributiva, quale presupposto dell’applicabilità dell’imposta (cfr. CTR della Lombardia, sezione di Milano, del 13 maggio 2016, n. 2845). Contra, invece, altri giudici di merito (cfr. la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia del 9 dicembre 2015, n. 5278/7/15).

E’ necessario a questo punto rilevare che la Corte di Cassazione, con la sentenza del 18 dicembre 2015, n. 25478 successiva a quelle sopra citate, ha sancito l’inapplicabilità delle imposte sui trasferimenti in misura proporzionale (nel caso della causa, si trattava di quella di registro) al momento del conferimento dei beni in trust, in quanto, fino al momento del loro passaggio ai beneficiari, non si verificherebbe alcun arricchimento da sottoporre a tassazione.

Pur occupandosi di una vicenda sorta precedentemente all’entrata in vigore del D.L. 262/2006, la stessa pronuncia potrebbe rappresentare un ripensamento da parte della Suprema Corte nel ritenere corretto di non applicare l’imposta di donazione al momento del trasferimento dei beni in trust.

In ogni caso, al fine di stabilire l’aliquota, che varia dal 4% all’8%, e la franchigia dell’imposta di donazione, è necessario verificare il rapporto di parentela tra affidante e beneficiario.

Si ricorda, però, che, in applicazione del comma 4-ter dell’articolo 3 del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, la costituzione del vincolo di destinazione in un trust disposto a favore dei discendenti del settlor non è soggetto all’imposta qualora abbia ad oggetto aziende o rami di esse, quote sociali o azioni, purché siano soddisfatte le condizioni prescritte dal predetto art. 3, c. 4-ter (cfr. Circolare dell’Agenzia delle Entrate del 6 agosto 2007, n. 48).

Recentemente la Suprema Corte (con la sentenza del 7 marzo 2016, n. 4482) si è espressa in merito alla tassazione indiretta di un trust, conformandosi all’indirizzo giurisprudenziale, che sancisce l’applicazione dell’imposta donazione dell’8% per (quasi) tutti i vincoli di destinazione.

Rispetto alle precedenti pronunce, è stato però stabilito che l’istituzione di vincoli per cui è prevista una specifica disciplina o mirati a effetti espressamente approvati dal legislatore (quale la definizione dei rapporti delle imprese in crisi) potrebbero non ricadere nell’applicazione della relativa imposta.

 

  1. Conclusioni

I principi stabiliti dalla sentenza della Corte di Cassazione in commento sono condivisibili, in quanto l’imposta di donazione dovrebbe essere applicata solo in quei casi in cui, con il vincolo di destinazione, si manifesta l’arricchimento di un beneficiario che ha ricevuto da un determinato soggetto determinati beni per effetto di uno spostamento patrimoniale motivato da intenti liberali o a seguito di atti gratuiti.

Qualora il vincolo di destinazione ottenuto con il trust non comporti questo, la tassazione non potrebbe avvenire, considerato che il mero effetto segregativo non manifesta di per sé alcuna maggiore capacità contributiva concreta ed attuale, ex art.53 Cost., nè in capo al disponente, nè rispetto ai beneficiari.

Anzi, in molti casi, l’istituzione di un vincolo di destinazione non comporta arricchimento, ma al contrario, limitando la libera disponibilità dei beni, è indicativo di un impoverimento.

Come riportato nelle motivazioni della sentenza in esame, non convince neppure la tesi secondo la quale i vincoli di destinazione sarebbero colpiti da una nuova imposta statuita dall’art. 2, c. 47, del D.L. n. 262 del 2006, la quale, al contrario, avrebbe di fatto introdotto esplicitamente l’istituzione della sola imposta delle successioni e delle donazioni.

Per l’introduzione di una nuova imposta, come previsto dall’art. 23 Cost., sarebbe servita una specifica legge che disciplini alcuni elementi fondamentali, quali, possono essere i soggetti passivi a cui applicarla, la base imponibile, le aliquote, la territorialità, e altro.

Inoltre, come rilevato da autorevole dottrina, se l’imposta sui vincoli di destinazione fosse autonoma rispetto a quella sulle successioni e donazioni, si applicherebbero due distinti tributi ciascuno dei quali connotato da un peculiare presupposto: l’istituzione del vincolo (che darà tendenzialmente luogo a un “impoverimento” per chi lo istituisce, cioè quantomeno a una diminuita possibilità di utilizzo dei beni assoggettati al vincolo), e il trasferimento gratuito rilevante quale “arricchimento” per il beneficiario della liberalità. Conseguentemente, un bene sottoposto a vincolo (ad esempio segregato in un trust successorio), e in un secondo tempo trasferito ai beneficiari finali, sconterà due diverse imposte: l’una avente un presupposto connotato “oggettivamente” (la ricchezza sottoposta a vincolo), l’altra un arricchimento riferito a una determinata sfera “soggettiva” (quella del beneficiario della liberalità)2.

Infine, si ricorda che, con la legge del “Dopo di noi”, è stata introdotta un’esenzione dall’imposta di donazione per il conferimento di beni in un trust istituiti a favore di persone con disabilità gravi. Tale esenzione è anche prevista per il trasferimento dei beni ai soggetti che hanno istituito il trust, nel caso di premorienza del beneficiario rispetto agli stessi disponenti; al contrario, qualora vi sia la morte del disabile e i beneficiari del ri-trasferimento non siano i disponenti, è stata prevista l’applicazione dell’imposta di donazione, tenendo conto, per l’applicazione delle aliquote e delle franchigie, del rapporto di parentela o coniugio intercorrente tra disponente e destinatari del patrimonio residuo (così art. 6 della legge 22 giugno 2016 n. 112).

L’introduzione di tale norma potrebbe dimostrare come l’intento del legislatore sia quello, da un lato, di esentare da imposta di donazione i vincoli di destinazione meritevoli di tutela; dall’altro lato, invece, essendo stata prevista la relativa tassazione solamente in caso di “ri-trasferimento” dei beni a soggetti diversi dai disponenti, ciò confermerebbe come l’imposta di donazione si applichi solamente a quegli atti che comportano un arricchimento effettivo in capo al “dante causa” ed esclusivamente in quel momento.

14 novembre 2016

Fabio Gallio

 

NOTE

1 Relativamente alla possibilità di utilizzare in ambito liquidatorio l’istituto del trust si rinvia al Consiglio Nazionale del Notariato, con lo studio n. 305-2015, “Trust liquidatorio e trust a supporto di procedure concorsuali”, approvato nella seduta del 12-13 gennaio 2016.

2 Così D. Stevanato, “Riconfermata la ‘nuova imposta’ sui vincoli di destinazione – Imposte indirette – Imposta sui vincoli di destinazione e giudice-legislatore: errare è umano, perseverare diabolico”, in GT, n. 5/2016, pag. 396.