Il rinnovo dell'incarico del collegio sindacale

analisi dei termini, degli obblighi e delle tempistiche con cui gestire il rinnovo degli incarichi ai membri del collegio sindacale

1. CESSAZIONE DALL’UFFICIO

Le cause di cessazione dei sindaci sono:

  • La scadenza dell’incarico;

  • La decadenza;

  • La revoca da parte della società;

  • La rinuncia;

  • La variazione nel sistema di amm/ne e di controllo;

  • Il decesso;

  • Altre cause previste da norme di legge o regolamenti.

Il termine di durata della carica è inderogabile per l’esigenza del rispetto dei principi autonomia e indipendenza dell’organo di controllo rispetto agli amm.ri e alla maggioranza dei soci e per l’esigenza di continuità nell’esercizio delle sue funzioni (rafforzata dal principio della c.d. Prorogatio).

2. REGOLA DELLA C.D. “PROROGATIO”.

Secondo l’art.2400, 1^ c., c.c.(Nomina e cessazione dall’ufficio),

I sindaci sono nominati per la prima volta nell’atto costitutivo e successivamente dall’assemblea, salvo il disposto degli articoli 2458 e 2459. Essi restano in carica per un triennio, e non possono essere revocati se non per giusta causa”.

L’art. 2400 c.c. stabilisce che i membri del collegio sindacale, nominati per la prima volta nell’atto costitutivo e poi dall’assemblea, restino in carica per tre esercizi e scadano alla data dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio riguardante il terzo esercizio della carica.

Con l’assemblea convocata per l’approvazione del progetto di bilancio i soci potrebbero essere chiamati anche a deliberare la nomina o il rinnovo dell’organo di controllo. Infatti, è con l’assemblea di approvazione del bilancio d’esercizio che viene rinnovato il collegio sindacale sia per scadenza del mandato che per altre cause di cessazione previste da norme di legge, statutarie o regolamentari.

Ciò vale sia per i sindaci effettivi sia per quelli supplenti, i quali, se nominati poi al posto di quelli effettivi, rimangono in carica fino alla prima assemblea successiva al loro insediamento, con durata dell’incarico quindi inferiore ai tre anni.

I sindaci rimangono in carica per tre esercizi e scadono alla data dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio concernente il terzo esercizio della carica, salvo che si verifichi una causa di cessazione anticipata.

La cessazione dei sindaci per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il collegio è stato ricostituito. Così, i sindaci rimangono in carica fino all’accettazione dei nuovi sindaci: regola della c.d. prorogatiosecondo la quale i sindaci nonostante la scadenza dell’incarico, rimangono in carica fino all’avvenuta sostituzione.

L’istituto della prorogatio ha il suo fondamento nell’impedire che la società rimanga sprovvista, seppur temporaneamente, dell’organo di controllo rispettando l’esigenza di continuità del collegio nell’esercizio delle sue funzioni.

Con la Riforma del diritto societario è stata mutata la disciplina della cessazione dall’incarico dei sindaci per scadenza del termine finale del loro incarico, stabilendo appunto che la stessa “ha effetto dal momento in cui il collegio è stato ricostituito” (art. 2400, 1° comma, ultimo periodo), non disponendo nulla sulle altre diverse ipotesi di cessazione (morte, rinunzia, decadenza).

Si evidenzia che la regola della c.d. prorogatio è valida soltanto per la scadenza dell’incarico.

Invece, le ipotesi di cessazione connessa a eventi imprevedibili (morte), la decadenza e la rinuncia all’incarico, hanno efficacia immediata e comportano la necessità di sostituire immediatamente il sindaco con i sindaci supplenti.

Lo stesso principio è ripetuto dalle norme di comportamento del collegio sindacale (norma 1.6) emanate dal C.N.D.C.E.C. in base al quale

l’istituto della prorogatio assume carattere eccezionale e, in quanto tale non suscettibile di estensione a presupposti diversi da quelli contemplati dalla legge, con riferimento ai quali l’obbligatoria permanenza in carica in regime di proroga da parte del sindaco, ad esempio rinunziante, rappresenterebbe una restrizione del proprio diritto alle dimissioni.

Infatti, le stesse norme prevedono che, da un lato, la rinuncia è qualificata come un atto unilaterale recettizio, destinato quindi a produrre i propri effetti dal momento in cui è ricevuto dal destinatario dello stesso, dall’altro il diritto a porre termine ante tempus al rapporto con la società, riconosciuto al sindaco dalla disposizione di cui all’articolo 2401 c.c. (rinuncia o decadenza), si inserisce nell’alveo dei criteri enunciati dal Codice Civile a garanzia della libera disponibilità del recesso dall’incarico assunto, salva poi la responsabilità del rinunziante per i danni eventualmente causati dal recesso.

Secondo questo principio è sempre possibile per uno o per tutti i sindaci, in regime di prorogatio per scadenza del termine, rinunciare alla carica, rendendo quindi immediatamente efficace la propria cessazione.

Si evidenzia che diverso è il caso di rinuncia da parte di un membro, che non comporti la completa assenza dell’organo di controllo, ma la necessità di sostituire immediatamente il sindaco ove possibile con il subingresso di sindaci supplenti; in difetto gli amministratori devono provvedere tempestivamente a convocare l’assemblea dei soci affinché integri il collegio.

In merito quindi il collegio, nello svolgimento delle sue funzioni di controllo sulla conformità alla legge e allo statuto delle formalità di convocazione dell’assemblea dei soci, in considerazione della consapevolezza della futura scadenza in occasione dell’approvazione del progetto di bilancio, dovrebbe preventivamente verificare che la lettera di convocazione predisposta dall’organo amministrativo per l’assemblea dei soci contempli nell’ordine del giorno la delibera per il rinnovo dell’organo di controllo.

In caso d’inerzia degli amministratori, il collegio deve provvedere quanto prima alla convocazione dell’assemblea dei soci ai sensi dell’art.2406 c.c., recante quale ordine del giorno: “nomina dell’organo di controllo”.

Secondo l’art.2406 c.c.(Omissioni degli amministratori),

Il collegio sindacale deve convocare l’assemblea ed eseguire le pubblicazioni prescritte dalla legge in caso di omissione da parte degli amministratori”.

Secondo l’art.2409 c.c. (Denunzia al tribunale),

Se vi e’ fondato sospetto di gravi irregolarita’ nell’adempimento dei doveri degli amministratori e dei sindaci, i soci che rappresentano il decimo del capitale sociale possono denunziare i fatti al tribunale.

Il tribunale, sentiti in camera di consiglio gli amministratori e i sindaci, puo’ ordinare l’ispezione dell’amministrazione della societa’ a spese dei soci richiedenti, subordinandola, se del caso, alla prestazione di una cauzione.

Se le irregolarita’ denunziate sussistono, il tribunale puo’ disporre gli opportuni provvedimenti cautelari e convocare l’assemblea per le conseguenti deliberazioni. Nei casi piu’ gravi puo’ revocare gli amministratori ed i sindaci e nominare un amministratore giudiziario, determinandone i poteri e la durata.

L’amministratore giudiziario puo’ proporre l’azione di responsabilita’ contro gli amministratori e i sindaci.

Prima della scadenza del suo incarico l’amministratore giudiziario convoca e presiede l’assemblea per la nomina dei nuovi amministratori e sindaci o per proporre, se del caso, la messa in liquidazione della societa’.

I provvedimenti previsti da questo articolo possono essere adottati anche su richiesta del pubblico ministero, e in questo caso le spese per l’ispezione sono a carico della società”.

Se l’assemblea non procede alla nomina dei nuovi sindaci, ad esempio per la mancata reperibilità di professionisti disposti ad accettare l’incarico, il collegio ha la possibilità di presentare un’istanza al Tribunale al fine di accertare l’impossibilità di funzionamento e la continua inattività dell’assemblea che costituiscono causa di scioglimento ex art. 2484. In caso d’inadempienza i sindaci sono responsabili per illecito amministrativo ex art.2631 c.c..

In materia di revisione legale dei conti si evidenzia che l’incarico ha la durata di tre esercizi, con scadenza alla data dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio relativo al terzo esercizio dell’incarico (art. 13 del D.Lgs 39/2010), ma viene introdotto un concetto limitato di prorogatio del revisore legale che non sia immediatamente sostituito, in caso di dimissioni o di risoluzione consensuale, per un periodo comunque non superiore a 6 mesi.

Secondo l’art.13, d.lgs. 39/2010 (Conferimento, revoca e dimissioni dall’incarico, risoluzione del contratto),

2. L’incarico ha la durata di tre esercizi, con scadenza alla data dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio relativo al terzo esercizio dell’incarico…

6. In caso di dimissioni o risoluzione consensuale del contratto, le funzioni di revisione legale continuano a essere esercitate dal medesimo revisore legale o societa’ di revisione legale fino a quando la deliberazione di conferimento del nuovo incarico non e’ divenuta efficace e, comunque, non oltre sei mesi dalla data delle dimissioni o della risoluzione del contratto.

Si evidenzia come la cessazione dall’incarico, al pari della nomina, deve essere iscritta a cura degli amministratori, nel Registro delle Imprese nel termine di 30 giorni.

3. CONSEGUENZE DELLA MANCATA COSTITUZIONE (ab origine o ricostituzione) DEL COLLEGIO SINDACALE IN CAPO ALLA SOCIETA’.

Si evidenzia che non esiste una disposizione che sanziona esplicitamente la mancata istituzione dell’organo di controllo (In tal senso cfr. V.Salafia, sub art.2477 in Codice commentato delle società a cura di G. Bonfante – D.Corapi – L. De Angelis – V. Napoleoni – R. Rordorf – V. Salafia, Milano, 2011, p.1682 e ss.; A. Righini, Violazione dell’obbligo istituzione collegio sindacale nelle società di capitali. Conseguenze ed effetti, in riv. Dott. Comm. 2010, p.115 e ss.).

Tuttavia, attraverso un’attenta analisi di tipo sistematico appare possibile rintracciare nell’ordinamento le conseguenze derivanti da siffatta violazione.

In particolare, esse devono distinguersi tra:

  1. quelle che riguardano la costituzione ed il funzionamento della società,

  2. e quelle che ricadono sugli atti posti in essere dagli organi sociali.

In ogni caso, laddove l’omissione fosse prolungata nel tempo e non fosse sanata in tempi ragionevoli (quantomeno fino all’approvazione del primo bilancio d’esercizio), ciò paleserebbe l’impossibilità dell’organo assembleare di procedere con la apposita delibera di nomina; pertanto, potrebbe essere integrata la causa di scioglimento della società espressamente prevista dall’art.2484, 1^ C., lettera c), c.c. (specificamente, quella della “impossibilità di funzionamento dell’assemblea”).

Pertanto, il rimedio, l’ “antidoto” già previsto nel corpus legislativo contro la prolungata mancata istituzione (o ricostituzione) del collegio appare essere quello della messa in liquidazione, i cui effetti si producono a partire dall’iscrizione presso il Registro delle Imprese della dichiarazione da parte degli amministratori con cui si accerta la causa.

In tal senso, sembra autorevolmente orientato anche il Consiglio nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, documento 15.04.2009, (“la disciplina della nomina obbligatoria del collegio sindacale nelle s.r.l. alla luce del nuovo disposto dell’art. 2435-bis c.c.”), secondo cui, par. 4:

Infine, un quesito particolarmente delicato è rappresentato dall’ipotesi in cui, nonostante il superamento dei limiti quantitativi previsti dalla legge, l’assemblea dei soci non provveda – per incapacità della stessa o per non reperibilità dei sindaci disposti ad accettare l’incarico – a nominare il collegio sindacale. Considerato che l’ordinamento societario non prevede per questa fattispecie alcuna specifica sanzione e in applicazione dei principi generali del diritto societario, sembra corretto ritenere che la prolungata omissione dell’assemblea nel nominare il collegio sindacale (obbligatorio) dia luogo ad una causa di scioglimento della società ai sensi dell’art. 2484, n. 3, c.c. (scioglimento «per l’impossibilità di funzionamento o per la continuata inattività dell’assemblea»).

Nello stesso senso sembra tendere anche la Massima I.D. 3 della Commissione Societaria Notariato Triveneto, che sempre con riferimento alle S.r.l. enuncia che

qualora l’organo di controllo diventi incompleto e non sia possibile ricostituirlo integralmente, per incapacità dell’assemblea o per non reperibilità di sindaci disposti ad accettare l’incarico, la società si scioglie”.

Se da un punto di vista teorico la soluzione appare piana, dal punto di vista concreto essa è più problematica in quanto è probabile che – soprattutto nelle società di più modeste dimensioni – vi sia la comune volontà dei vari organi sociali nel non costituire l’organo.

In tal caso, gli amministratori si espongono a significative responsabilità in quanto, oltre ad essere responsabili “per i danni subiti dalla società, dai soci, dai creditori sociali e dai terzi” derivanti dall’omesso o ritardato accertamento della causa di scioglimento, gli stessi subiscono una notevole limitazione al loro potere gestionale; esso sarà infatti limitato “ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale”, con la conseguenza che laddove la prosecuzione dell’ordinaria gestione arrechi un danno ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi, gli amministratori saranno personalmente e solidalmente responsabili di codesto danno; fermo restando che, come già detto, sovente nelle “piccole S.r.l.” compagine partecipativa ed amministrativa possono sovrapporsi, per cui sarà improbabile che siano gli stessi ad attivare eventuali azioni nei confronti degli amministratori.

(In effetti soci di minoranza “non allineati” al comportamento omissivo degli am.ri potrebbero contrastare efficacemente tale violazione. Gli stessi, infatti, se costituiscono una minoranza qualificata, potrebbero sollecitare la nomina dei sindaci tramite richiesta di convocazione dell’assemblea – art.2409 c.c. -, oppure singolarmente potrebbero proporre istanza al tribunale per l’accertamento della causa di scioglimento o esercitare l’azione di responsabilità o, infine, richiedere la revoca giudiziaria degli amr.ri.).

La fattispecie in esame appare peraltro idonea ad integrare quelle “gravi irregolarità” che rendono attivabile il particolare meccanismo di cui all’art. 2409 c.c.; anche in questo caso, tuttavia, la concreta azionabilità dello strumento non sembra immediata in ragione dei soggetti legittimati a procedere con la denunzia al tribunale e delle “caratteristiche strutturali” tipiche delle società di capitali italiane (id est, le dimensioni e la frequente commistione tra compagine societaria ed organo amministrativo) .

In conclusione, si evidenzia che le conseguenze della mancata istituzione dell’organo di controllo e della prolungata violazione in tal senso constano nello stato di scioglimento della società, con la configurazione:

  1. di una conseguente responsabilità degli amministratori del tutto analoga a quella che si verifica in altre ipotesi di mancata attivazione dello scioglimento (si veda il caso di riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale cui non sia seguita la ricostituzione ovvero la trasformazione della società),

  2. nonché, della invalidità degli atti implicanti un nesso funzionale con eventuali atti dei sindaci (tra i quali si ricorda: approvazione del bilancio, riduzione del capitale di oltre un terzo, capitalizzazione dell’avviamento, determinazione del valore delle azioni in caso di recesso, etc.).

Nondimeno, un’omissione prolungata di istituzione o ricostituzione del collegio sembra integrare una “grave irregolarità” denunziabile ai sensi dell’art. 2409 c.c., anche se in concreto non appare facilmente azionabile tale strumento in una siffatta fattispecie.

Tali conclusioni sembrano soddisfacenti in quanto contemperano dall’un lato le esigenze di tutela dei vari stakeholders ed in particolare dei creditori, dall’altro i principi di conservazione degli atti societari e di certezza delle fattispecie giuridiche, volti a non paralizzare l’attività societaria.

Per l’U.N.G.D.C.E.C., in assenza di sanzioni, nelle piccole società la causa di scioglimento e l’annullabilità dei bilanci sono conseguenze poco dissuasive (Circolare n.10 del 03.04.2012 Fondazione Centro Studi U.N.G.D.C.).

Alla stessa conclusione è giunta Assonime, Caso n.6 del 2012, esanimando la fattispecie relativa alle società a partecipazione pubblica, lo statuto delle quali può conferire al soggetto pubblico il potere di nominare direttamente i componenti del collegio sindacale.

Secondo Assonime il problema si pone dal momento che l’art.2449 c.c. nulla prevede a tal proposito e pertanto per risolvere la questione occorre in primis verificare se ci siano delle norme speciali che regolano tale fattispecie.

Secondo l’art.2449 c.c. (Effetti dello scioglimento),

Gli amministratori, quando si e’ verificato un fatto che determina lo scioglimento della societa’, non possono intraprendere nuove operazioni. Contravvenendo a questo divieto, essi assumono responsabilita’ illimitata e solidale per gli affari intrapresi.

Essi devono, nel termine di trenta giorni, convocare l’assemblea per le deliberazioni relative alla liquidazione.

Gli amministratori sono responsabili della conservazione dei beni sociali fino a quando non ne hanno fatto consegna ai liquidatori”.

Al riguardo, secondo il D.L. n. 293/1994disciplina in ordine alla proroga degli organi di amministrazione attiva, consultiva e di controllo degli Enti pubblici e delle persone giuridiche a prevalente partecipazione pubblica –,

nel caso di scadenza naturale degli organi amministrativi, e di mancata ricostituzione dei medesimi, gli stessi sono prorogati per non più di 45 giorni, che decorrono dal giorno della scadenza del termine medesimo.

Non risulta che vi siano norme speciali che regolano la fattispecie oggetto del caso di Assonime e pertanto al fine di dare soluzione allo stesso occorre fare riferimento ai principi generali che regolano la ricostituzione dell’organo societario a seguito della scadenza dell’intero collegio.

Secondo la regola della c.d. prorogatio, fino al momento in cui il collegio non è ricostituito, rimangono in carica i componenti precedentemente nominati; inoltre, al momento di ricostituzione del collegio, iniziano ad operare i nuovi membri.

Pertanto, nelle società a partecipazione pubblica, fino a quando il socio pubblico non provvede a nominare in via diretta extrassembleare i sindaci di propria competenza in sostituzione di quelli scaduti, rimane in carica il vecchio collegio in regime di prorogatio.

Nel caso in cui questa sostituzione si prolunghi nel tempo, tenuto conto delle circostanze del caso, si può determinare una causa di scioglimento della società.

19 febbraio 2015

Antonino Pernice