Lavoro accessorio: attenzione al limite dei ricavi

il lavoro accessorio consiste in una particolare modalità lavorativa retribuita attraverso buoni lavoro (o voucher) prepagati che garantiscono al lavoratore, oltre alla retribuzione, anche la copertura previdenziale e assicurativa…

Il lavoro accessorio consiste, a norma dell’art. 70 del D.Lgs. n. 276/2013, in una particolare modalità lavorativa, non riconducibile a tipologie contrattuali tipiche di lavoro subordinato o autonomo e retribuita attraverso buoni lavoro (o voucher) prepagati che garantiscono al lavoratore, oltre alla retribuzione, anche la copertura previdenziale e assicurativa. La riforma del mercato del lavoro (L. 92/2012) è intervenuta significativamente sull’istituto in esame, sostituendo l’elencazione tassativa delle categorie di prestatori e delle tipologie di attività (che, sino ad allora, avevano segnato i confini di ammissibilità dello stesso) con una disposizione recante limiti di carattere economico.

 

Recentemente, anche il DL 76/2013 è intervenuto sulle norme in materia di lavoro accessorio eliminando, all’interno del citato art. 70 del D.Lgs. 276/2003, la parte di testo che faceva riferimento ad attività lavorative “di natura meramente occasionale” con la conseguenza che, ora, per prestazioni di lavoro accessorio si intendono semplicemente attività lavorative che non danno luogo a compensi eccedenti a determinate soglie reddituali. Più precisamente, con l’eliminazione delle parole “di natura meramente occasionale” dalla definizione normativa dell’istituto, vengono superate definitivamente le incertezze che si erano poste in ordine alla natura da riconoscere al lavoro accessorio, sancendosi una volta per tutte che il parametro retributivo (con l’eccezione del settore agricolo) rappresenta l'”indice esclusivo della liceità del ricorso al voucher“, a prescindere dalla tipologia e dalla natura della prestazione lavorativa richiesta. Più precisamente, la modifica in parola ha fatto sì che il lavoro accessorio possa riguardare qualsiasi soggetto per lo svolgimento di qualsivoglia attività, purché si tratti di attività che non diano luogo a compensi superiori:

  • a € 5.000,00 nel corso di un anno solare, con riferimento alla totalità dei committenti, da intendersi come importo netto per il prestatore, pari ad € 6.666,00 lordi;

  • in caso di committenti imprenditori commerciali o professionisti, anche all’ulteriore limite di € 2.000,00, con riferimento a ciascun committente, da intendersi come importo netto per il prestatore, pari ad € 2.666,00 lordi;

  • ad € 3.000,00 per anno solare per i prestatori percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito, da intendersi come importo netto per il prestatore, corrispondenti ad € 4.000,00 lordi.

 

Recentemente, la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, con il parere n. 5/2013, ha fornito la propria interpretazione circa la corretta definizione temporale “dell’anno solare”, più volte richiamato nell’ambito del lavoro accessorio per la verifica dei predetti limite retributivi: non era ben chiaro, infatti, cosa si intendesse per anno solare, poiché la norma sembrava riferirsi alla totalità dei compensi percepiti dal lavoratore in un anno solare.

 

Ebbene, con riferimento alla definizione temporale dell’anno solare, i consulenti del lavoro ritengono che non ci sia alcun motivo di discostarsi da precedenti pronunce del Ministero del Lavoro che ha individuato un periodo di 365 giorni, che può decorre da qualsiasi giorno del calendario (in tal senso Cass n. 6599/1993, Cass civ., sez lavoro n. 27/05/1995, n, 5969, circ min. Lav n. 2/2001, n. 18/2012). Pertanto, al fine di verificare il superamento del limite economico stabilito dalla legge, l’azienda deve verificare, anche mediante autocertificazione rilasciata dal lavoratore, che nei 364 giorni precedenti alla data della prestazione lavorativa richiesta, lo stesso lavoratore non abbia percepito compensi di importo superiore al limite applicabile e non, invece, se detto limite sia stato superato nell’anno in corso della prestazione.

 

Questo chiarimento è risultato quanto mai opportuno alla luce, anche, del pressante regime sanzionatorio previsto in caso di superamento dei suddetti limiti quantitativi: il superamento dei limiti comporta, infatti, la trasformazione del rapporto in quella che costituisce la forma comune di rapporto di lavoro, ossia in un rapporto di natura subordinata a tempo indeterminato, con applicazione delle relative sanzioni civili e amministrative. A parziale tutela delle aziende, solite all’utilizzo di tale tipologia contrattuale di lavoro, il ministero del lavoro (circolare n. 4/2013) suggerisce a quest’ultime di farsi rilasciare (dai lavoratori) un’autodichiarazione ai sensi dell’art. 46, c. 1, lett. o, del DPR n. 445/2000, nella quale questi attestino di non aver ancora superato (nei 364 giorni precedenti alla data della prestazione lavorativa secondo la suddetta interpretazione dei consulenti del lavoro), il limite complessivo di € 5.000, nonché, si aggiunge, l’indicazione di quanto sinora percepito dagli stessi, in modo da permettere al committente di quantificare correttamente quanto potrà essere impiegato il prestatore stesso.

 

Si rammenta, inoltre, che, con la nota del Ministero n. 3439 del 18.02.2013 è stato ulteriormente ribadito che l’acquisizione da parte del datore di lavoro della dichiarazione del lavoratore, nelle more della definizione delle procedure di verifica, costituisce elemento necessario e sufficiente ad evitare in capo al datore di lavoro eventuali conseguenze di carattere sanzionatorio.

 

5 dicembre 2013

Sandro Cerato