Il regime fiscale dell’assegnazione di azioni ai manager

Con una recente risoluzione, l’Agenzia delle Entrate ha analizzato i risvolti tributari (imposte sui redditi) per i manager che ricevono “in premio” azioni societarie di valore non proporzionale rispetto al capitale sociale.

Con la Risoluzione n. 103/E del 4 dicembre 2012, l’Agenzia delle Entrate ha risposto ad un‘istanza di interpello presentata da una società per azioni, la quale chiedeva quale fosse il corretto regime fiscale di un’operazione di assegnazione di azioni ai propri manager in misura eccedente rispetto all’importo del conferimento in denaro, consentendo loro di diventare soci. 

In particolare, la risoluzione afferma che le azioni attribuite ai propri manager in misura superiore rispetto al conferimento in denaro dagli stessi effettuato rientrano nell’ambito dei “fringe benefit” e come tali sono imponibili quali redditi di lavoro dipendente (per i manager-dipendenti) o assimilato (per i manager-amministratori).

Tale pronuncia si pone in contrasto con quanto sancito dalla Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 29/E del 16 febbraio 2006, con la quale era stato sancito che l’operazione non avrebbe comportato alcuna emersione di un “benefit” in capo al lavoratore (amministratore nel caso specifico).

 

L’istanza di interpello

Una società per azioni voleva consentire l’ingresso nel capitale sociale di alcuni manager che lavoravano in azienda attraverso l’effettuazione, da parte di quest’ultimi, di un conferimento in denaro non proporzionale in considerazione delle utilità e dei vantaggi, non inscrivibili in bilancio, dagli stessi apportati alla società con la loro performance.

In particolare, con l’istanza di interpello, è stato richiesto all’Agenzia delle Entrate se : 

  • le azioni assegnate ai manager in misura eccedente rispetto all’importo del conferimento in denaro da questi effettuato possano rappresentare, ai fini delle imposte sui redditi, l’attribuzione di un reddito di lavoro dipendente o assimilato a favore dei predetti manager;

  • gli utili che i manager eventualmente riceveranno in futuro in qualità di soci proprietari di azioni, ai fini delle imposte sui redditi, dovranno essere assoggettati a tassazione in capo ai percettori come dividendi (se trattasi di utili distribuiti dalla società), ovvero come capital gains (in caso di cessione delle azioni), non costituendo redditi di lavoro dipendente o assimilati.

 

L’interpretazione fornita dalla società

Secondo la società istante, le azioni attribuite ai manager in misura eccedente rispetto all’importo del conferimento in denaro dagli stessi effettuato non costituiscono per tali soggetti l’attribuzione di un reddito di lavoro dipendente o assimilato.

Ciò in quanto, l’assegnazione non proporzionale delle azioni a favore dei manager si giustifica esclusivamente sulla base del rapporto sociale intercorrente fra gli azionisti conferenti e la società conferitaria e non risulta in alcun modo connessa – neppure indirettamente – con le prestazioni rese dai manager alla stessa società in relazione al rapporto di lavoro dipendente o all’ufficio di amministratore (per le quali ovviamente tali soggetti ricevono già una remunerazione in linea coi valori di mercato, che è tassata quale reddito di lavoro dipendente o assimilato).

In merito al secondo quesito, la società ritiene che gli eventuali utili percepiti dai manager in qualità di azionisti titolari delle azioni ai fini delle imposte sui redditi dovranno essere assoggettati a tassazione in capo ai percettori come dividendi o come capital gain (in caso di cessione delle azioni), come accadrebbe per i redditi connessi ad ogni tipologia di partecipazione sociale.

 

Assegnazione di azioni ai manager: il parere dell’Agenzia 

In merito al primo quesito, l’Agenzia delle entrate non concorda con la soluzione prospettata dalla società istante, ritenendo che l’assegnazione delle azioni in misura non proporzionale costituisca reddito per i manager.

In particolare, l’importo da assoggettare a tassazione sarebbe costituito dal valore del compenso in natura, così come determinato dall’art. 9, c. 4, del TUIR, al netto di quanto corrisposto dal dipendente ovvero trattenuto direttamente dal sostituto d’imposta per il godimento del bene ceduto o del servizio prestato.

Tale conclusione sarebbe dovuta dal fatto che lo Statuto della società espressamente prevede che

“le azioni C non possono essere oggetto di trasferimento … a qualunque titolo, sino al 27 settembre 2015. Fanno eccezione al divieto di trasferimento qui previsto i trasferimenti effettuati tra soggetti titolari di azioni C, effettuati a favore di amministratori e dipendenti della Società, di società controllanti la Società…”.

Inoltre, la stessa società istante avrebbe affermato che il conferimento non proporzionale da parte dei manager costituisce la modalità più appropriata per attuare l’aumento di capitale,

“… in quanto i manager apportano utilità e benefici che, pur non potendo essere iscritti nel bilancio della Società, sono comunque idonei ad aumentare il valore, se non altro in via prospettica…”.

Tali circostanze farebbero presumere che la suddetta operazione configurerebbe un’ipotesi di concorso al reddito di lavoro dipendente, ai sensi dell’articolo 51 del TUIR, nel caso dei manager dipendenti della società, ovvero di concorso ai redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, ai sensi dell’art. 50, c. 1, lett. c-bis, TUIR, nel caso di manager-amministratori.

Relativamente, invece, al secondo quesito, l’Agenzia delle entrate ha condiviso quanto proposto dalla società istante, sostenendo che eventuali dividendi costituiranno redditi di capitale ai sensi dell’articolo 44, comma 1, lettera e), del TUIR, così come i proventi ottenuti dalla cessione delle partecipazioni potranno rilevare ai fini della determinazione dei redditi diversi di natura finanziaria (capital gain) di cui all’articolo 67, comma 1, lettere c) e c-bis), del TUIR.

Nell’ipotesi descritta, rileverebbe, infatti, soltanto la circostanza che il medesimo soggetto partecipi al capitale o al patrimonio sociale, mantenga lo status di azionista anche se ha interrotto il rapporto d lavoro con la società emittente.

 

Conclusioni.

La soluzione prospettata dall’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione 103/E del 2012 si pone in contrasto con altre interpretazioni fornite in passato relativamente alla tassazione di suddetta modalità di assegnazione in capo ai dipendenti e amministratori.

Come chiarito dall’Amministrazione finanziaria con una Risoluzione del 2006 1, l’ attribuzione non proporzionale di azioni sarebbe fiscalmente neutrale.

Nella sostanza, chi ha ricevuto azioni di valore superiore del conferimento effettuato non sarebbe tassato, in quanto tale differenza non costituirebbe reddito per chi ha ricevuto le azioni 2.

A sostegno di tale ultima tesi, vi sarebbe il fatto che il conferimento di cui è questione, avendo per oggetto soltanto una determinata somma di denaro, assume natura “permutativa”, nel senso che si concretizza nel mero scambio, inidoneo a produrre nuovi valori fiscalmente riconosciuti presso la conferitaria, tra il denaro apportato dai soggetti conferenti e le azioni emesse dalla società.

Inoltre, le azioni non proporzionali assegnate al dipendente o manager non costituirebbero reddito (assimilato a quello) di lavoro dipendente, qualora la non proporzionalità del conferimento discenderebbe dall’esigenza di riconoscere i valori personali apportati dal suddetto socio, per cui le nuove azioni non sono minimamente in relazione con il rapporto di lavoro.

19 gennaio 2013

Fabio Gallio

1 Cfr. Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 29/E del 16 febbraio 2006.

2 Il caso oggetto della Risoluzione 29/2006 era l’attribuzione di azioni ad un amministratore in maniera superiore al suo apporto, come riconoscimento dell’ottimo lavoro svolto. In questo ambito, l’Amministrazione finanziaria ha chiarito che tale differenza non costituisce reddito assimilato a lavoro dipendente, in quanto le azioni assegnate rappresentano solamente il corrispettivo dell’apporto di denaro e non appaiono collegate al ruolo di amministratore.