Il ravvedimento errato costa caro

vediamo quali sono le conseguenze per un contribuente che calcola male il ravvedimento operoso

Con ordinanza n. 12661 del 9 giugno 2011 (ud. del 3 maggio 2011) la Corte di Cassazione ha ritenuto che anche una lieve differenza tra l’importo dovuto a seguito del ravvedimento operoso e quello versato pregiudica il perfezionamento dell’istituto.

Infatti, il ravvedimento operoso si perfeziona mediante l’integrale osservanza degli adempimenti imposti dall’art. 13 del D.Lgs. n. 472/97, quindi col pagamento delle maggiori imposte, delle sanzioni sebbene nella misura ridotta nonchè degli interessi legali.

Ove, invece, il contribuente commetta un errore nella computazione della sanzione irrogabile, il ravvedimento non può ritenersi perfezionato, per cui è legittima la ripresa a tassazione delle sanzioni nella misura dovuta.

 

L’ordinanza

L’art. 13, c. 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997, pone come condizioni di operatività del ravvedimento tanto il versamento del tributo, quanto il versamento delle sanzioni – nella prevista misura ridotta – e degli interessi legali.

Osserva la Corte che trattasi di condizioni di perfezionamento dell’istituto, come chiaramente si evince dall’impiego dell’espressione “deve” di cui al citato comma 2, a proposito del versamento integrale della sanzione (sebbene nella misura ridotta dal comma 1) contestualmente alla regolarizzazione dell’obbligo tributario, ivi compresi gli interessi di mora.

Come appare confermato dal testuale riferimento alla condizione di perfezionamento e come del resto vuole la logica, trattandosi di ravvedimento comunque soggetto al pagamento di una ben determinata sanzione (sebbene in frazione del minimo di legge per le singole ipotesi), “solo l’integrale – e dunque necessariamente esatto – adempimento degli obblighi predetti consente di beneficiare degli effetti dell’istituto di cui all’art. 13, D.Lgs. cit”.

La Corte di Cassazione non ritiene quindi valide le motivazioni addotte dal contribuente secondo cui la norma dianzi citata “nulla dice in relazione all’ipotesi dell’irregolare versamento della sanzione, limitandosi a sanzionare l’ipotesi dell’omesso versamento del tributo, della sanzione e degli interessi“.

La tesi è ritenuta manchevole per la sostanziale ragione che la sanzione prevista in caso di ravvedimento va comunque pagata in esatta conformità della previsione normativa, che la contempla in una frazione dell’importo di legge.

L’obiezione “si risolve nell’inaccettabile assunto della rilevanza di un pagamento purchessia – ancorchè incompleto – della pur ridotta sanzione di legge”; ed in tal senso contrasta con la previsione specifica, a tenore della quale il ravvedimento in ogni caso “si perfeziona” con l’esecuzione di tutti pagamenti previsti (carico tributario, interessi e sanzione, così come appositamente determinata), salvo il differimento di sessanta giorni laddove la liquidazione debba essere eseguita dall’amministrazione finanziaria (D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13, c. 3).

La prospettata difforme interpretazione contrasta l’evidente automatismo che intercorre tra il ravvedimento e il pagamento consequenziale di tutti gli importi discendenti.

La Corte, quindi, perviene alla conclusione che “il mancato integrale versamento dell’importo stabilito per la sanzione ridotta rileva – esso pure – alla stregua di fattispecie impediente l’efficacia dell’istituto di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13, con conseguente legittimità della ripresa in misura di legge (30 %) della sanzione dovuta”.

Né l’ulteriore riferimento dell’intimata alla generale, e qui invece preclusa, possibilità di riduzione sanzionatoria in percentuale del 10%, ove la violazione risulti dall’amministrazione finanziaria autonomamente individuata ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, c. 3, ed art. 6, c. 5, dello Statuto del contribuente, subordinatamente alla ricezione del cd. avviso bonario, assume dignità di argomentazione giuridicamente rilevante in vista dell’interpretazione del differente istituto che qui unicamente interessa.

 

Breve nota

Come è noto, il ravvedimento operoso, per effetto anche delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 99 del 30 marzo 2000 e dal D.Lgs. n. 32 del 26 gennaio 2001, permette al contribuente di chiudere spontaneamente le violazioni ed omissioni commesse.

L’accesso all’istituto è consentito dietro il pagamento di una sanzione ridotta rispetto a quella ordinaria, agevolando così lo stesso contribuente che intende chiudere, spontaneamente, la propria posizione fiscale, con il versamento di sanzioni ridotte, la cui entità varia a seconda della tempestività del ravvedimento e del tipo di violazioni.

La regolarizzazione deve avvenire entro determinati limiti temporali e, comunque, sempre prima che vi sia stata constatazione della violazione stessa, ovvero abbiano avuto inizio accessi, ispezioni o verifiche, ovvero siano iniziate altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore della violazione od i soggetti solidalmente obbligati abbiano avuto formale conoscenza.

Ricordiamo che la legge n. 220 del 13 dicembre 2010 – art.1, c. 20 -, ha apportato, a decorrere dal 1° febbraio 2011, al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, una serie di modifiche, qui riassunte:

 

Ravvedimento operoso

Fattispecie

Misura della sanzione ravvedimento ante legge n. 220/2010

Nuova misura della sanzione del ravvedimento

Omesso versamento regolarizzato entro 30 gg.

Art. 13, lett. a

1/12 del minimo

1/10 del minimo

Regolarizzazione di omissioni

Art. 13, lett.b

1/10 del minimo

1/8 del minimo

Violazioni sostanziali

Art. 13, lett.c

1/12 del minimo

1/10 del minimo

 

Affinché il ravvedimento operoso si perfezioni è necessario, quindi, oltre alla rimozione della condotta costituente violazione, l’esatto pagamento della sanzione in misura ridotta, nonché del tributo o della differenza (quando dovuti) e degli interessi moratori calcolati al tasso legale con maturazione giorno per giorno, entro i termini indicati dal legislatore.

 

7 luglio 2011

Francesco Buetto