Le agevolazioni ex legge 488/92 e le conseguenze di natura fiscale

partendo da un caso reale, vediamo come le contestazioni relative ad un’agevolazione fiscale possono diventare contestazioni (errate) in materia di detraibilità dell’IVA

 

Le riflessioni qui di seguito esposte prendono spunto da una situazione concreta dai risvolti anomali.

Il tutto ha origine da un accertamento fiscale scaturente da indagini di polizia giudiziaria. I controlli effettuati dalla polizia giudiziaria erano tesi a verificare, innanzitutto, che i contributi elargiti dalla L. 488/92 (e successive modificazioni e integrazioni) fossero stati utilizzati per i precipui scopi cui erano destinati ex lege. Più precisamente la polizia giudiziaria intendeva appurare che i contributi fossero stati effettivamente utilizzati per l’acquisto di macchinari e che gli stessi fossero “macchinari prototipo”, ossia avessero quelle particolari caratteristiche tali da renderli finanziabili dal contributo elargito in base alla legge.

Da questa indagine è stato avviato il procedimento penale, peraltro conclusosi con assoluzione a piena formula dei soggetti imputati (perché il fatto non sussiste).

Parallelamente al procedimento penale, si è instaurato quello tributario, dacché le risultanze delle indagini della polizia giudiziaria sono state utilizzate ai fini di un accertamento fiscale.

Effettivamente la Guardia di finanza, nelle vesti di polizia giudiziaria, aveva contestato che il contributo era stato utilizzato per l’acquisto di macchinari che, “in base alla personale interpretazione della P.G.” della L. n. 488/92, non erano finanziabili. Difatti, secondo la G. di F., quei macchinari non presentavano le caratteristiche di prototipo. Da qui, è stato contestato il reato ex art. 640 bis c.p., ossia “truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche”.

L’aspetto sconcertante della questione emerge quando altra G. di F., nelle vesti di polizia tributaria, estrapola alcuni passaggi dal p.v.c. in cui erano state rilevate le contestazioni di cui sopra. Il risultato, magicamente, è la contestazione di “indebita detrazione dell’IVA, in quanto le fatture sono relative ad operazioni inesistenti”.

La situazione si commenta da sola e non varrebbe, in effetti, spendere altre parole, se non fosse che un simile modus operandi determina delle conseguenze assolutamente negative nei confronti dei soggetti sottoposti a verifica, i quali, a discrezione dell’A.f., si ritrovano in un giudizio (quello penale) a dover dimostrare che le macchine acquistate sono finanziabili dal contributo, nell’altro (quello tributario) a dover dimostrare l’acquisto stesso di quei beni (sic !).

Rigor di logica vorrebbe che la prima contestazione implichi il decadere della seconda, giacché con essa incompatibile ed inconciliabile.

Ma così non è stato. Né è valsa a frenare questa assurda pretesa del fisco la circostanza che al contribuente non fosse stato contestato il reato di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000 (utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti).

La società si è vista, dunque, disconoscere l’IVA che era stata detratta (la sola Iva e non anche l’imponibile o la quota di contributo), in quanto le fatture di acquisto e di assistenza tecnica dei macchinari erano state ritenute inesistenti. È bene precisare che a tale conclusione l’A.f. è giunta non perché avesse posto in essere attività ispettiva ulteriore rispetto a quella effettuata dalla G. di F., la quale aveva constato la carente caratteristica di “prototipo” dei macchinari, ma proprio perché ha, immotivatamente, desunto tale inesistenza da quel tipo di verifica.

L’A.f. ha, dunque, sostenuto tale ragionamento: poiché le macchine ci sono, ma non sono dei prototipi, i costi sostenuti per il loro acquisto e l’assistenza tecnica sono fittizi! Non si comprende davvero quale sia la correlazione tra i due aspetti: se la macchina esiste, anche se non è un prototipo, i costi relativi all’acquisto ed all’assistenza tecnica per quale motivo dovrebbero essere fittizi?

La ragione per cui era stata condotta la verifica dalla polizia giudiziaria era quella di appurare che i finanziamenti fossero stati utilizzati per gli scopi previsti dalla legge che li ha elargiti. Dalla verifica sarebbe emerso che i macchinari acquistati con quei finanziamenti non sono prototipi, e quindi non avrebbero potuto usufruire dell’agevolazione (situazione, poi, smentita in sede penale dalla sentenza di assoluzione).

Ebbene, si converrà che nulla tale circostanza ha a che fare con l’inesistenza delle operazioni: le operazioni esistono. Semmai, esse non sarebbero finanziabili dal contributo previsto dalla legge 488/92. Ma questa è un’altra storia.

Quindi, ribadito che i macchinari ci sono ed i costi relativi all’acquisto ed all’attività di assistenza tecnica sono stati sostenuti, è innegabile che tali spese siano inerenti all’attività d’impresa. Difatti, che si tratti o meno di prototipo, il costo è stato sostenuto per dotare l’impresa di un’immobilizzazione materiale, che è indubbiamente strumentale rispetto all’attività svolta.

Giova ribadire che l’A.f. ha contestato la sola illegittimità della detrazione dell’Iva. Tuttavia, per poter disconoscere la detrazione dell’Iva su un acquisto è necessario provare la mancanza di inerenza e di strumentalità del bene acquistato rispetto all’attività imprenditoriale. Difatti, in tal senso si è espressa recente Cassazione (n. 3706 del 17/02/2010): “in tema di I.V.A., il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art.19, comma 1, consentendo al compratore di portare in detrazione l’imposta addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore quando si tratti di acquisto effettuato nell’esercizio dell’impresa, richiede, oltre alla qualità d’imprenditore dell’acquirente, l’inerenza del bene acquistato all’attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene stesso rispetto a detta specifica attività”. Si precisa inoltre che: “In base alla disciplina dettata dall’art. 4, comma 2, n. 1, e art. 19, comma 1, infatti, mentre le cessioni di beni da parte di società commerciali sono da considerare in ogni caso, cioè senza eccezioni, effettuate nell’esercizio di impresa, in ordine agli acquisti di beni da parte delle stesse società, l’inerenza all’esercizio dell’impresa di tali operazioni passive, ai fini della detraibilità dell’imposta, non può essere ritenuta in virtù della semplice qualità di imprenditore societario dell’acquirente, ma occorre accertare che le operazioni medesime siano effettivamente compiute nell’esercizio d’impresa, cioè in stretta connessione con le finalità imprenditoriali”.

Quindi, poiché trattasi di costi strettamente connessi all’attività d’impresa, la circostanza che i macchinari non siano dei prototipi non ha alcuna incidenza sull’inerenza. Da qui l’assurdità del non riconoscimento dell’Iva detratta.

Sembra davvero incredibile, eppure è accaduto: l’A.f., in presenza di una verifica da cui emergeva l’acquisto di macchinari non prototipo (quindi non finanziabili dal contributo di cui la società aveva usufruito) ed in assenza della contestazione del reato di cui all’art. 2 del D.Lgs. 74/200, ha ritenuto illegittima la detrazione dell’IVA di quelle fatture di acquisto. Tutto questo in spregio della normativa che disciplina le condizioni in cui si ammette la detrazione dell’IVA.

C’è da chiedersi fino a che punto l’A.f. possa spingersi, quando arriva anche a forzare i risultati di verifiche che avevano condotto a conclusioni diametralmente opposte.

 

9 giugno 2011

Maria Leo