Reverse charge: applicazione per le cessioni di cellulari e di componenti di computer

Analisi dei presupposti e dell’applicazione del meccanismo d’inversione contabile dell’IVA in vigore per contrastare le cd. “frodi carosello”.

 

La circolare ASSONIME 2 maggio 2011, n. 13, illustra la normativa che prevede l’applicazione, agli effetti dell’IVA, del sistema di inversione contabile (reverse charge) alle cessioni di apparecchi di telefonia mobile e di componenti elettronici per personal computer.

 

Normativa di riferimento

L’art. 1, c. 44, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007) – modificando il comma 6, lettere b e c, dell’art. 17 del D.P.R. n. 633 del 1972 aveva stabilito l’applicazione dell’IVA con il sistema dell’inversione contabile (cosiddetto reverse charge) per le cessioni di:

– apparecchiature terminali per il servizio pubblico radiomobile terrestre di comunicazioni soggette alla tassa sulle concessioni governative di cui all’art. 21 della tariffa annessa al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, come sostituita, da ultimo, dal decreto del Ministro delle finanze 28 dicembre 1995, nonché dei loro componenti ed accessori;

– personal computer e loro componenti e accessori.

L’adozione di tale sistema tende a prevenire comportamenti fraudolenti o, comunque, abusi nei settori della telefonia mobile e del commercio di componenti informatici, realizzati da soggetti IVA che emettono fatture con addebito dell’imposta, detraibile per il cessionario o committente, senza peraltro operare il successivo versamento del tributo incassato.

Il sistema del reverse charge evita tali frodi, in quanto rende debitore dell’imposta il cessionario o committente, se soggetto passivo, il quale è tenuto ad integrare la fattura, precedentemente emessa dal cedente/prestatore senza applicazione dell’imposta, con l’indicazione dell’aliquota propria dell’operazione e dell’ammontare del tributo, annotando poi la stessa sia nel registro degli acquisti che in quello delle fatture emesse, per la liquidazione del tributo.

 

Decisione Consiglio UE n. 2010/710/UE

Come noto, il comma 45 dell’articolo 1 della legge n. 296, aveva espressamente subordinato l’operatività del reverse charge, nei suddetti settori, alla preventiva autorizzazione degli organi comunitari.

Riconoscendo la necessità di contrastare tali frodi (c.d. “carosello”) poste in essere da alcuni operatori dei settori della telefonia mobile e dei prodotti elettronici, sia nazionali che di altri Stati membri, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato la decisione n. 2010/710/UE del 22 dicembre 2010, con la quale l’Austria, la Germania e l’Italia sono state autorizzate ad adottare il sistema del reverse charge in relazione ad alcune specifiche operazioni effettuate nei predetti settori economici.

In particolare, tali Stati membri sono stati autorizzati – fino al 31 dicembre 2013 – a designare, come debitori d’imposta, i soggetti passivi destinatari delle cessioni:

– di “telefoni cellulari”, concepiti come “dispositivi fabbricati o adattati per essere connessi a una rete munita di licenza e funzionanti a frequenze specifiche, con o senza altro utilizzo”;

– di “dispositivi a circuito integrato, quali microprocessori e unità centrali di elaborazione prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale”.

La suddetta autorizzazione (peraltro, come detto, di carattere temporaneo, essendo valida fino al 31 dicembre 2013) tende ad evitare che “un numero significativo di operatori … evada il pagamento dell’IVA all’erario dopo la vendita dei propri prodotti”, mentre “i loro acquirenti … hanno il diritto di beneficiare di una detrazione fiscale in quanto sono in possesso di fatture valide”.

Il Consiglio ha rilevato che l’adozione del sistema dell’inversione contabile dovrebbe comportare anche “… un minor rischio di spostamento della frode sul commercio al dettaglio dei prodotti in questione, dal momento che i telefoni cellulari sono generalmente forniti (ai consumatori) dalle grosse società di telefonia”, e, inoltre, che “la misura si applica ai circuiti integrati prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale”.

L’ambito applicativo della misura di deroga che l’Italia è stata autorizzata ad introdurre nei settori in considerazione è stato illustrato dall’Agenzia delle entrate nella circolare n. 59/E del 23 dicembre 2010, e, recentemente, nella risoluzione n. 36/E del 31 marzo 2011.

 

Presupposti soggettivi

Il regime dell’inversione contabile si applica, in via generale, per tutte le cessioni, antecedenti la fase del consumo finale, effettuate nei confronti di soggetti (anche esteri) che siano in possesso di una posizione IVA in territorio nazionale.

Ed invero, con un’interpretazione conforme alle suddette considerazioni del Consiglio, nella circolare n. 59/E del 2010 l’Agenzia ha espressamente precisato che l’obbligo dell’inversione contabile di cui all’art. 17, c. 6, del D.P.R. n. 633 del 1972 trova applicazione per tutte le operazioni in questione che vengono poste in essere “… nella fase distributiva che precede il commercio al dettaglio1.

Agli effetti dell’IVA, il riferimento all’attività di “commercio al dettaglio” deve essere inteso in senso soggettivo, individuandosi con essa gli operatori economici che esercitano le attività di commercio al minuto e assimilate di cui all’art. 22, n. 1, del D.P.R. n. 633 del 1972.

In tale ottica, nella risoluzione n. 36/2011, l’Agenzia ha rilevato che non sono soggette al reverse charge le cessioni di beni effettuate:

– dai commercianti al minuto autorizzati in locali aperti al pubblico, in spacci interni, per corrispondenza, a domicilio o in forma ambulante. In tali casi, infatti, le cessioni sono, di regola, effettuate direttamente nei confronti dei cessionari utilizzatori finali, siano essi soggetti passivi IVA, o meno;

– da soggetti diversi da quelli dell’art. 22 del D.P.R. n. 633, come sopra individuati, nei casi in cui effettuino le cessioni direttamente a cessionari-utilizzatori finali.

Nella circolare n. 59/E, infine, l’applicazione del reverse charge viene espressamente esclusa anche per le cessioni effettuate dai soggetti rientranti nel regime dei “contribuenti minimi”, regolato dall’art. 1, commi da 96 a 117, della legge 24 dicembre 2007, n. 244. Qualora, però, il contribuente minimo acquisti i beni in questione, la fattura dallo stesso ricevuta in regime di reverse charge deve essere integrata con l’indicazione dell’imposta dovuta, da versare entro il giorno 16 del mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione.

 

Presupposti oggettivi

Relativamente all’ambito oggettivo di applicazione del regime del reverse charge alle operazioni in considerazione, la circolare ASSONIME rileva che l’autorizzazione rilasciata dal Consiglio ha una portata non pienamente coincidente con il contenuto della norma nazionale.

Per quanto concerne le cessioni di telefoni cellulari, invero, in base alla decisione comunitaria – a differenza di quanto previsto dalla norma interna – rimangono escluse dal regime in questione le cessioni dei “componenti e accessori” dei telefoni cellulari, come sopra definiti.

Tenendo conto del più limitato campo applicativo della suddetta autorizzazione, pertanto, l’Agenzia delle entrate, con la risoluzione n. 36/E, ha affermato che, in linea generale, le cessioni di tali componenti e accessori non sono soggette al regime del reverse charge2.

Per quanto poi concerne le cessioni di dispositivi elettronici, l’autorizzazione comunitaria non comprende, fra le operazioni soggette a reverse charge, le cessioni dei “personal computer”, facendo espresso riferimento solo alle cessioni dei componenti elettronici che oggettivamente costituiscono “dispositivi a circuito integrato”, così come definiti dal provvedimento di autorizzazione.

Intervenendo sul punto, l’Agenzia delle entrate, nella circolare n. 59/E, ha affermato che, nonostante la più ampia formulazione della norma nazionale, il regime del reverse charge da essa previsto può trovare applicazione solo per la parte che si riferisce alle cessioni dei componenti di “personal computer” cui possono ricondursi i concetti di “dispositivi a circuito integrato”, secondo la definizione fornita dall’autorizzazione comunitaria.

Successivamente, con la risoluzione n. 36/E del 31 marzo 2011, è stato ulteriormente precisato che, nella suddetta definizione, devono considerarsi oggettivamente rientranti i dispositivi comunque riconducibili ai concetti di “circuiti integrati elettronici” di cui al codice NC 8542 3190 00 della Nomenclatura tariffaria e statistica ed alla tariffa doganale comune di cui all’allegato I del Regolamento CEE n. 2658/87 del Consiglio.

Nella medesima risoluzione l’Agenzia ha chiarito, altresì, che il regime del reverse charge si applica a tutte le cessioni dei suddetti dispositivi – anche quando inseriti in apparati elettronici diversi dai “personal computer”, ma svolgenti funzioni ad essi analoghe (quali, ad es., i “server” aziendali) – che vengono effettuate prima della loro installazione in beni destinati al consumo finale, indipendentemente dalla circostanza che il cessionario abbia eventualmente intenzione di provvedere, successivamente all’acquisto, all’installazione/assemblaggio dei beni su prodotti (anche in esecuzione di una prestazione di servizi di riparazione e manutenzione) destinati al consumo finale.

 

Decorrenza dell’obbligo di inversione contabile

Sotto il profilo dell’entrata in vigore delle disposizioni nazionali, è da ricordare che l’autorizzazione comunitaria del 22 novembre 2010, all’art. 6, prevede che “gli effetti della decisione decorrono dal giorno della notificazione” (con scadenza finale – come detto – al 31 dicembre 2013).

Al riguardo, l’Agenzia delle entrate, nella circolare n. 59/E, ha precisato che, agli effetti della decorrenza dell’obbligo di inversione contabile previsto dall’art. 17, c. 6, del D.P.R. n. 633, occorre tenere in ogni caso presente l’art. 3, c. 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del contribuente), secondo cui “… le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell’adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti”.

Sulla base di tale disposizione, e considerando altresì i tempi necessari agli operatori dei settori interessati per modificare le procedure gestionali relative alle operazioni in questione, l’Agenzia ha quindi stabilito che l’obbligo del reverse charge si applica alle cessioni effettuate8 a partire dal 1° aprile 2011.

 

Note di variazione

L’Agenzia delle entrate, con la risoluzione n. 36/E, ha espressamente specificato che le note di variazione emesse dopo la data del 1° aprile 2011, ma relative a cessioni effettuate entro tale data, non soggiacciono al regime del reverse charge, ma rimangono disciplinate dalle regole ordinarie del tributo.

L’intervento ministeriale è stato necessario al fine di chiarire i dubbi avanzati dagli operatori dei settori interessati in relazione alle modalità di emissione delle note di variazione con le quali operare, ai sensi dell’art. 26 del D.P.R. n. 633, la rettifica, in aumento o in diminuzione, dell’ammontare imponibile o dell’imposta delle operazioni effettuate,

Ne consegue, pertanto, che l’inversione contabile trova applicazione per le rettifiche relative alle operazioni, effettuate a partire da tale data, che risultano assoggettate a tale sistema di applicazione del tributo.

In tali casi, peraltro, la facoltà, o l’obbligo, di operare la riduzione, o l’aumento, della base imponibile o del tributo compete ai soggetti cessionari, in quanto debitori d’imposta, nel rispetto delle modalità e dei termini stabiliti dallo stesso art. 26; correlativamente, il soggetto cedente deve annotare l’avvenuta variazione nei propri registri IVA.

 

Sanzioni

Nella circolare n. 59/E, l’Agenzia ricorda che, per le violazioni dell’obbligo di inversione contabile sulle operazioni in esame, trova applicazione la specifica disciplina sanzionatoria prevista dall’art. 6, c. 9-bis, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471.

In particolare, tale norma prevede la sanzione dal 100 al 200 per cento del tributo, con un minimo di € 258, a carico del cessionario soggetto passivo che non assolve l’imposta con il sistema del reverse charge; la stessa sanzione si applica anche nei casi in cui il cedente – non applicando tale sistema – abbia erroneamente indicato il tributo sulla fattura emessa, omettendone, peraltro, il successivo versamento. Il quarto periodo del comma 9-bis dell’articolo 6, inoltre, prevede la responsabilità solidale del cedente e del cessionario per il pagamento dell’imposta, e della relativa sanzione.

Nei diversi casi in cui l’imposta sia stata assolta, ancorchè irregolarmente, dal cessionario o dal cedente, il terzo periodo dello stesso comma stabilisce l’applicazione della sanzione amministrativa pari al 3% dell’imposta irregolarmente assolta, fermo restando il diritto alla detrazione del tributo, ai sensi dell’art. 19 del D.P.R. n. 633 del 1972.

Pur mancando nella circolare n. 59/E un espresso riconoscimento in tal senso, alle violazioni degli obblighi in questione dovrebbero ritenersi comunque applicabili, in via meramente interpretativa, le disposizioni sul ravvedimento operoso contenute nell’art. 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.

 

1 giugno 2011

Attilio & Antonino Romano

1La disciplina amministrativa di questa particolare forma di vendita è contenuta nel Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, recante la riforma della disciplina del settore del commercio, che, all’art. 4, definisce commercio al dettaglio “l’attività svolta da chiunque professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivende, su aree private in sede fissa o mediante altre forme di distribuzione,.. direttamente al consumatore finale”.

2Nella medesima declaratoria è stato, comunque, riconosciuto che il meccanismo dell’inversione contabile torna, invece, applicabile qualora tali beni vengano ceduti, contestualmente ai telefoni cellulari, in qualità di “accessori” di quest’ultimi; in questi casi, infatti, le cessioni dei componenti devono essere assoggettate allo stesso trattamento fiscale stabilito per l’operazione principale (appunto, la cessione del cellulare), secondo la regola generale posta dall’art. 12 del D.P.R. n. 633.