Il trust e l’imposta sulle successioni e donazioni

l’istituto del trust quale rapporto giuridico tra un soggetto disponente ed un soggetto trustee amministratore, ha attribuito soggettività passiva Ires ai Trust, assimilandoli, a seconda dei casi, agli enti commerciali, agli enti non commerciali oppure agli enti non residenti nel territorio dello Stato. Il sistema tributario, nel valutare l’imposizione del reddito derivante dai beni in Trust, si è orientato ad analizzare le varie caratteristiche di ogni singolo istituto, evitando di individuare un trattamento fiscale generale

L’istituto del trust  quale rapporto giuridico tra un soggetto disponente ed un soggetto trustee amministratore, è stato introdotto nell’ordinamento tributario dalla Legge 296/06 (1), la quale ha attribuito soggettività passiva Ires ai Trust, assimilandoli, a seconda dei casi, agli enti commerciali ex art. 73, co. 1, lett. b), agli enti non commerciali ex art. 73, co. 1, lett. c), D.P.R. 917/1986, oppure agli enti non residenti nel territorio dello Stato ex art. 73, co. 1, lett. d), D.P.R. 917/1986

Il sistema tributario, nel valutare l’imposizione del reddito derivante dai beni in Trust, si è tendenzialmente, orientato ad analizzare le varie caratteristiche di ogni singolo istituto, evitando di individuare un trattamento fiscale generale.

In linea di massima è ’ possibile distinguere:

a)    Trust trasparenti, con beneficiari di reddito “individuati”, i cui redditi vengono imputati per trasparenza agli stessi beneficiari

b)    Trust opachi, senza beneficiari di reddito “individuati”, i cui redditi vengono direttamente attribuiti al trust medesimo.

 

La prassi amministrativa ed i chiarimenti della Circolare Ministeriale del 6 agosto 2007, n. 48/E hanno specificato, in proposito, che il trust è tassato per trasparenza soltanto nei casi in cui:

  • sono individuati i beneficiari del reddito;
  • gli stessi hanno potestà di pretendere dal trustee l’assegnazione tale parte di reddito trasparente.

In tal caso, i redditi che ne derivano sono inclusi tra i redditi di capitale ai sensi dell’art. 44, co. 1, lett. g-sexies del D.P.R. 917/1986, tuttavia, come precisato dalla Circolare 48, gli stessi sono tassati per competenza e non per cassa. I trust opachi, invece, sono tassati in base ai redditi attribuiti e non possono essere successivamente tassati in capo ai beneficiari.

In entrambi i casi, laddove i redditi del Trust siano soggetti a tassazione sostitutiva o a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, avendo assolto tutti gli obblighi tributari, non si scontano ulteriori imposizioni né in capo al trust stesso né in capo ai beneficiari. Esempi possono essere interessi, premi, obbligazioni e titoli similari assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo di imposta del 12,5% o 27%, a seconda dei casi, o redditi diversi di natura finanziaria assoggettati ad imposizione sostitutiva delle imposte sui redditi del 12,50%. E’, comunque, è possibile che un trust sia al contempo opaco e trasparente, quando parte del reddito è accantonata a capitale e parte è attribuita ai beneficiari.

I dettami tributari dell’istituto (modifiche introdotte dalla Legge 296/2006 nell’articolo 13 del D.P.R. 600/73) prevedono, inoltre, l’obbligo della tenuta delle scritture contabili. Nel dettaglio un Trust deve:

  • presentare annualmente la dichiarazione dei redditi(2), anche se trasparente;
  • acquisire un proprio codice fiscale;
  • ottenere partita Iva laddove si eserciti attività commerciale,

I trust che hanno per oggetto esclusivo l’esercizio di attività commerciali devono tenere le scritture contabili previste dall’art. 14, mentre quelli che esercitano attività commerciale in forma non esclusiva sono obbligati alla tenuta delle scritture contabili ex art. 20 dello stesso D.P.R. 600. A seconda dell’attività svolta, il trust può essere assoggettato all’Irap.

Inquadramento fiscale del Trust

Il trust è un istituto che è sottoposto a tassazione nei suoi elementi costitutivi eventi manifesti della capacità contributiva, quali la disponibilità di un patrimonio o l’attitudine alla percezione di un reddito. La normativa tributaria prevede che, qualora non sia individuato alcun beneficiario (cd. trust opachi), i redditi derivanti dai beni siano assoggettati a tassazione in capo allo stesso trust quale soggetto passivo Ires. La successiva distribuzione ai beneficiari dei proventi (capitalizzati) conseguiti dal trust, non è, conseguentemente, assoggettabile ad alcuna imposizione sul reddito (distribuzione di capitale).

Laddove i beneficiari siano individuati, il reddito conseguito dal trust è imputato direttamente a ciascuno di essi in proporzione alla quota individuata nell’atto istitutivo, ovvero in parti uguali tra loro, qualora non sia prevista una ripartizione determinata(cd. trust trasparenti). Il beneficiario deve essere individuato e deve risultare titolare del diritto di pretendere dal trustee l’assegnazione di quella parte di reddito che gli viene imputata per trasparenza. Nel caso di «trust trasparenti», i redditi si qualificano sempre, in capo ai beneficiari, quali redditi di capitale, in base all’art. 44, co.1, del D.P.R. 917/86, a prescindere dal tipo di attività commerciale o non commerciale,  e dovranno pertanto essere computati nel reddito complessivo senza alcuna deduzione, beneficiando, tuttavia, del credito d’imposta per eventuali imposte assolte all’estero in via definitiva (sempre in misura proporzionale alla quota individuata).

Nel caso in cui i redditi conseguiti dai trust  fiscalmente residenti in Italia abbiano beneficiari non residenti fiscalmente in Italia e si qualifichino come redditi di capitale ex art. 44, D.P.R. 917/1986, occorrerà valutarne l’imponibilità in Italia ai sensi dell’art. 23, co.1, lett.b), del T.U.I.R, nel rispetto di eventuali Convenzioni contro le doppie imposizioni

Imposte dirette – la disposizione in un trust di beni senza alcun corrispettivo, non genera di norma materia imponibile né in capo al disponente, né in capo al trustee. Laddove, invece, tali beni rientrino tra quelli relativi all’impresa, la disposizione è considerata una destinazione a finalità estranee all’impresa e, come tale, generatrice di un ricavo (art. 85, co.2, D.P.R. 917/1986 o di una plusvalenza (artt. 58, 86 e 87 del D.P.R. 917/86) a seconda della tipologia di bene assegnato (valore normale di cui all’art. 9 co. 3, soggetto ad Iva ai sensi dell’art. 2, co. 2, n. 5 del D.P.R. 633/1972).

Le cessioni di beni in un Trust già costituito, invece, se poste in essere nell’esercizio d’impresa, sono soggette alla disciplina fiscale afferente alla categoria di appartenenza del bene ceduto, mentre se le cessioni non sono effettuate nell’esercizio d’impresa, ricorrono i presupposti reddituali di cui all’art. 67 del D.P.R. 917/1986. In tali casi, per la determinazione delle plusvalenze si dovrà avere riguardo ai valori fiscalmente riconosciuti in capo al disponente, fermo restando che il trasferimento dei beni dal disponente al trustee non interrompe il decorso del quinquennio di cui all’art. 67, mentre nel caso di cessione di beni acquistati dal trust si farà riferimento al prezzo da questi pagato. ll trasferimento di aziende per causa di morte o atto gratuito, inoltre, non dà luogo al realizzo di plusvalenze se l’azienda è assunta ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti per il dante causa ex art 58 co.1 del T.U.I.R.

Imposta di successione e donazione – la tassazione trova applicazione solamente nel primo passaggio dal disponente al trustee, e non anche nel trasferimento finale dal trustee ai beneficiari, poiché la realizzazione dell’attribuzione liberale si pone sin dall’origine a favore del beneficiario. La determinazione delle aliquote e delle franchigie deve, quindi, essere determinata in riferimento al rapporto intercorrente tra il disponente e il beneficiario (identificato almeno in relazione al grado di parentela con il disponente) e non a quello tra disponente e trustee. Nel caso del trust di scopo, mancando un beneficiario finale, l’imposta sarà dovuta con l’aliquota dell’8% prevista per i vincoli di destinazione a favore di altri soggetti ex art. 2, co. 48, lett. c), D.L. 262/2006.

La Risoluzione n. 110 del 23 aprile 2009, prodotta a seguito di  interpello ex articolo 11 della Legge 27 luglio 2000, n. 212, in merito all’interpretazione dell’articolo 3, comma 4-ter, del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, ha chiarito alcuni aspetti relativi a tale tassazione.

Il trust  essendo un rapporto giuridico complesso con un’unica “causa fiduciaria” che caratterizza tutte le vicende dell’istituto, quali la dotazione patrimoniale, la realizzazione dell’interesse del beneficiario o il raggiungimento dello scopo, è assoggettato ad imposta sulle successioni e donazioni (dovuta sulla costituzione di vincoli di destinazione) in misura proporzionale al momento della segregazione del patrimonio.

Il trasferimento d’azienda nell’ambito del nucleo familiare, ex articolo 3, comma 4-ter, del Testo Unico sulle successioni e donazioni approvato con D.Lgs n. 346/90, prevede l’esenzione dall’imposta sulle successioni se:

  • i destinatari del trasferimento sono il coniuge o i discendenti;
  • i destinatari del trasferimento d’azienda, o della partecipazione in società, proseguono l’esercizio dell’attività d’impresa o mantengono il controllo societario (nel caso di società di capitali) per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento;
  • la prosecuzione dell’attività di impresa o il mantenimento del controllo, sono espressamente resi dagli aventi causa, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione o all’atto di donazione.

La Risoluzione chiarisce che la finalità dell’articolo 3, comma 4-ter del Testo Unico  è quella di favorire il passaggio generazionale delle aziende di famiglia, nel caso di trasferimento dell’azienda in trust” purchè siano rispettate le seguenti condizioni:

  • il trust non duri meno di 5 anni a decorrere dalla stipula dell’atto che comporta la segregazione in trust della partecipazione di controllo o dell’azienda;
  • i beneficiari finali siano discendenti o coniuge del disponente;
  • il trust non sia discrezionale o revocabile, vale a dire, ad esempio, che non possono essere modificati dal disponente o dal trustee i beneficiari finali dell’azienda o delle partecipazioni trasferite in trust;
  • il trustee prosegua l’esercizio dell’attività d’impresa o detenga il controllo per un periodo non inferiore a 5 anni dalla data del trasferimento (individuabile nell’atto segregativo dell’azienda e/o delle partecipazioni) e renda, contestualmente al trasferimento, apposita dichiarazione circa la sua volontà di proseguire l’attività di impresa o detenere il controllo.

Cosimo Turrisi

6 Luglio 2009


NOTE

(1) Legge Finanziaria 2007

(2) Cfr. Circolare Ministeriale 48/E/2007 par.3.2