L’interpello ordinario: criticità e problematiche applicative

Il sistema tributario si presenta, nel XXI secolo, come una maglia di norme e procedure che, intrecciandosi con altri sistemi e sottosistemi normativi, imbrigliano, indirizzano e vincolano la produzione del reddito e le altre manifestazioni di capacità contributiva.

Anche senza contemplare le complesse problematiche derivanti dall’attività internazionale delle imprese, nelle quali entrano in gioco le regole stabilite da ordinamenti esteri e dalle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, si rimarca la notevole complicazione degli obblighi tributari previsti dalla normativa nazionale, che spesso, per essere adempiuti, necessitano di essere previamente interpretati.

Tale complessità di fondo, che non può essere adeguatamente «risolta» per ogni caso specifico dalla prassi ufficiale o dalla giurisprudenza tributaria, ha indotto il legislatore a formalizzare, con il diritto di interpello, una funzione di assistenza e consulenza della quale tradizionalmente si fa carico l’Amministrazione fiscale.

In particolare, l’interpello ordinario, previsto dall’art. 11 della L. 212/2000, si pone come la procedura «centrale» nell’ambito delle attività di consulenza rese dal Fisco, perché suscettibile di adattarsi alla risoluzione di ogni problematica interpretativa giuridico-tributaria e dotato di una procedura agile, che prevede la risposta (ovvero la produzione del silenzio-assenso) entro un termine certo.

Anche se in apparenza assimilabile all’interpretazione «generale» proveniente dall’Amministrazione, che assume la forma delle ben note circolari, l’interpello ordinario ha tutt’altra funzione e portata, dato che esso si riferisce a un ambito circoscritto e specifico, ma, limitatamente a tale ambito, produce effetti preclusivi rispetto alle attività di accertamento del Fisco.

Al di là dell’innegabile successo dell’istituto, che si fonda sull’assoluta buona fede delle parti, la sua gestione non può prescindere da numerose «avvertenze», sia dal lato dei contribuenti, sia da quello dell’Amministrazione.

 

1. Circolari, risoluzioni e interpello

Come accennato poco sopra, le circolari consistono in esplicazioni spesso piuttosto documentate e articolate, di determinati aspetti potenzialmente controversi di normative nuove o, comunque, non ancora adeguatamente chiarite.

Si tratta, quindi, di interpretazioni a «maglie larghe», anche se la loro elaborazione sortisce spesso da problematiche già affrontate dalla dottrina o dalla stampa «specialistica»: esse circoscrivono quindi una determinata area di relativa incertezza, fornendo qualche punto fermo per coloro che devono adeguarsi alle norme; non possono però illustrare ogni aspetto applicativo, perché non contemplano delle fattispecie concrete, ma, al massimo, delle semplici «casistiche».

Al contrario, l’interpello si rivolge alla questione concreta prospettata da un determinato contribuente (persona fisica, società, etc.), e rappresenta dunque una risposta più circoscritta e più «intensiva», che spesso è «inclusa» all’interno dello «spazio ermeneutico» coperto dall’interpretazione generale della circolare.

Se l’Amministrazione ritiene di diffondere la risposta specificamente resa nei confronti di un determinato contribuente, perché ne ravvisa l’interesse generale, tale risposta – una volta espunti i riferimenti anagrafici dell’interpellante – può divenire una «risoluzione», e viene pubblicata sul sito Internet ufficiale della «documentazione tributaria».

Alla luce della funzione degli Organi centrali (nell’Agenzia delle Entrate, la Direzione Centrale Normativa e Contenzioso), di garantire l’omogeneità delle risposte sul piano nazionale, e della loro facoltà di proporre la revoca degli interpelli resi dalle direzioni regionali, nonché della possibilità di queste ultime di trasmettere alla Direzione Centrale gli interpelli più complessi e incerti, si evince che la presenza di un’interpretazione data a livello centrale (si tratti di una circolare, di una risoluzione o di una «semplice» risposta ad interpello) condiziona la possibilità di avere una successiva risposta su una problematica identica od analoga.

A tale proposito, si evidenzia che, nel caso dell’interpello proposto in presenza di un’interpretazione ufficiale (resa pubblica) dell’Amministrazione circostanziata e specifica, l’istanza dev’essere dichiarata inammissibile perché difetta il requisito dell’incertezza interpretativa.

 

2. Il carattere preventivo dell’istanza

Relativamente al carattere preventivo che l’interpello deve possedere, rispetto al comportamento che si intende porre in essere, la circolare dell’Agenzia delle Entrate 50/E/2001 (sostanzialmente ripresa sul punto anche dalla più recente circolare 23/E/2005) sottolinea che l’istituto è stato concepito in funzione dell’interesse dei contribuenti a conoscere l’indirizzo interpretativo dell’Amministrazione, allo scopo «di porsi al riparo o, comunque, conoscere preventivamente gli esiti dell’attività di controllo».

Ciò significa che il contribuente potrà conoscere in anticipo l’orientamento del Fisco in relazione a una determinata fattispecie prospettata, ma in nessun modo, nell’ambito della procedura in esame, potrà essere posta in discussione l’attività di controllo od accertamento già iniziata.

L’istanza può quindi essere presentata solamente prima di porre in essere il comportamento rilevante ai fini tributari (ad esempio, prima di presentare la dichiarazione dei redditi, prima di assolvere l’imposta di registro connessa con la registrazione dell’atto, prima di emettere la fattura IVA etc.).

Se mancano le obiettive condizioni di incertezza, infine, l’istanza deve ritenersi inammissibile. A tale proposito, è precisato che le condizioni di incertezza non sussistono se è già stata fornita dall’Amministrazione la soluzione interpretativa a casi analoghi a quello prospettato dal contribuente, mediante circolare, risoluzione, istruzione o nota, portata a conoscenza del contribuente attraverso la pubblicazione nella banca dati istituzionale della documentazione tributaria.

Se invece manca un’interpretazione ufficiale dell’Amministrazione, le condizioni di obiettiva incertezza ricorrono «in presenza di previsioni normative equivoche, tali da ammettere interpretazioni diverse e da non consentire in un determinato momento, l’individuazione certa di un significato della norma».

In particolare, l’incertezza obiettiva è ravvisabile se il quesito involge questioni che sono oggetto di normative recenti, sulle quali non si sono ancora formati degli orientamenti interpretativi precisi.

Una tale situazione può verificarsi, secondo l’esemplificazione fornita dall’Agenzia:

        in presenza di leggi di recente emanazione rispetto alle quali non si sia formato un orientamento interpretativo definito;

        in presenza di orientamenti contraddittori.

La previsione dev’essere estesa anche alle disposizioni normative di non recente emanazione, in presenza dei presupposti richiamati.

Secondo la circolare, le obiettive condizioni di incertezza rilevanti ai fini dell’interpello devono essere valutate tenendo conto della ratio dell’istituto, che è quella di conoscere preventivamente il punto di vista dell’Amministrazione.

In tale prospettiva trova spiegazione la previsione del regolamento attuativo, secondo la quale l’incertezza non sussiste in presenza di un intervento chiarificatore della stessa Amministrazione.

È altresì precisato nella pronuncia del 2001 che, per il decreto attuativo, l’istanza riguarda «l’interpretazione di una disposizione normativa di natura tributaria». Da ciò si evince che l’interpello ordinario involge l’interpretazione «di norme primarie e secondarie, con esclusione di tutti gli atti privi di contenuto normativo quali, a titolo meramente esemplificativo, circolari, risoluzioni, istruzioni, note ed atti similari».

A ciò può aggiungersi quanto segue:   

        l’interpello all’Amministrazione finanziaria riguarda solamente le norme «tributarie», ossia le leggi, i regolamenti e gli altri atti normativi diversamente nominati, emanati con decreto-legge, decreto legislativo, D.P.R., D.P.C.M., etc., di livello primario o secondario, che hanno una natura esplicitamente od implicitamente tributaria, ovvero le norme tributarie contenute anche in atti normativi extra-tributari;

        gli atti di interpretazione (circolari, risoluzioni, note, etc.), non possono essere «in sé e per sé» oggetto di interpello, ma possono integrare l’istanza come riferimenti indiretti, potendo il contribuente richiedere, attraverso un quesito su di essi, dei chiarimenti in realtà riferibili alla normativa commentata od esplicata.

 

3. Ulteriori precisazioni

Per quanto attiene al concetto di «preventività» dell’interpello ordinario, che si incardina sull’art. 1, co. 2, D.M. 209/2001, può essere inoltre precisato quanto segue.

1.       L’istanza di interpello dev’essere presentata «prima di porre in essere il comportamento o di dare attuazione alla norma oggetto di interpello»: in caso di comportamenti «continuati», come quelli consistenti, ad esempio, nella fatturazione secondo determinate modalità, gli effetti specifici dell’interpello potranno prodursi solamente con riferimento ai comportamenti successivi. A tale proposito, potrebbe registrarsi uno «sdoppiamento» della preventività; infatti, l’istanza – come sopra evidenziato – deve precedere il comportamento prospettato, ma la risposta dell’Amministrazione, il cui carattere è (pur limitatamente alla fattispecie prospettata, e nel rispetto dei vincoli delle interpretazioni centrali) «innovativo», dovrebbe esplicare i propri effetti non a decorrere dalla presentazione dell’istanza, bensì dall’emanazione del parere, o – meglio – dalla sua ricezione da parte del contribuente-istante (1).

2.       La brevità della norma non consente di discernere le varie ipotesi possibili, relativemente alle quali potrebbe essere prevista una specificazione, distinguendo, ad esempio:

a.      i comportamenti consistenti nell’esecuzione di adempimenti fiscali ® in tali ipotesi, la risposta – positiva o negativa – dell’Amministrazione dovrebbe intendersi riferita ai soli adempimenti successivi (con riguardo alla fatturazione, all’emissione dello scontrino o della ricevuta, alla presentazione delle dichiarazioni, alle iscrizioni in libri e registri, etc.);

b.      i comportamenti consistenti nell’effettuazione di atti, fatti, negozi, di rilevanza civilistica, il cui effetto fiscale sia dubbio ® in tali ipotesi, rimanendo valida la regola del riferimento ai soli comportamenti successivi, le operazioni relativamente alle quali sorge l’interesse del contribuente alla risposta dovrebbero ritenersi del tutto autonome rispetto alla sfera dell’«adempimento» minuto.

Con riferimento, in particolare, al punto 2.a (comportamenti consistenti in adempimenti fiscali), occorrerebbe precisare che il quesito sulla presentazione del «dichiarativo» non dovrebbe «surrogare», o «dissimulare», un quesito volto in realtà a conoscere il trattamento tributario di una fattispecie per la quale il comportamento è già stato posto in essere.

A titolo esemplificativo, quindi, non dovrebbe potersi ammettere un’istanza formalmente volta a conoscere se il tal componente reddituale negativo dedotto possa essere indicato al rigo «X», se il vero interesse del contribuente era di ottenere la «validazione» della controversa deducibilità di tale componente negativo. In tale ipotesi, si assisterebbe infatti alla «forzatura» dell’istituto dell’interpello, nel senso dell’ottenimento ex post di un «salvacondotto» ufficiale da parte dell’Amministrazione (indotta in inganno).

Secondo quanto affermato, possono enuclearsi due categorie di interpello (non separate, ma conviventi in un unico istituto), con la finalità di distinguere meglio i tipi di problematiche affrontati dai contribuenti.

Soprattutto in relazione alle problematiche esposte dal mondo delle imprese, possono infatti incontrarsi aspetti sostanziali del diritto tributario (ad esempio, l’applicazione – nell’ambito dei conferimenti intracomunitari, dell’art. 179 anziché dell’art. 177 del TUIR), a fronte di quesiti involgenti le modalità attuative della fatturazione (sempre a titolo esemplificativo, il sistema di applicazione dell’imposta di bollo sui libri e registri dell’impresa nell’ambito della conservazione «sostitutiva» – digitale – dei documenti fiscali).

Per distinguere concettualmente i due «campi d’azione» dell’interpello, occorre focalizzare l’attenzione sul «comportamento» prospettato, che è anche il fondamentale punto di snodo dell’istituto, in quanto su du esso è provocato l’intervento interpretativo dell’ente impositore.

 

4. Interpello e attività ispettive del Fisco

Il rapporto tra interpello ordinario e attività di accertamento è causa di numerosi interrogativi, solo in parte risolti dalla prassi.

Come è noto, l’istituto dev’essere preventivo, ed è stato ritenuto incompatibile con le situazioni nelle quali il contribuente stia subendo un’attività di controllo fiscale in relazione alle problematiche sulle quali verte il quesito.

Il carattere della preventività, in tale contesto, si pone come una «garanzia» rispetto alla possibilità che l’Amministrazione renda una risposta positiva rispetto a comportamenti che sono «censurati» in sede di controllo: è infatti evidente l’inopportunità che una fase «autoritativa» dell’attività del Fisco, come quella del controllo tributario e dell’accertamento, venga prevaricata da un’attività di consulenza specifica, come quella dell’interpello.

L’intervento – successivo o contestuale – difforme rispetto all’operato dei «controllori» (degli uffici locali, regionali o centrali dell’Agenzia delle Entrate), potrebbe infatti porsi come una revoca, se non una «scomunica» esplicita, e potrebbe essere indotto solamente da una disfunzione della macchina amministrativa, cioè da una carente conoscenza della situazione dell’interpellante.

Per tale motivo, è non solamente opportuno, ma necessario, che l’Amministrazione abbia piena cognizione delle «pendenze» fiscali di coloro che ad essa si rivolgono quale «consulente», interloquendo con le proprie articolazioni amministrative preposte ai controlli (ciò che avviene comunque in un processo di «osmosi» che interessa, a contrario, anche gli organismi accertatori, interessati ad acquisire le indicazioni generali formulate in sede interpretativa).

Analogamente, non è possibile prescindere dalle attività di controllo poste in essere dai reparti della G.d.F., le cui evidenze sono comunque acquisibili sia, negli estremi, attraverso il sistema informativo dell’anagrafe tributaria (SIAT), sia mediante richiesta alla stessa G.d.F., che con l’Amministrazione civile è tenuta per legge a collaborare.

Inoltre, l’Amministrazione in sede di controllo dovrà tener conto degli effetti dei pareri da essa resi quale «consulente», che sono essenzialmente preclusivi nei confronti delle attività ispettive e accertative dfformi, salva la possibilità di revoca, la quale però non potrà certamente essere strumentale all’apertura di un’attività di controllo fiscale (ne andrebbe, altrimenti, del rispetto dei «pilastri» di buona fede e tutela dell’affidamento, sui quali l’istituto dell’interpello poggia).

 

5. Ipotesi di inammissibilità dell’istanza

Nella menzionata circolare 23/E/2005, l’Agenzia delle Entrate (Direzione Centrale Normativa e Contenzioso) ha fornito precise istruzioni agli uffici delle Direzioni Regionali, relativamente alla trattazione delle istanze di interpello inammissibili.

Era posta, in particolare, la seguente distinzione, dirimente ai fini dell’indirizzo da seguire:

        presenza di profili di inammissibilità non assoluta (che non esimono gli uffici dall’esaminare comunque la questione prospettata) le Direzioni regionali devono evitare «una rigida interpretazione formalistica delle disposizioni recate dal decreto ministeriale, che porti ad utilizzare la declaratoria di inammissibilità come una «clausola di stile» dell’interpello. Ciò significa che la risposta va comunque fornita nel merito, anche se essa non sarà comunque produttiva degli effetti tipici dell’interpello, e che devono essere specificati i motivi che hanno determinato l’inammissibilità dell’interpello (2);

        inammissibilità assoluta (istanze di interpello presentate da un professionista privo di procura, le istanze presentate da un professionista in relazione a questioni prospettate in via generale ed astratta, reiterazioni di istanze di interpello già esaminate, istanze prive del requisito della preventività in quanto concernenti rilievi già formalizzati dagli Uffici dell’Agenzia delle entrate o dalla Guardia di Finanza a seguito di attività di controllo sostanziale o formale) dalla circolare 23, sulla base anche degli orientamenti pregressi dell’Agenzia, si evince che in tali ipotesi l’istanza dev’essere dichiarata inammissibile senza entrare nel merito della questione prospettata (3).

A proposito dell’inammissibilità, occorre considerare che essa non pregiudica, per il contribuente, la possibilità di formulare una nuova istanza, dotata di tutti i requisiti idonei a renderla ammissibile.

Naturalmente, l’interesse a ricevere la risposta dell’Amministrazione non dovrà essere venuto meno, né potrà trattarsi di comportamenti già posti in essere, salva l’ipotesi di comportamenti «continuati», per i quali il parere rimarrebbe valido a partire dalla data della ricezione da parte dell’istante.

 

6. Istanze non preventive

Secondo la circolare 23, che richiama sul punto il decreto ministeriale, l’istanza di interpello può essere presentata solamente prima di porre in essere il comportamento o di dare attuazione alla norma oggetto di interpello: l’istituto dell’interpello è stato infatti concepito in funzione dell’interesse dei contribuenti a conoscere preventivamente l’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria, nella prospettiva della «prevenzione» di eventuali controlli.

Alle Direzioni regionali è quindi espressamente richiesto di astenersi dall’esame di merito delle istanze se il parere richiesto dal contribuente verte sulla legittimità dei rilievi già formalizzati in atti emessi dagli Uffici dell’Agenzia delle Entrate (processi verbali di constatazione e adesione, avvisi di accertamento e rettifica, atti di contestazione e irrogazione di sanzioni, etc.) o dalla Guardia di Finanza (soprattutto processi verbali di constatazione) a seguito di attività di controllo sostanziale o formale.

A maggior ragione, si deve intendere che, in presenza di attività contenziosa nella quale rilevino i comportamenti prospettati in sede di interpello, l’esame di merito è pure precluso, dato che la vertenza tributaria si innesta certamente sugli esiti di attività ispettive precedentemente effettuate.

Per rilevare l’eventuale presenza dei profili di inammissibilità, gli uffici incaricati della trattazione delle istanze possono consultare il sistema informativo dell’anagrafe tributaria (SIAT).

 

7. Istanze presentate da professionisti

Con riguardo alle istanze presentate da professionisti in difetto di procura, per le quali, come già sopra evidenziato, è prevista l’inammissibilità senza consulenza, la circolare in esame fa rinvio alle intese con Associazioni e Ordini professionali, stipulate su base regionale.

Si rammenta a tale proposito che, nei confronti dei «consulenti» (ossia delle tipologie di professionisti che si occupano di questioni tributarie, come commercialisti, tributaristi, etc.), si poneva un problema di inutilizzabilità dello strumento dell’interpello ordinario, nell’ambito del quale si registrava un difetto di legittimazione attiva (4), a fronte della necessità di garantire un canale di comunicazione a vantaggio dell’attività di soggetti tenuti a svolgere determinati adempimenti (anche) nell’interesse della parte pubblica.

Tale situazione ha indotto l’Agenzia delle Entrate a predisporre delle «convenzioni», che all’interno della circoscrizione delle varie direzioni regionali regolano ora l’esercizio delle attività di assistenza e consulenza tra professionisti e Fisco, prevedendo un ruolo «strategico» per gli Ordini e le Associazioni firmatarie.

Lo schema che origina dagli accordi, imperniati sulla circolare 23/E/2005, tiene conto dunque dell’esigenza, da parte dell’Amministrazione, di adempiere ai compiti previsti dallo «Statuto» (in tema di assistenza, informazione, consulenza, etc.), e di facilitare l’attività delle categorie professionali che sono di ausilio all’espletamento di tali compiti pubblicistici.

Nell’assetto del nuovo «servizio», si coglie però la preoccupazione di non farne uno strumento alternativo e concorrenziale rispetto all’interpello ordinario: occorreva evitare, infatti, che il carattere diretto e personale della procedura ex art. 11 potesse essere aggirato mediante la proposizione di richieste di consulenza regolate dagli accordi regionali.

È altresì evidente che l’Amministrazione deve evitare di rendere delle consulenze al professionista, che poi le «girasse», semplicemente, al proprio cliente: non è infatti opportuno che il Fisco «surroghi» il consulente nell’esecuzione di un compito che è suo proprio.

La consulenza ordinaria nei confronti dei professionisti si pone quindi, come una procedura organizzata su tre livelli:

        1° livello: il professionista che intende segnalare una particolare problematica interpretativa indirizza il quesito all’Ordine di appartenenza;

        2° livello: l’Ordine «filtra» i quesiti pervenuti e trasmette alla direzione regionale, con un proprio parere, solo quelli che rivestono interesse generale;

        3° livello: la direzione regionale istruisce i quesiti, fornendo la risposta e trasmettendola all’Ordine professionale.

 

8. Reiterazione di istanze per le quali l’Agenzia ha già espresso il proprio parere

L’inammissibilità assoluta ricorre anche relativamente alle istanze di interpello finalizzate al riesame di risposte precedentemente fornite: in tale ipotesi, infatti, non ricorrono le obiettive condizioni di incertezza sulla interpretazione della norma tributaria previste dal decreto ministeriale.

Diversamente dall’interpello antielusivo, l’interpello ordinario non si pone, dunque, come una procedura para-giurisdizionale, nell’ambito della quale può essere ammesso un «appello» in caso di difformità della risposta: il parere reso è unico e naturalmente «inappellabile», anche perché non suscettibile di produrre effetti giuridici diretti per l’interessato.

Quest’ultimo infatti potrà comunque adottare il comportamento «non condiviso» dall’Amministrazione e, in caso di accertamento, potrà disporre di tutti gli strumenti per affrontare la controversia in sede amministrativa e giudiziale (5).

 

9. La conoscibilità degli interpelli

Il carattere specifico e personale dell’interpello ordinario, come è noto, esclude – secondo le metodologie operative e la prassi dell’Amministrazione – la divulgazione all’esterno dei pareri resi, salvo che essi non siano stati recepiti dalla Direzione Centrale Normativa e Contenzioso (DCNC) e trasformati in risoluzioni «ufficiali».

Secondo la circolare dell’Agenzia delle Entrate 16.5.2005, n. 23/E, doveva quindi essere evitata la pubblicazione sui siti Internet ed Intranet dei pareri resi dalle direzioni regionali a seguito di presentazione di istanze di interpello e, in generale, di quesiti involgenti un’attività di interpretazione giuridico-tributaria.

Tali indicazioni ufficiali erano motivate «dall’esigenza di impedire che interpretazioni riguardanti norme di recente emanazione o per le quali non sia stato ancora definito l’indirizzo interpretativo possano trovare ampia divulgazione con il rischio di indurre in errore un gran numero di contribuenti (o altre direzioni regionali) che vi si affidino in modo acritico».

La preoccupazione dell’uniformità dell’attività di interpretazione, insomma, era ribadita dall’Agenzia in considerazione della necessità di evitare conflitti tra interpretazioni divergenti rese da direzioni regionali diverse.

Se, comunque, le direzioni ritengono opportuno dare diffusione ai propri pareri particolarmente significativi, esse hanno la possibilità di proporli (previa «trasfusione» in risoluzioni dell’Agenzia) per l’inserimento nella banca dati del servizio di documentazione economica e tributaria, «che costituisce l’univoco patrimonio interpretativo cui gli uffici e, in particolare, i servizi di informazione e di assistenza al contribuente devono fare riferimento».

Mentre la conoscibilità degli interpelli, in generale, può essere strumentale alla funzione «preventiva», e anche deterrente, dell’istituto, le ragioni della resistenza alla loro divulgazione integrale risiedono soprattutto nel loro carattere puntuale, personale, specifico, riferito a fattispecie troppo circoscritte, la cui estensione indiscriminata potrebbe prestarsi ad utilizzi strumentali.

 
Fabio Carrirolo
 
Maggio 2007


NOTE
(1) L’interpello si qualifica, infatti, come un atto recettizio, per il quale la comunicazione si pone come un requisito di obbligatorietà, che ne condizione l’efficacia rispetto al destinatario (cfr. M. Posarelli “Linterpello ordinario ex art. 11 dello Statuto del contribuente. Principi, procedura ed effetti: una breve ricognizione dell’Istituto a sei anni dalla sua introduzione”, Il Fisco n. 32 – 4.9.2006, pag. 1-4972).

(2) La circolare precisa a tale proposito che fa presente che, per l’anno 2005, la Convenzione tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate aveva assegnato a quest’ultima l’obiettivo di fornire il parere almeno per l’80% delle istanze di interpello inammissibili ad eccezione di quelle che presentavano profili di inammissibilità assoluta.

(3) Si evidenzia infatti che:

     per le istanze presentate da professionisti in difetto di procura o in via generale e astratta, si rischierebbe di rendere un parere produttivo dei peculiari effetti dell’interpello con riferimento a soggetti terzi rispetto all’istante, che, al limite, potrebbero anche non essere a conoscenza del quesito presentato (e appare inoltre inopportuno, per l’Agenzia, «sostituire» il professionista nel rendere la funzione di consulenza per la quale ha ricevuto l’incarico da parte del proprio cliente);

     per le istanze reiterate, il rischio è invece quello di sovrapporre pronunce tra loro difformi, ovvero di ottenere un’inutile sequenza di pronunce identiche;

     per le istanze non preventive, in particolare contestuali o successive a «rilievi (formali e/o sostanziali) già formalizzati» (ma anche, si ritiene, ad attività di controllo «cartolare» o formale, ex artt. 36-bis e 36-ter, D.P.R. 600/1973), evidentemente, l’Amministrazione dovrà invece evitare di pregiudicare le attività istruttorie in corso.

(4) È infatti inammissibile l’interpello ordinario proposto dal consulente in difetto di procura del contribuente, nelle forme previste per l’assistenza presso l’ufficio fiscale (art. 63, D.P.R. 600/1973).

(5) L’interpello presuppone infatti la formulazione al Fisco di una soluzione ipotetica, che la direzione regionale potrà confermare o (motivatamente) smentire o integrare, nonché la determinazione, da parte dell’istante, ad adeguarsi al parere ricevuto. È evidente che in caso di dissenso, cioè se il contribuente intende contestare una specifica posizione assunta dagli uffici dell’Amministrazione, il «meccanismo» dell’interpello sarà inidoneo a risolvere la controversia.