Contratto d'appalto e lavoro intermittente

è possibile ricorrere alla tipologia contrattuale del lavoro intermittente (in inglese job on call) per l’esecuzione di talune prestazioni anche nell’esecuzione di un contratto di appalto?

La disciplina del contratto di lavoro intermittente, meglio noto come lavoro a chiamata o job on call (disciplinato dagli artt. 34 ss. del DLgs. 276/2003), rappresenta un particolare modello di lavoro subordinato. Brevemente si ricorda che, a decorrere dal 18.07.2012 (entrata in vigore della legge n. 92/2012), è possibile ricorrere al lavoro intermittente nelle seguenti ipotesi:

  • svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo e saltuario, secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale;

  • in assenza di una specifica disciplina contrattuale, nelle attività discontinue di cui al D.M. 23.10.2004 con rimando alla tabella delle attività contenuta nel R.D. 2657/1923; 

  • con soggetti con più di 55 anni di età e con soggetti con meno di 24 anni di età, fermo restando in tale caso che le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro il venticinquesimo anno di età, o meglio fino a 24 anni e 364 giorni (Min. lav., circolare 18.7.2012, n. 18).

 

Peraltro, in sede di conversione in Legge del D.L. n. 76/2013 ( “Decreto Lavoro”) è stato introdotto un nuovo limite legale all’utilizzo di tale tipologia contrattuale, che si aggiunge ai limiti di carattere oggettivo o soggettivo sopra elencati: il ricorso a prestazioni di lavoro intermittente è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un massimo di quattrocento giornate di effettivo lavoro “nell’arco di tre anni solari”.

Si evidenzia, al riguardo, che, il vincolo delle quattrocento giornate di effettivo lavoro, per espressa previsione normativa, non trova applicazione nei settori “del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo”. In tutti gli altri settori, invece, un eventuale superamento del limite delle quattrocento giornate determinerà la “trasformazione” del rapporto in un “normale” rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato dalla data del superamento.

I predetti interventi normativi hanno comunque lasciato immutate alcune disposizioni concernenti l’applicazione dell’’istituto: su tutte il novero delle occupazioni che legittimano, nel silenzio della contrattazione collettiva, l’utilizzo del lavoro intermittente. Si tratta, sostanzialmente, delle attività meglio individuate nella tabella allegata al R.D. n. 2657/1923, così come richiamata all’interno dell’art. 40 del D. Lgs. n. 276/2003 e dal D.M. 23 ottobre 2004 (Custodi, Guardiani diurni e notturni, guardie daziarie, Portinai, uscieri e inservienti, Camerieri, personale di servizio e di cucina negli alberghi, trattorie, esercizi pubblici in genere, Pesatori, magazzinieri, dispensieri ed aiuti, personale addetto alla estinzione degli incendi…).

 

La Confindustria ha recentemente avanzato apposita istanza di interpello al Ministero del lavoro per appurare se, ad un’impresa appaltatrice, fosse precluso il ricorso alla tipologia contrattuale del lavoro intermittente, con riferimento all’attività espletata da “personale di servizio e di cucina negli alberghi”, per l’esecuzione di un servizio di pulizia all’interno di una struttura alberghiera riconducibile all’’impresa committente (interpello Min. Lavoro 26.6.2014 n. 17).

Al riguardo, viene preliminarmente precisato dal ministero interpellato che, laddove la contrattazione collettiva nazionale non sia intervenuta a disciplinare le fattispecie in cui è possibile ricorrere a tale istituto, risulta possibile riferirsi alle attività elencate nella predetta tabella allegata al R.D. n. 2657/1923. Da ciò consegue che, secondo il ministero, il criterio seguito dal Legislatore, ai fini della corretta instaurazione di rapporti di lavoro intermittente afferisce esclusivamente alla tipologia di attività effettivamente svolta dal prestatore, prescindendo dalla circostanza che l’attività in questione sia effettuata direttamente dall’impresa o tramite contratto di appalto.

In linea con le suddette precisazioni ed in risposta al quesito posto da Confindustria, il ministero ritiene, pertanto, che, in assenza di specifiche previsioni da parte dei contratti collettivi, deve, dunque, ritenersi possibile, per un’impresa appaltatrice, ricorrere alla tipologia contrattuale del lavoro intermittente per l’esecuzione, all’interno di una struttura alberghiera (impresa committente), di servizi di pulizia riconducibili al n. 5 della sopra richiamata tabella (che contempla, come sopra evidenziato, le attività espletate da “personale di servizio e di cucina negli alberghi”).

E’ bene rammentare, infine, che, anche in presenza di rapporti di lavoro intermittente nell’ambito di un contratto d’appalto, il committente imprenditore è obbligato – in solido con l’appaltatore – a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto. Resta ovviamente escluso, in capo al committente, qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento, ovvero l’appaltatore.

16 luglio 2014

Sandro Cerato