Una Ordinanza della suprema Corte afferma un principio di diritto per il quale nessun compenso è dovuto in caso di una prestazione che si sia rivelata oggettivamente insufficiente
Il professionista, dopo aver accettato l’incarico, ha l’obbligo di eseguire la prestazione professionale con la diligenza richiesta dall’art. 1176, comma 2, del Codice Civile, che testualmente recita: “… Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata.
Si tratta di un principio base, ovviamente, dal quale discendono tante conseguenze nei casi di prestazioni, per così dire, negligenti.
In un precedente contributo abbiamo commentato ed illustrato una ordinanza della Cassazione che ha stabilito l’impossibilità di chiedere un compenso da parte di un collegio sindacale che aveva omesso di adempiere a talune incombenze.
Oggi, nello stesso filone, diamo notizia di un’altra Ordinanza, la n. 6382/2025, che ribadisce il principio per cui è legittima la cosiddetta eccezione d’inadempimento, esperibile dal soggetto debitore-committente secondo i canoni della responsabilità contrattuale, con il solo onere di contestare la non corretta esecuzione della prestazione o l’incompleto adempimento da parte dello stesso.
E’ in capo al professionista commissionario-creditore l’onere di dimostrare l’esattezza del suo adempimento per la rispondenza della sua condotta al modello professionale e deontologico richiesto dalla situazione su cui è intervenuto con la propria opera.
Il caso affrontato dalla Cassazione era quello di un professionista incaricato dal debitore di predisporre gli atti per accedere alla procedura di concordato; egli può dunque essere escluso dal concorso nel successivo e consecutivo fallimento, ove, sulla base delle prove raccolte, si accerti l’inadempimento dell’istante alle obbligazioni assunte.
Il professionista assume dunque l’obbligo di redigere una proposta di concordato che, dovendo essere funzionale all’ammissione al concordato preventivo, l’approvazione dei creditori e l’omologazione della stessa da parte del Tribunale, sia rispettosa, nella forma e nel contenuto, delle norme di legge.
La responsabilità del professionista e il diritto al compenso
Pertanto, l’indicazione di dati patrimoniali incompleti, errati o inattendibili, che potrebbero indurre i creditori a ritenere l’inesistenza di alternative e migliori possibilità di realizzo, integra il colpevole inadempimento del professionista agli obblighi contrattuali.
Il diritto al compenso, se – come di regola avviene – non implica il raggiungimento del risultato, richiede che il giudice di merito accerti l’idoneità delle prestazioni a conseguire tale risultato; in difetto, l’assenza di una responsabilità contrattuale del professionista non impedisce che si configuri l’adempimento stesso.
Tra l’altro, nel caso in cui l’errore abbia determinato la perdita del diritto del cliente ad accedere al concordato, la successiva attività difensiva svolta risulta giuridicamente inutile, dovendosi ritenere che, a fronte di una prestazione oggettivamente inidonea al conseguimento dell’interesse del committente, la sua obbligazione è stata totalmente inadempiuta ed è, quindi, improduttiva di effetti.
Il professionista non vanta alcun diritto al compenso anche se l’adozione dei mezzi difensivi rivelatisi pregiudizievoli sia stata sollecitata dal cliente, poiché costituisce compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell’attività professionale.
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Danilo Sciuto
5 maggio 2025