Quali implicazioni fiscali ha una transazione con rinuncia agli atti di causa? Se è esclusa da IVA, resta da capire come incida sulle imposte sui redditi. Una recente pronuncia offre spunti interessanti per valutare se e quando una somma versata a fronte di una “non azione” possa generare un reddito fiscalmente rilevante. Il punto centrale è l’assenza di un vero “consumo” o di un’attività economicamente produttiva. Un’occasione per riflettere sui confini della tassazione nelle transazioni.
Rinuncia agli atti di causa: esclusione IVA e impatto fiscale nei redditi
La Corte di Cassazione ha ritenuto esclusa da IVA la transazione volta a rinunciare agli atti di causa, rappresentando che le prestazioni di fare, non fare o permettere non possono essere considerate rilevanti ai fini IVA se raccordate alle condotte processuali, come la rinuncia gli atti o all’azione, relative ad una lite attuale od in fieri, mancando il presupposto del consumo secondo la normativa comunitaria.
Qualora, quindi, non trattasi di transazione novativa o almeno mista con l’insorgenza di nuove obbligazioni rispetto all’originario rapporto litigioso, il presupposto d’imposta non insorge mancando il fondamento essenziale costituente la causalità costitutiva dell’IVA: l’atto di consumo.
L’IVA è infatti un’imposta generale sui consumi e da tale prerogativa comunitaria discende che, nonostante l’art. 3, comma 1 del DPR 633/72 assuma come presupposto oggettivo le obbligazioni di fare, non fare e di permettere in genere, la latitudine della loro rilevanza impositiva rimane condizionata dalla verifica se l’oggetto di tali obblig