Retribuzione dei dipendenti: va pagato tutto il tempo trascorso in azienda?

La Cassazione fa il punto sull’obbligo di retribuire le operazioni anteriori o posteriori alla conclusione della prestazione di lavoro.

Tempo di accesso al lavoro: va retribuito? chiarimenti della Corte di Cassazione

retribuzione dipendenti tempo aziendaRetribuzione e orario di impiego, come è ben noto, sono strettamente correlati. Di ambo gli aspetti del contratto e rapporto di lavoro si trova dettagliata disciplina nei vari CCNL, ma non mancano i dipendenti che manifestano alcuni dubbi sull’effettiva estensione di tale orario, ai fini dell’esatta quantificazione dello stipendio.

 

Con un’ordinanza di quest’anno, la Corte di Cassazione ha affrontato una questione soltanto all’apparenza banale, ma in realtà frequente e su cui è certamente opportuno fare chiarezza. Il tempo necessario per raggiungere il tornello posizionato all’ingresso del luogo di lavoro va retribuito?

Ecco cosa ha chiarito il giudice di legittimità a riguardo, contribuendo a meglio dettagliare la portata del diritto alla retribuzione del lavoratore, e il conseguente obbligo dell’azienda.

 

 

La vicenda: tempo di log on e log off

La Cassazione si pronuncia sul diritto alla retribuzione

 

Nel caso concreto sottoposto all’attenzione della Suprema Corte, alcuni lavoratori subordinati si erano rivolti al tribunale per chiedere il riconoscimento, come tempo effettivo di lavoro – e conseguente diritto ad un maggior importo di stipendio – dei cinque minuti utilizzati all’arrivo in azienda, al fine di compiere il tragitto tra la timbratura del cartellino al tornello posto all’ingresso e il completamento della procedura di log on alla postazione informatica (e viceversa).

 

La Corte d’appello di Roma, in accoglimento dell’appello proposto dai lavoratori e in riforma dell’impugnata sentenza, aveva riconosciuto l’eterodirezione e la dipendenza dei tre lavoratori ricorrenti – e perciò anche il loro diritto alla retribuzione – in riferimento a tutto l’arco temporale della prestazione, inclusivo anche delle frazioni temporali dedicate al log on e al log off.

 

Dopo il riconoscimento delle ragioni dei dipendenti in appello e del diritto alla retribuzione “extra”, la disputa giudiziaria è proseguita in Cassazione, con il ricorso dell’azienda (una nota società di telecomunicazioni).

La decisione della Suprema Corte in tema di tempo di spostamento e attività preparatorie

 

La Cassazione non ha mutato le conclusioni già adottate in precedenza, indicando che:

Sul piano logico e giuridico, nella sentenza impugnata non si rinviene, in ogni caso, alcuna violazione di legge, perché la Corte d’appello si è adeguata a quella che è l’interpretazione corrente e consolidata della normativa sull’orario di lavoro ai sensi del D.Lgs. n. 66/2003 e delle direttive comunitarie Nn. 93/104 e 203/88”.

Inoltre, rimarca la Corte, il giudice del secondo grado ha fondato la propria pronuncia su un consolidato principio di diritto, secondo cui il tempo retribuito richiede che:

le operazioni anteriori o posteriori alla conclusione della prestazione di lavoro siano necessarie e obbligatorie”.

Coerentemente con quanto appena ricordato, la giurisprudenza consolidata della Cassazione afferma che – ai fini della computabilità del tempo per raggiungere il luogo di lavoro nell’attività lavorativa vera e propria (da aggiungere quindi all’effettivo orario di lavoro) – lo spostamento deve essere funzionale rispetto alla prestazione lavorativa (Cassazione n. 27008/2023).

Non solo. Nell’ordinanza n. 14848 si può leggere che:

la stessa soluzione è da sempre estesa nella giurisprudenza di legittimità a tutte le attività preparatorie e preliminari alla prestazione di lavoro (ordinanza 27799/2017, ordinanza n. 12935/2018)”.

Nel caso posto all’attenzione della Casssazione, dunque, il diritto alla retribuzione doveva essere riconosciuto nella misura richiesta dai dipendenti.

Il rilievo chiave del D.Lgs. 66 del 2003

 

Già in passato (sentenza n. 13466 del 29/05/2017) la Cassazione aveva ricordato il principio per il quale:

“ai fini della misurazione dell’orario di lavoro, l’art. 1, comma 2, lett. a), del D.Lgs. n. 66 del 2003 attribuisce un espresso ed alternativo rilievo non solo al tempo della prestazione effettiva ma anche a quello della disponibilità del lavoratore e della sua presenza sui luoghi di lavoro; ne consegue che è da considerarsi orario di lavoro l’arco temporale comunque trascorso dal lavoratore medesimo all’interno dell’azienda nell’espletamento di attività prodromiche ed accessorie allo svolgimento, in senso stretto, delle mansioni affidategli”.

Più nel dettaglio, per la Cassazione tale lasso temporale deve essere retribuito se le attività prodromiche alla prestazione rappresentano operazioni eterodirette. E tale circostanza, rimarca la Corte, è presente in questa vicenda, considerato che l’azienda ha in libertà deciso come strutturare la propria sede, dove inserire la postazione e come articolare il percorso per raggiungerla e usarla.

 

Concludendo, la Suprema Corte ha così rigettato il ricorso proposto dalla società e confermato il diritto dei dipendenti alla porzione ‘extra’ di stipendio.

 

Fonte: Corte di Cassazione, Sentenza n. 14848 del 28 maggio 2024.

 

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Claudio Garau

Lunedì 28 ottobre 2024