Il licenziamento rappresenta una decisione unilaterale dell’azienda per risolvere il contratto con il dipendente, ma la legge impone limitazioni specifiche. Esistono due principali motivazioni: ragioni oggettive legate all’attività aziendale e comportamenti del dipendente che rompono il vincolo fiduciario. Scopri le differenze chiave tra giusta causa e giustificato motivo soggettivo e le conseguenze legali per entrambe le situazioni.
Il licenziamento si qualifica come una decisione unilaterale dell’azienda di risolvere il contratto stipulato con il lavoratore dipendente.
A tutela della posizione di quest’ultimo, la normativa limita le motivazioni che possono giustificare il datore di lavoro a interrompere il contratto.
Esistono due macrocategorie di ragioni che legittimano il licenziamento:
- ragioni oggettive, legate all’attività economico – produttiva;
- motivazioni connesse a comportamenti del dipendente.
Con riguardo a questo secondo aspetto l’interruzione del contratto è motivata da condotte del lavoratore idonee a rompere il vincolo fiduciario con l’azienda, rendendo di fatto impossibile proseguire la collaborazione. Appartengono al gruppo descritto i licenziamenti per giusta causa (GC) e quelli per giustificato motivo soggettivo (GMS).
Cosa cambia tra le due fattispecie? Analizziamo la questione in dettaglio.
Cos’è il licenziamento per giustificato motivo soggettivo?
Appartenente, al pari del licenziamento per giusta causa (GC), alla categoria dei provvedimenti adottabili dall’azienda all’esito di una procedura di contestazione disciplinare per condotta del lavoratore contraria al regolamento interno, il licenziamento per giustificato motivo soggettivo (GMS) ricorre nel momento in cui il dipendente si rende responsabile di un