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La questione della parità di genere è estremamente dibattuta non solo in ambito italiano ma anche europeo, in considerazione del difficile equilibrio tra i diritti tra i due sessi.
Sull’argomento si è espressa di recente anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che con la Sentenza n. C-113/22 del 14 settembre 2023 ha riacceso i riflettori sulla tutela dei padri che percepiscono una pensione di invalidità.
Con tale Sentenza infatti la Spagna è stata obbligata a riconoscere l’indennità di maternità in favore dei padri che percepiscono una pensione di invalidità in presenza di uno o più figli; il caso contrario secondo la Corte configurerebbe infatti una discriminazione basata sul sesso che viola la Direttiva 79/7/CEE del 19 dicembre 1978.
Le tutele del padre lavoratore: profili di parità di genere
L’importanza di tale Sentenza deriva dalle conclusioni a cui è giunta la Corte di Giustizia; in particolare lo squilibrio (che di solito è posto al centro dell’attenzione quando a soccombere in termini di diritti è la donna) riguarda nel caso specifico il padre lavoratore, creando una sorta di “discriminazione a rovescio”.
In effetti secondo quanto già stabilito con precedenti sentenze, non si considera discriminazione il beneficio riservato alla lavoratrice, se il suo scopo è quello di compensare gli svantaggi professionali conseguenti dall’allontanamento dal posto di lavoro durante il periodo della gravidanza e della crescita dei figli.
Tale concetto può essere applicato anche al congedo di maternità.
Tale tesi è avvalorata anche dalla Corte Costituzionale italiana secondo la quale tutelare persone che appartengono a gruppi sociali svantaggiati come le donne, non comporta una discriminazione in termini di maggiori diritti nei loro confronti, ma significa equiparare una situazione di svantaggio in partenza che tali soggetti hanno nel mondo del lavoro.
Il caso: la situazione del padre lavoratore con pensione di invalidità
Il caso posto all’attenzione della Corte di Giustizia Europea dimostra il difficile equilibrio tra le esigenze delle diverse categorie di genere, nel rischio di poter dare ad alcune categorie dei vantaggi in termini professionali pur partendo da una situazione di svantaggio: infatti la CG UE ha stabilito che la domanda volta alla concessione di un’integrazione della pensione, proposta da un soggetto di sesso maschile, la quale è stata respinta dall’autorità competente sulla base di una normativa nazionale che limita la concessione di tale integrazione ai soggetti di sesso femminile, deve essere considerata valida.
Infatti, la negazione di tale beneficio è da considerarsi discriminazione diretta fondata sul sesso, e il giudice nazionale deve ingiungere all’autorità che ha negato tale integrazione non solo di concedere all’interessato l’integrazione della pensione richiesta, ma anche di corrispondergli un indennizzo che consente di compensare integralmente i danni effettivamente subiti a causa di tale discriminazione sulla base delle norme nazionali applicabili, incluse spese e onorari dell’avvocato che ha sostenuto il soggetto in giudizio.
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A cura di Antonella Madia
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