La possibilità di ricollocare attivamente il dipendente in posizioni analoghe allo scopo di evitare il licenziamento è cosa nota: si chiama obbligo di repêchage.
Ma quando (ed entro quanto) si configura tale obbligo?
Obbligo di repêchage: cos’è
Come noto, il datore di lavoro prima di poter procedere a un licenziamento per giustificato motivo oggettivo per eliminazione di una specifica mansione, deve vagliare ogni altra opportunità di collocare diversamente il lavoratore interessato dall’eventuale licenziamento.
Tale obbligo è strettamente connesso con quanto stabilito dalla Legge n. 604/1966 articolo 3, relativamente al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ossia quello dettato da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento della medesima.
È pienamente legittimo, infatti, che il datore di lavoro sopprima una specifica posizione lavorativa se essa non è più necessaria, ad esempio a seguito di innovazioni tecnologiche, oppure per una modifica dell’assetto aziendale che ha richiesto la soppressione di quella specifica attività.
Ad ogni modo, sebbene la legge citata non parli espressamente di repêchage, il Legislatore riconosce al datore di lavoro la possibilità di ricorrere a tale tipologia di licenziamento quando sussistono le motivazioni suddette.
È stata opera della giurisprudenza la limitazione tra due interessi contrapposti, ossia la libertà di iniziativa economica privata per il datore di lavoro e l’interesse del dipendente alla conservazione del posto di lavoro dall’altra.
In effetti un licenziamento deve essere fondato su ragioni concrete, e quindi basarsi su una reale motivazione, non pretestuosa, ma anche sull’impossibilità di collocare il suddetto lavoratore in un’altra mansione parallela.
Il repêchage, quindi, è stato introdotto dalla Giurisprudenza, e comporta che il datore di lavoro – quando possibile – debba provare a impiegare in mansioni diverse il lavoratore da licenziare allo scopo di proseguire il rapporto di lavoro; si procede al licenziamento solamente come extrema ratio.
Il caso trattato dalla Suprema Corte
Ma cosa succede se le mansioni alternative si liberano solamente in un momento successivo a quello del licenziamento per GMO?
A tale interrogativo fornisce soluzione nuovamente la Corte di Cassazione, questa volta con la Sentenza n. 12132 dell’8 maggio 2023, con la quale vengono fornite nozioni giurisprudenziali di notevole importanza per stabilire il confine tra il diritto e l’obbligo posto in capo al datore di lavoro.
Il caso sorge a fronte di una richiesta posta di fronte al Tribunale per dichiarare l’illegittimità di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in quanto non era stato osservato l’obbligo di repêchage: infatti il lavoratore al momento in cui era stato licenziato non poteva essere collocato all’interno di posizioni diverse, ma il datore di lavoro aveva l’onere di provare anche che in un periodo immediatamente successivo al recesso non era stata effettuata alcuna nuova assunzione su qualifica analoga e anche che non si fossero liberati nuovi posti compatibili con le mansioni svolte dal lavoratore licenziato.
Più in particolare, il caso portato innanzi alla Corte riguarda la presenza di soggetti dimissionari che avrebbero reso disponibili delle posizioni lavorative nell’immediato futuro per il lavoratore licenziato: secondo i giudici di Cassazione, la situazione aziendale al momento del licenziamento non deve costituire la fotografia certa e precisa entro cui valutare la ricollocabilità del lavoratore, ma l’obbligo di ricollocamento deve riguardare anche posizioni lavorative che si rendono disponibili nell’immediato futuro.
Nel caso specifico, tali posizioni lavorative erano quelle di due colleghi dimissionari con mansioni del tutto analoghe a quelle svolte dal lavoratore licenziato, i quali avevano già presentato le loro dimissioni e si trovavano all’interno del periodo di preavviso.
I risvolti dell’opinione giurisprudenziale
C’è da dire che tale Sentenza genera alcune situazioni che potrebbero comportare problematiche in futuro: in effetti, all’interno dell’azienda interessata dalla pronuncia era in corso una ristrutturazione aziendale che comportava grandi cambiamenti all’interno di essa, e – appunto – i lavoratori dimissionari rientravano all’interno di un più ampio riassetto delle mansioni e dell’organizzazione interna dell’azienda, che stava vivendo una crisi e un calo di fatturato.
Il fatto che la Corte di Cassazione non abbia preso in considerazione tali elementi, ma che si sia limitata solamente a stabilire un obbligo di repêchage più esteso nel tempo immediatamente successivo al licenziamento, potrebbe rendere difficile mettere dei paletti all’obbligo di repêchage e al corrispondente diritto del lavoratore ad essere ricollocato su posizioni analoghe.
D’altro canto, la Sentenza ci mette di fronte al fatto che il datore di lavoro, prima di intimare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, deve porre in essere ogni rimedio utile per vagliare le opportunità di ricollocamento del lavoratore medesimo e garantire la non pretestuosità del licenziamento intimato.
A cura di Antonella Madia
Lunedì 28 agosto 2023