Nel contesto economico attuale, onde agevolare la gestione del capitale umano di un’azienda, il datore di lavoro che deve ridurre la forza di lavoro necessaria senza utilizzare la procedura del licenziamento, con lo scopo di evitare contestazioni, può utilizzare lo strumento dell’incentivo all’esodo per trovare una soluzione condivisa con lavoratore.
Incentivo all’esodo: in cosa consiste
Come noto l’incentivo all’esodo è costituito da una somma di denaro che il datore di lavoro eroga al dipendente allo scopo di indurre il lavoratore ad anticipare la risoluzione del rapporto di lavoro rispetto alla sua naturale scadenza.
Nota: sono considerati importi rientranti nell’incentivi all’esodo, le somme erogate dal datore di lavoro al lavoratore al fine di favorire la risoluzione del rapporto di lavoro e occorre ribadire che la quantificazione dell’incentivo all’esodo passa attraverso la negoziazione con il lavoratore, non essendo previsti parametri oggettivi per la valorizzazione (in alcuni casi viene offerto al lavoratore, oltre al vero e proprio incentivo in denaro, anche un aiuto nella ricerca di un nuovo lavoro nel più breve tempo possibile).
Tali somme, per essere considerate tali, non è sufficiente che siano corrisposte in coincidenza con il termine del rapporto di lavoro, ma occorre che risulti che l’erogazione sia finalizzata allo scioglimento del contratto di lavoro (gli incentivi all’esodo non sono utili ai fini del computo del TFR).
Nota: i diritti indisponibili del lavoratore, come disposto dall’art. 2113 del codice civile, possono essere oggetto solo di accordi raggiunti in sede giudiziale (artt. 185 e 420 c.p.c.) e in sede protetta (generalmente la firma delle parti avviene dinanzi alla Commissione provinciale di conciliazione presso la Direzione provinciale del lavoro competente per territorio o presso una sede sindacale (sindacato dei datori di la