Le consulenze tecniche d'ufficio per i commercialisti

La consulenza tecnica è uno degli aspetti della professione di commercialista che può essere estremamente interessante (anche dal punto di vista remunerativo) ma che spesso è misconosciuto in quanto si tratta di attività strettamente collegata ad attività del Tribunale; proponiamo un’introduzione di 11 pagine al mondo delle consulenze tecniche

1.1 Le consulenze tecniche contabili

1.1.1 Natura e funzioni del consulente tecnico

La consulenza tecnica svolta nell’ambito di procedimenti giudiziari è prevista dal codice di procedura civile agli artt. da 61 a 64 per i quali il giudice può farsi assistere, per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica. La scelta dei consulenti tecnici deve essere formalmente fatta tra le persone iscritte in albi speciali.

Il consulente compie le indagini che gli sono commissionate dal giudice e fornisce, in udienza e in camera di consiglio, i chiarimenti che il giudice gli richiede.

Si ricorda che il procedimento civile è informato al c.d. “principio dispositivo” per il quale sono le parti a fornire al giudice gli elementi necessari per la soluzione della lite: la consulenza tecnica, nell’ambito dell’attività istruttoria, non rappresenta un mezzo di prova ma è soltanto un ausilio con il quale il giudice affida ad un esperto la valutazione di atti per i quali è richiesta, appunto, una specifica competenza scientifica.

La consulenza tecnica è pertanto un mezzo di valutazione di atti già acquisiti che non rientra nella libera disponibilità delle parti ma nei poteri discrezionali del giudice, che può decidere in ordine alla sua necessità o opportunità.

Il consulente nominato dal giudice ha l’obbligo, penalmente sanzionato, di prestare la sua opera, salvo che non ricorra un giusto motivo di astensione.

Il C.T.U. deve esaminare soltanto gli atti e i documenti prodotti in causa; con il consenso di tutte le parti può essere autorizzato all’esame anche di documenti non prodotti in cau- sa. A miglior precisazione di tale precetto si osserva che il C.T.U. può utilizzare, anche senza specifica autorizzazione del giudice, tutti gli elementi necessari per rispondere ai quesiti posti purché gli stessi siano configurabili quali dati accessori rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza.

Particolare attenzione deve essere posta al momento della formulazione dei quesiti per i quali sarebbe sempre opportuno coinvolgere lo stesso C.T.U., poiché talvolta le parti chiedono di rivolgere al consulente domande generiche o non rilevanti o addirittura in- dagini su fatti che le stesse hanno l’onere di provare.

In linea di principio il quesito dovrebbe essere formulato in modo specifico delimitando esattamente il campo di indagine che viene affidato al consulente nominato.

Si ricorda che la Corte di Cassazione, intervenuta più volte sull’argomento, ha di volta in volta precisato che al consulente tecnico non si possono attribuire:

a) incarichi che si risolvono nella determinazione in concreto della volontà normativa, in relazione al rapporto dedotto in giudizio;

b) compiti di valutazione e definizione di situazioni giuridiche che integrano, quale giu- dizio, l’indefettibile natura della funzione giurisdizionale;

c) l’individuazione delle norme che disciplinano le singole fattispecie dedotte in giudizio;

d) compiti di interpretazione e valutazione della prova documentale, assumendo conclusioni sull’esistenza o meno di obbligazioni a carico dell’una o dell’altra parte.

All’udienza fissata per il conferimento dell’incarico il consulente giura di “bene e fedelmente adempiere le funzioni affidategli al solo scopo di far conoscere al giudice la verità”, secondo la formula di cui all’art. 193 c.p.c. Il giudice formula quindi il quesito precisando le modalità e il termine assegnato per lo svolgimento dell’incarico. Il C.T.U. deve indicare il luogo e la data di inizio delle operazioni peritali e l’inserimento nel ver- bale di udienza di tali indicazioni evita di dover nuovamente avvertire le parti e i loro eventuali consulenti di parte.

Il termine per il deposito della relazione è di tipo ordinatorio e l’eventuale mancato rispetto, anche di eventuali proroghe concesse, non provoca la nullità della consulenza tecnica.

Nel conferire l’incarico il giudice può autorizzare il C.T.U. a domandare chiarimenti alle parti e ad assumere informazioni da terzi, ai sensi dell’art. 194, primo comma, c.p.c.. Al riguardo la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha precisato che il consulente tecnico può chiedere informazioni a terzi per l’accertamento dei fatti collegati con l’og- getto dell’incarico senza bisogno di una preventiva autorizzazione del giudice e queste informazioni, quando ne siano indicate le fonti in modo da permettere il controllo delle parti, possono concorrere con le altre risultanze di causa alla formazione del convincimento del giudice.

Nei rapporti con eventuali consulenti tecnici nominati dalle parti il C.T.U. è tenuto a garantire la più ampia partecipazione allo svolgimento delle operazioni peritali per con- sentire il corretto esercizio del diritto di difesa e del contraddittorio tra le parti in ordine alle modalità con le quali il C.T.U. riterrà di svolgere l’incarico. È importante che il C.T.U. espliciti sempre nella maniera più chiara le motivazioni delle sue scelte, soprattutto quando i criteri e le metodologie di risoluzione dei quesiti non sono condivisi dai consulenti di parte.

Alle sessioni peritali possono partecipare le parti direttamente o per mezzo dei loro difensori o consulenti di parte. Il C.T.U. deve pertanto garantire la tempestiva informazione in ordine ad ogni sessione: per la prima riunione solitamente si inserisce nel verbale di udienza del conferimento dell’incarico l’inizio delle operazioni; successivamente il C.T.U. può inserire nel verbale degli incontri le date di nuova convocazione.

Se invece le operazioni peritali vengono rinviate a data da destinarsi dovrà provvedere nuovamente a convocazione a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento. A questo proposito si osserva che le attività del C.T.U. meramente acquisitive di elementi emergenti da pubblici registri e accessibili a chiunque (atti di pubblici registri) non costituiscono vere e proprie operazioni tecniche così come lo svolgimento di elaborazioni contabili e conteggi che possono in linea di massima essere eseguiti senza dare avviso alle parti.

Il C.T.U., per tali operazioni svolte senza la presenza dei consulenti di parte, dovrà trasmetterne copia agli stessi per consentirgli di far pervenire le loro osservazioni alle quali lo stesso consulente d’ufficio potrà replicare allegando osservazioni alla relazione di consulenza tecnica. Alla relazione dovranno altresì essere allegate copie dei verbali delle operazioni peritali.

Si ricorda che, per le controversie di natura contabile, l’art. 198 c.p.c. prevede espressamente che il giudice istruttore possa dare incarico al C.T.U. di tentare la conciliazione tra le parti: si ritiene al riguardo che, anche in assenza di disposizione del giudice, il consulente d’ufficio possa comunque proporre la conciliazione.

Riguardo alla liquidazione del compenso al C.T.U. la normativa di riferimento è attualmente costituita dalla legge 8 luglio 1980, n. 319, dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 e dal decreto ministeriale 30 maggio 2002.

Per determinare il valore della controversia il riferimento è all’oggetto dei quesiti e se gli stessi si articolano in più richieste per le quali vengono attuati distinti accertamenti per ognuno degli stessi sarà autonomamente liquidabile un compenso: qualora la perizia o consulenza tecnica riguardi più annualità o più soggetti, o più oggetti costituenti il que- sito o i quesiti, il compenso complessivo è costituito dalla somma dell’onorario relativo a ciascun soggetto, a ciascun oggetto di quesito e a ciascun anno dell’oggetto del quesito (Cass. civ., sez. I, n. 10299 dell’8 settembre 1992).

Nell’ambito dei procedimenti penali la consulenza tecnica può essere disposta dal giudice, in base all’art. 220 c.p.p., per il quale la perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche.

Diverso tipo di consulenza tecnica è quella che può essere disposta dal pubblico ministero ai sensi degli artt. 359-360, 225 e 233 c.p.p. Il consulente tecnico in tal caso riceve l’incarico da una parte del procedimento e, linea di principio, la sua attività non è soggetta a vincoli formali particolari essendo la sua attività strumentale alle determinazioni inerenti l’esercizio dell’azione penale da parte del P.M..

Il consulente tecnico del P.M. ha comunque natura pubblicistica e deve attenersi al principio di “imparzialità” della pubblica accusa che deve comunque valutare tutti gli elementi probatori disponibili anche se contrari alla sussistenza di profili di rilievo penale.

 

1.1.2 L’interpretazione dei quesiti

Preliminarmente alla esecuzione delle operazioni peritali è indispensabile che il consu- lente proceda ad interpretare correttamente la formulazione dei quesiti posti. Ciò perché da una corretta interpretazione delle domande poste discende la corretta individuazione dell’indagine da compiere.

Sebbene tale affermazione possa apparire banale se ne evidenzia comunque l’importanza soprattutto nei casi in cui le domande poste possano dar luogo a interpretazioni diverse.

Con l’interpretazione di un argomento espresso in testo scritto si attua un processo di attribuzione di un significato in base alle conoscenze dell’argomento possedute dall’interprete.

L’attività di interpretazione non deve limitarsi all’esame del solo elemento testuale poi- ché alcuni vocaboli contenuti nel quesito possono talvolta essere definiti da norme di legge alle quali occorre far riferimento. Analogamente alle tecniche dell’interpretazione giuridica pertanto il consulente deve individuare il significato del quesito sia in base alla connessione delle parole che lo compongono sia valutando lo scopo, nel procedimento giudiziario, del quesito posto.

L’interpretazione del quesito deve essere quindi effettuata in modo letterale, logico-sistematico e teleologico, con riguardo a tutte le caratteristiche e gli aspetti giuridici che scaturiscono dal procedimento giudiziario che lo origina: al riguardo il consulente deve avere premura di leggere e comprendere tutti gli atti processuali e i verbali di udienza eventualmente approfondendo taluni aspetti procedimentali per i quali può comunque essere rilevante la loro completa assimilazione per la compiuta interpretazione delle domande poste.

Nel dubbio, è necessario che il consulente approfondisca con il giudice eventuali aspetti per i quali non ritiene di avere ben chiara la natura o gli scopi delle richieste formulate.

L’accuratezza di questa fase preliminare è assolutamente indispensabile per il corretto svolgimento delle fasi successive. Si ritiene opportuno esplicitare nella relazione di con- sulenza tecnica le modalità con le quali il consulente ha interpretato le richieste fatte per consentire il vaglio delle stesse da parte del giudice e delle parti.

 

1.1.3 La struttura della relazione

Tenuto conto della natura e della particolarità delle analisi richieste caso per caso è evi- dente che non è possibile individuare una struttura standard valida per ogni consulenza, ma anzi ogni quesito richiederà una stesura specifica e personalizzata al fine di ottimizzare l’ergonomia espositiva e raggiungere il miglior risultato comunicativo possibile.

Si possono fornire indicazioni di carattere generale che potranno e dovranno essere adat- tate di volta in volta al caso concreto osservando gli elementi informativi che dovrebbero essere presenti in una relazione di consulenza tecnica. Ovviamente l’articolazione della stessa potrà essere più o meno sintetica a seconda dell’ampiezza e della difficoltà dei quesiti.

Le parti essenziali della relazione si possono individuare nelle seguenti:

a) copertina della relazione: si riportano le indicazioni di riferimento del tribunale, del procedimento con il numero di ruolo generale, del giudice, delle parti, della data della prossima udienza, del C.T.U.;

b) indice: non indispensabile, ma utile soprattutto per le relazioni più consistenti in termini di numero di pagine;

c) premessa: si riportano le informazioni preliminari relative alla udienza di conferimento dell’incarico, al quesito nella sua esatta formulazione letterale come desumibile dal verbale di udienza, ai procuratori e consulenti di parte nominati;

d) interpretazione del quesito: si dà evidenza del processo ermeneutico che porta alla interpretazione dei quesiti formulati;

e) operazioni peritali svolte: si indicano in senso cronologico tutte le operazioni e le attività anche strumentali alle sessioni peritali vere e proprie, che hanno caratterizzato lo svolgimento dell’incarico;

f) criteri metodologici: si esplicitano i criteri metodologici posti a base delle operazioni peritali eventualmente fornendo anche la definizione dei concetti tecnici di ausilio alla risoluzione dei quesiti;

g) risposta al quesito: costituisce il cuore della relazione ed in essa si espongono nel modo più analitico possibile gli iter logici, procedimentali, tecnici seguiti dando la più ampia evidenza dei conteggi con l’ausilio di tabelle, grafici e ogni altro strumento matematico- finanziario da esplicare nelle sue caratteristiche di funzionamento e applicazione. Nei casi, frequenti nella prassi, di pluralità di richieste, si seguirà l’articolazione strutturale del quesito scomponendolo nelle sue varie parti;

h) conclusioni: costituisce la sintesi di quanto dettagliato al punto precedente e consente al lettore della relazione di avere immediata cognizione delle risposte fornite;

i) osservazioni dei C.T.P.: le eventuali osservazioni dei C.T.P. dovranno trovare ingresso nella relazione o negli allegati alla stessa;

j) repliche del C.T.U.: possono essere poste a immediato corredo del punto precedente. Quando le osservazioni dei C.T.P. sono complesse e articolate può essere maggiormente intelligibile per il lettore inframezzare i chiarimenti del C.T.U. alle varie considerazioni dei C.T.P., in tal caso accorpando in un’unica parte i punti i) e j);

k) elenco documenti esaminati/allegati.

 

1.2 Le valutazioni

Nota: Il contenuto che segue è tratto e rielaborato da OIV, Principi Italiani di Valutazione 2015, Egea.

La valutazione è una stima di una specifica configurazione di valore riferita ad una specifica attività, ad una specifica data e tenendo conto delle finalità della stima. Come tale essa richiede una dose significativa di giudizio da parte dell’esperto e non può coincidere con la mera applicazione di una formula matematica.

Quando oggetto di stima è il valore di mercato, questo può differire dal prezzo che si forma successivamente sul mercato per lo stesso bene sia perché il prezzo si riferisce ad una data successiva, con aspettative e informazioni diverse, sia perché riflette le caratteristiche e gli interessi degli specifici acquirente e compratore e non quelli di un generico partecipante al mercato.

La stima, per essere credibile, deve essere svolta da un soggetto competente e imparziale, nel rispetto di un codice etico, di principi valutativi di riferimento e con tempi e risorse adeguati.

La valutazione non deve essere prudente, ma obiettiva, cioè ragionevolemente condivisibile da altri esperti indipendenti dotati di adeguate competenze tecniche, esperienza professionale e che seguono i medesimi principi di valutazione.

L’esercizio dello spirito critico (professional skepticism) è la modalità attraverso cui l’esperto giunge ad un giudizio motivato di valutazione.

Affinché il giudizio sia fondato su basi solide è indispensabile che l’esperto disponga di adeguate competenze tecniche, di una buona esperienza professionale e delle necessarie conoscenze dell’oggetto e scopo della valutazione.

L’opinione di valore cui giunge l’esperto deve essere:

a) razionale: la valutazione deve seguire uno schema logico rigoroso, convincente e fondato su principi di razionalità economica;

b) verificabile: il processo valutativo deve poter essere dimostrato con riguardo alla provenienza dei dati utilizzati, all’attendibilità e autorevolezza delle fonti, alla ragio- nevolezza delle ipotesi assunte, alla correttezza dei passaggi logico-matematici alla base dei calcoli, alla ragionevolezza delle conclusioni;

c) coerente: l’esperto deve garantire la corrispondenza più ampia tra la base informativa, gli obiettivi della valutazione e i risultati conseguiti;

d) affidabile: l’esperto deve circoscrivere la discrezionalità valutativa, garantendo obiettività di giudizio;

e) professionale: l’esperto deve aderire ad un codice etico e garantire un processo di valutazione esente da distorsioni;

f) competente: l’esperto deve essere dotato della capacità, esperienza e conoscenza adeguate all’oggetto e finalità della valutazione.

Il processo di valutazione si sviluppa attraverso le seguenti fasi:

1. formazione e apprezzamento della base informativa: occorre reperire la migliore informazione ragionevolmente reperibile esercitando l’ordinaria diligenza;

2. applicazione dell’analisi fondamentale: esame degli elementi distintivi che caratterizzano l’oggetto della valutazione nonché dei contesti e degli scenari futuri dei mercati di riferimento;

3. selezione delle metodologie di stima più idonee agli scopi della valutazione: riconducibili alle tre macroclassi delle metodiche di mercato, del reddito e del costo;

4. apprezzamento dei principali fattori di rischio: evidenza degli elementi di criticità che possono inficiare il risultato della valutazione;

5. costruzione di una razionale sintesi valutativa: il risultato del lavoro trova esposizio- ne in un documento scritto la cui struttura minima dovrebbe contenere i punti che si evidenziano di seguito.

 

1.2.1 La relazione valutativa

La relazione di valutazione dovrebbe contenere i seguenti contenuti minimi:

1. identità del committente e destinatari della valutazione;

2. descrizione dell’incarico;

3. oggetto della valutazione;

4. finalità della valutazione;

5. data di riferimento della valutazione;

6. dichiarazione di possesso dei requisiti legali del valutatore;

7. configurazione di valore adottata (valore di mercato, convenzionale, di  smobilizzo, intrinseco, di adempimento ecc.);

8. base informativa utilizzata;

9. analisi fondamentale (documentale, di contesto, storica, prospettica, fattori di rischio e variabili di mercato);

10. metodiche e criteri di valutazione adottati con indicazione delle motivazioni delle scelte;

11. sintesi valutativa.

 

1.3 Il sovraindebitamento

La legge 27 gennaio 2012, n. 3 ha introdotto nel nostro ordinamento la possibilità per i soggetti privati, gli enti non commerciali e gli imprenditori non fallibili di trovare una composizione della propria crisi da sovraindebitamento pervenendo, in caso di buon esito della procedura ed in presenza di determinati requisiti, alla propria esdebitazione.

La legge prevede che il debitore sia assistito, nella formulazione della proposta da rivolgere ai propri creditori, da un organismo di composizione della crisi (o.c.c.) o da un professionista eleggibile alle funzioni di curatore fallimentare nominato dal tribunale in cui si trova la residenza anagrafica del debitore.

La legge introduce due tipi di procedure, modellate sui paradigmi del concordato preventivo e del fallimento di cui alla legge fallimentare.

La prima è l’accordo con i creditori nella quale è necessario ottenere il consenso del 60% dei crediti per ottenere l’omologa dell’accordo.

Per i soli consumatori, ovvero per la sistemazione di debiti non derivanti dallo svolgi- mento di attività economiche, è opzionabile l’alternativo piano del consumatore nel quale il consenso dei creditori è sostituito dall’apprezzamento discrezionale del giudice che dovrà valutare il requisito della meritevolezza, ovvero, in sintesi, la incolpevolezza e inconsapevolezza del proprio sovraindebitamento.

In alternativa il debitore può chiedere la liquidazione del patrimonio con l’avvertenza che, anche in tal caso, l’esdebitazione è condizionata alla presenza del requisito della meritevolezza.

Il contenuto minimo della proposta di accordo con i creditori è indicato nell’art. 9 della legge 3/2012, secondo il quale al ricorso devono essere allegati:

1. l’elenco di tutti i creditori, con l’indicazione delle somme dovute;

2. l’elenco di tutti i beni del debitore e degli eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi 5 anni;

3. le dichiarazioni dei redditi degli ultimi 3 anni;

4. l’attestazione di fattibilità del piano;

5. l’elenco delle spese correnti necessarie al sostentamento del debitore e della sua famiglia, previa indicazione della composizione del nucleo familiare corredata del certificato dello stato di famiglia.

Se il debitore svolge attività d’impresa deve depositare altresì le scritture contabili degli ultimi 3 esercizi, unitamente a dichiarazione che ne attesti la conformità all’originale.

Alla proposta di piano del consumatore è altresì allegata una relazione particolareggiata dell’o.c.c. che deve contenere:

a) l’indicazione delle cause dell’indebitamento e della diligenza impiegata nell’assumere volontariamente le obbligazioni;

b) l’esposizione delle ragioni dell’incapacità di adempiere le obbligazioni assunte;

c) il resoconto sulla solvibilità negli ultimi 5 anni;

d) l’indicazione della eventuale esistenza di atti impugnati dai creditori;

e) il giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata a corredo della proposta, nonché sulla probabile convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria.

 

1.3.1 Il ruolo dell’o.c.c.

Riguardo alla possibilità di avvalersi di consulenti personali pare diffuso l’orientamento che ritiene che il debitore possa avvalersene per la redazione della proposta (Tribunale di Vicenza, 6 maggio 2014; Tribunale di Pistoia, 19 novembre 2014) limitando l’attività dell’o.c.c. alla sola attestazione di fattibilità.

Anzi nella maggioranza dei casi in cui tra i creditori vi sono banche e società finanzia- rie appare opportuno che la predisposizione del piano venga curata da professionisti di fiducia del debitore.

Ciò in quanto per i creditori del sistema finanziario sarà frequente dover scrutinare e contestare la sussistenza di patologie o illeciti contrattuali imputabili al finanziatore che potranno dar luogo a previsioni risarcitorie o trattamenti deteriori. Tale attività potrebbe rendere critica la posizione di indipendenza e terzietà rispetto alle parti richiesta all’o.c.c. quantomeno come percepibile dagli stessi creditori coinvolti.

 

1.4 L’arbitrato

L’arbitrato è uno strumento di risoluzione delle controversie alternativo rispetto alla giurisdizione ordinaria ed è disciplinato negli artt. da 806 a 832 del codice di procedura civile.

Per mezzo di un accordo scritto, denominato convenzione di arbitrato, le parti possono devolvere ad un arbitro unico o un collegio arbitrale la risoluzione di controversie in materia di diritti disponibili pervenendo ad una decisione contenuta in un documento, detto lodo, che produce effetti analoghi ad una sentenza.

Il contenuto minimo del lodo è precisato nell’art. 823 c.p.c. per il quale il documento deve contenere:

1. il nome degli arbitri;

2. l’indicazione della sede dell’arbitrato;

3. l’indicazione delle parti;

4. l’indicazione della convenzione di arbitrato e delle conclusioni delle parti;

5. l’esposizione sommaria dei motivi;

6. il dispositivo;

7. la sottoscrizione degli arbitri;

8. la data delle sottoscrizioni.

Riguardo alla responsabilità connessa alla funzione si ricorda che risponde dei danni causati alle parti l’arbitro che:

i) con dolo o colpa grave ha omesso o ritardato atti dovuti ed è stato perciò dichiarato decaduto oppure ha rinunciato all’incarico senza giustificato motivo;

ii) con dolo o colpa grave ha omesso o impedito la pronuncia del lodo entro il termine fissato a norma degli artt. 820 o 826 c.p.c.

Inoltre, e ciò costituisce un notevole avvicinamento della disciplina sulla responsabilità degli arbitri rispetto a quella dettata per i magistrati, viene previsto che fuori dalle ipotesi indicate nei primi due numeri dell’art. 813-ter c.p.c. gli arbitri rispondono esclusivamente per dolo o colpa grave entro i limiti previsti dall’art. 2, commi 2 e 3, della legge 117 del 13 aprile 1988 (legge sulla responsabilità civile dei magistrati). Al riguardo si è pronunciata la Cassazione civile, sez. III, con decisione del 18 marzo 2008, n. 7272, affermando che “i presupposti della responsabilità dello Stato per grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile nell’esercizio delle fun- zioni giudiziarie, ai sensi dell’art. 2, terzo comma, lett. a), l. n. 117 del 1988, devono ritenersi sussistenti allorquando nel corso dell’attività giurisdizionale si sia concretiz- zata una violazione evidente, grossolana e macroscopica della norma stessa ovvero una lettura di essa in termini contrastanti con ogni criterio logico o l’adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore o la manipolazione assolutamente arbitraria del testo normativo o ancora lo sconfinamento dell’interpretazione nel diritto libero”. Nello stesso senso, più di recente, Cass. civ., sez. III, 26 maggio 2011, n. 11593.

 

1.5 I principi tecnici di riferimento

Le attività estimative e di valutazione di beni, redditi e grandezze economiche nelle materie di competenza dei dottori commercialisti e degli esperti contabili possono essere richieste su mandato privatistico o dell’autorità giudiziaria.

La natura dell’oggetto della valutazione determina il corredo di competenze e di principi tecnici da utilizzare per lo svolgimento dell’incarico.

A livello nazionale gli standard setter di riferimento sono i seguenti.

 

Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili (CNDCEC)

L’organo di rappresentanza nazionale della professione economico-giuridica, per mezzo delle sue commissioni e gruppi di studio, elabora e rende pubblici periodicamente documenti, studi e ricerche per specifici argomenti liberamente consultabili nell’area istituzionale del sito www.cndcec.it.

 

L’Organismo italiano di contabilità (OIC)

L’Organismo italiano di contabilità è stato costituito, nella veste giuridica di fondazione, il 27 novembre 2001. Gli attuali soci sono: per la professione contabile, l’Assirevi, il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili; per i preparers, l’Abi, l’Andaf, l’Ania, l’Assilea, l’Assonime, la Confagricoltura, la Confcommercio, la Confcooperative, la Confindustria e la Lega delle cooperative; per gli users, l’Aiaf, l’As- sogestioni e la Centrale Bilanci; per i mercati mobiliari, la Borsa Italiana.

I Ministeri della giustizia e dell’economia e delle finanze, nonché le Autorità regolamentari di settore (Banca d’Italia, Consob e Ivass) hanno espresso il loro favore all’iniziativa.

La legge 11 agosto 2014, n. 116, di conversione del decreto legge 91/2014, riconosce il ruolo e le funzioni dell’OIC.

I principi contabili nazionali sono consultabili sul sito www.fondazioneoic.eu.

 

L’Organismo italiano di valutazione (OIV)

Costituito nel novembre 2011, l’Organismo italiano di valutazione (OIV) persegue tre principali obiettivi:

consulenze tecniche contabili

a) predisporre e mantenere aggiornati i Principi Italiani di Valutazione di aziende, di strumenti finanziari e di attività reali;

b) partecipare al dibattito internazionale degli esperti di valutazione dando voce alle migliori professionalità del nostro Paese;

c) divenire un riferimento per il legislatore nazionale.

Per il perseguimento di questi fini l’OIV:

a) pubblica sul proprio sito web guide tecniche, linee guida applicative, position paper, ecc. e più in generale documenti orientativi per gli esperti e gli utilizzatori delle valutazioni;

b) ha deliberato di diventare sponsor dell’IVSC – International Valuation Standard Council, lo standard setter internazionale;

c) intende promuovere la conoscenza dei principi di valutazione internazionali e nazionali.

 

31 ottobre 2016

Agostini Filippo

 

estratto dal libro Consulenze tecniche contabili – a cura Filippo Agostini – Maggioli editore