Il giudizio di ottemperanza è a carattere chiuso

il giudizio di ottemperanza questo sconosciuto… molti operatori del settore hanno poca dimestichezza col giudizio di ottemperanza: in questo articolo analiziamo quali sono gli effettivi poteri del giudice

Con la sentenza n. 13382 del 30 giugno 2016 la Corte di Cassazione ha confermato che nel giudizio di ottemperanza alle decisioni delle commissioni tributarie “il potere del giudice sul comando definitivo inevaso va esercitato entro i confini invalicabili posti dall’oggetto della controversia definita col giudicato (cosiddetto ‘carattere chiuso’ del giudizio di ottemperanza), sicché può essere enucleato e precisato il contenuto degli obblighi nascenti dalla decisione passata in giudicato, chiarendosene il reale significato e rendendolo quindi effettivo, ma non può attribuirsi un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello riconosciuto con la sentenza da eseguire, né può essere negato il diritto riconosciuto dal ‘dictum’ azionato (cfr. Cass. n. 8830 del 2014)”.

Inoltre, precisano i massimi giudici, “il ricorso per ottemperanza è ammissibile ogni qual volta debba farsi valere l’inerzia della p.a. rispetto al giudicato, ovvero la difformità specifica dell’atto da essa posto in essere rispetto all’obbligo processuale di attenersi all’accertamento contenuto nella sentenza da eseguire, al fine non di ottenere l’esecuzione coattiva del comando contenuto nel giudicato (come avviene nel complementare giudizio esecutivo civile), ma di rendere effettivo quel comando, con la conseguenza che il rimedio è ammissibile anche – e tanto più – quando la decisione contenga un comando privo dei caratteri della puntualità e precisione tipici del titolo esecutivo, rientrando nella discrezionalità del giudice dell’ottemperanza l’individuazione dei mezzi idonei ad assicurare l’esecuzione del giudicato (Cass. n. 4126 del 2004). Nel giudizio di ottemperanza, infatti, viene in luce con speciale evidenza il principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti garantita dall’art. 24, primo comma, Cost”.

Breve nota

Il giudizio di ottemperanza (previsto e regolamentato dall’art. 70 del D.Lgs. n. 546/92) risponde all’esigenza di salvaguardare la sfera di autonomia del potere esecutivo dal potere giudiziario, secondo il consolidato principio della separazione dei poteri. E’ un procedimento sui generis, teso a realizzare concretamente la sentenza emessa: suo oggetto, pertanto, è l’individuazione dei presupposti formali per la sua instaurazione e l’indagine di tutti gli effetti legalmente inclusi nel giudicato, che risultano indispensabili per il ripristino dell’integrità della posizione del ricorrente.

La norma è stata oggetto di riscrittura da parte del D.Lgs. n. 156 del 24.09.2015, atteso che la scelta di attribuire immediata esecutività, per tutte le parti in causa, alle sentenze delle commissioni tributarie, ha portato il legislatore a prevedere l’esperibilità del ricorso in ottemperanza, oltre che (come finora previsto) per le sentenze passate in giudicato, anche per altre fattispecie1.

Il legislatore non ha, tuttavia, modificato le modalità di presentazione del ricorso in ottemperanza. Il ricorso è quindi proponibile dopo la scadenza del termine entro il quale è prescritto l’esecuzione dell’adempimento da parte dell’ente impositore, dell’agente della riscossione o del soggetto iscritto nell’albo di cui all’art. 53 del D.Lgs. n. 446/97, degli obblighi derivanti dalla sentenza, nonché, in mancanza di tale termine, dopo 30 giorni dalla loro messa in mora a mezzo di ufficiale giudiziario e fino a quando l’obbligo non sia estinto.

Il ricorso in ottemperanza (che va indirizzato al presidente della commissione), deve contenere la sommaria esposizione dei fatti giustificativi, con l’indicazione, a pena di inammissibilità, della sentenza anche non definitiva di cui si chiede l’ottemperanza, che deve essere prodotta in copia unitamente all’originale o copia autentica dell’atto di messa in mora, ove necessario.

Ove il Collegio lo ritenga opportuno ed al fine di rimuovere lo stato d’inerzia dell’amministrazione, nomina un commissario ad acta affinché lo stesso adotti, entro un congruo termine assegnatogli, i necessari provvedimenti attuativi. L’attività del commissario ad acta è sostitutiva dell’amministrazione, incontrando come barriera ai suoi poteri gli eventuali limiti indicati dalla commissione all’atto della nomina.

In sede di giudizio di ottemperanza, il giudice deve soltanto provvedere in ordine all’esecuzione del giudicato e non anche in relazione a profili cognitivi estranei all’individuazione del contenuto e della portata del giudicato. Pertanto, osserva la Cassazione nella sentenza n. 13681/2005, “il potere del giudice sul comando definitivo inevaso va, comunque, esercitato entro i confini invalicabili posti dall’oggetto della controversia definita col giudicato, di tal che può essere enucleato e precisato il contenuto degli obblighi nascenti dalla decisione passata in giudicato, chiarendosene il reale significato, ma non può essere attribuito un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello riconosciuto con la sentenza da eseguire (Cass. n. 22188/2004)”.

In sede giurisprudenziale, la Corte di Cassazione è intervenuta spesso per indicare i limiti del giudizio di ottemperanza.

  • Sentenza n. 13681 del 18 marzo 2005, depositata il 24 giugno 2005, secondo cui in sede di giudizio di ottemperanza, il giudice deve soltanto provvedere in ordine all’esecuzione del giudicato e non anche in relazione a profili cognitivi estranei all’individuazione del contenuto e della portata del giudicato. Pertanto, “il potere del giudice sul comando definitivo inevaso va, comunque, esercitato entro i confini invalicabili posti dall’oggetto della controversia definita col giudicato, di tal che può essere enucleato e precisato il contenuto degli obblighi nascenti dalla decisione passata in giudicato, chiarendosene il reale significato, ma non può essere attribuito un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello riconosciuto con la sentenza da eseguire (Cass. n. 22188/2004)”. La Corte, inoltre, afferma nel prosieguo, un principio di rilievo spesso trascurato in ordine alla compensazioni fra crediti e debiti: ”la compensazione è possibile esclusivamente a condizione dell’avvenuta accettazione, espressa o tacita, della stessa da parte dell’ufficio. Qualora infatti il contribuente proponga domanda di compensazione del credito da giudicato con debiti fiscali sopravvenuti, l’adempimento dell’obbligo derivante dalla sentenza si perfeziona con l’adozione, da parte dell’ufficio tributario, del provvedimento di accettazione – esplicita o implicita – della suddetta domanda, che è produttivo dell’effetto giuridico della compensazione (Cass. n. 22761/2004)”.

  • Sentenza n. 22565 del 28 ottobre 2004, depositata l’1 dicembre 2004, con cui la Corte ha ritenuto non ammissibile la domanda di interessi anatocistici nei confronti della Amministrazione finanziaria, proposta per la prima volta nel giudizio di ottemperanza. Perciò ove tali interessi siano stati richiesti in sede di giudizio di ottemperanza, il giudice (nel caso di specie Commissione tributaria provinciale) deve accertare se tale domanda abbia o meno formato oggetto del decisum in sede ordinaria, dichiarando, per l’effetto, inammissibile la domanda stessa se formulata ex novo nel detto giudizio di ottemperanza. E simile inammissibilità può essere rilevata avanti alla Corte di Cassazione che esercita un sindacato pieno sulla correttezza “in diritto” della sentenza emessa nel giudizio di ottemperanza.

  • Sentenza n. 358 dell’1 luglio 2003 (dep. il 14 gennaio 2004), secondo cui il comma 1 dell’articolo 70 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, nel prevedere la domanda di ottemperanza agli obblighi derivanti dalla sentenza della Commissione tributaria passata in giudicato, non limita l’iniziativa delle parti stesse alle ipotesi di pronuncia definitiva esaustiva dell’intera controversia, ma consente l’attuazione coattiva anche di singole parti o capi autonomi della sentenza, rispetto ai quali si sia formato un giudicato intero. In tale evenienza il giudice dell’ottemperanza, nell’ambito dei suoi poteri di verifica dei presupposti processuali della domanda, potrà autonomamente accertare l’esistenza del giudicato parziale, anche in mancanza della relativa certificazione di cancelleria o segreteria.

  • Sentenza n. 6670 del 21 marzo 2014 (ud. 17 dicembre 2013), secondo cui in tema di giudizio d’ottemperanza alle decisioni delle commissioni tributarie, il potere del giudice sul comando definitivo inevaso va esercitato entro i confini invalicabili posti dall’oggetto della controversia definita col giudicato. Di guisa che, in sede di ottemperanza, mentre può essere enucleato e precisato il contenuto degli obblighi nascenti dalla decisione passata in giudicato, chiarendosene il reale significato, non può – per converso – essere attributo un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello riconosciuto con la sentenza da eseguire”. Nel caso di specie, pertanto, “la possibilità di applicare al giudizio di ottemperanza l’istituto civilistico della compensazione … deve ritenersi esclusa, in quanto la dichiarazione di estinzione del debito per compensazione presuppone un accertamento del giudice dell’ottemperanza che travalica i limiti fissati dal contenuto del giudicato, e – come tale – è sottratto alla sua competenza (cfr. Cass. 13681/05; Cass. S.U. 30058/08; 25696/09)”.

  • Sentenza n. 9430 del 30 aprile 2014 (ud. 21 gennaio 2014), secondo cui se in tema di contenzioso tributario, il giudizio di ottemperanza agli obblighi derivanti dalle sentenze delle commissioni tributarie, disciplinato dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 70, presenta connotati diversi dal corrispondente e concorrente giudizio esecutivo civile, perchè il suo scopo non è quello di ottenere l’esecuzione coattiva del comando contenuto nella decisione passata in giudicato, bensì quello di rendere effettivo quel comando, compiendo tutti quegli accertamenti indispensabili a delimitare l’effettiva portata precettiva della sentenza di cui si chiede l’esecuzione (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 646 del 18/01/2012)”, tuttavia, osserva la Corte, “tale potere di accertamento volto a conformare, come nella specie, la successiva attività della PA al ‘dictum’ giurisdizionale, non può che essere esercitato entro i confini invalicabili posti dall’oggetto della controversia definita col giudicato, di tal che può essere enucleato e precisato il contenuto degli obblighi nascenti dalla decisione passata in giudicato, chiarendosene il reale significato, ma non può essere attributo un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello riconosciuto con la sentenza da eseguire (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 13681 del 24/06/2005; id. Sez. 5, Sentenza n. 25696 del 09/12/2009)”. Ne consegue che “eccezioni di merito, estintive del diritto accertato con efficacia di giudicato, possono essere dedotte avanti il Giudice della esecuzione esclusivamente se riguardano fatti estintivi od impeditivi sopravvenuti alla formazione del titolo esecutivo giudiziale, diversamente – ove si consentisse l’accesso anche ad eccezioni relative a fatti estintivi verificatisi ‘anteriormente’ al giudicato e che avrebbero potuto essere fatte valere nel giudizio di merito – si verrebbe a riconoscere all’esecutato una facoltà di ‘restituito in terminis’ volta ad ottenere una nuova verifica della sussistenza dei fatti costitutivi del diritto, alla stregua di fatti estintivi, impeditivi o modificativi preesistenti che avrebbero dovuto essere tempestivamente allegati e dedotti nel giudizio di merito, e che, pertanto, deve ritenersi incompatibile con la incontrovertibilità dell’accertamento di merito compiuto dalla sentenza azionata ‘in executivis’ (cfr. Corte cass. Sez, 3, Sentenza n. 26089 del 30/11/2005; id. Sez. 3, Sentenza n. 8928 del 18/04/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 12911 del 24/07/2012)”.

12 settembre 2016

Gianfranco Antico

1 Le significative modifiche apportate al Capo IV del D.Lgs. n. 546/92, relativo all’esecuzione delle sentenze tributarie, sulla base del principio della Legge Delega n. 23, dell’11.03.2014, attraverso l’introduzione dell’art. 67-bis, le modifiche all’art. 68, il nuovo art. 69, e l’abrogazione dell’art. 69-bis, del D.Lgs. n. 546/92, che hanno attribuito immediata esecutività, per tutte le parti in causa, alle sentenze delle commissioni tributarie, ha portato il legislatore a prevedere l’esperibilità del ricorso in ottemperanza, ex art. 70, del D.Lgs. n. 546/92, oltre che per le sentenze passate in giudicato, anche (come indicato nella C.M. n. 38/2015), per l’esecuzione:

a) delle sentenze, non ancora definitive, di condanna al pagamento di somme, comprese le spese di giudizio (a decorrere dal 01.06.2016);

b) per l’esecuzione delle sentenze, non ancora definitive, relative alle operazioni catastali parzialmente o totalmente favorevoli al contribuente (a decorrere dal 01.06.2016);

c) per l’esecuzione delle sentenze relative ad atti impositivi che comportano, ai sensi dell’art. 68, c.2, del D.Lgs. n. 546/92, la restituzione al contribuente del tributo e relativi interessi e sanzioni, corrisposti in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza a lui favorevole (a decorrere dal 01.01.2016);

d) dell’ordinanza con cui sono liquidate le spese di giudizio in caso di rinuncia al ricorso ai sensi dell’art. 44, c. 2, del D.Lgs. n. 546/92.

Inoltre, il giudizio di ottemperanza diventa proponibile anche nei confronti dell’agente della riscossione o del soggetto iscritto nell’albo di cui all’art. 53 del D.Lgs. n. 446/1997, attesa (si legge nella relazione illustrativa)

la natura pubblica dell’Agente e l’attività oggettivamente pubblica posta in essere dai concessionari (privati)”.