è il Fisco che deve provare l’applicabilità dello standard prescelto con lo studio di settore al caso concreto anche se il giudice può tener conto degli elementi forniti dal contribuente
L’ufficio deve provare l’applicabilità dello standard prescelto con lo studio di settore al caso concreto anche se il giudice può tener conto degli elementi forniti dal contribuente.
Quanto precede è contenuto nella sent. n. 480/9/13 del 13 dicembre u.s. emanata dalla CTR di Roma da cui emerge che il meccanismo presuntivo degli studi di settore deve dimostrare una effettiva capacità contributiva diversa rispetto ai dati dichiarati.
L’art. 12, comma 5, del dl n. 69/1989, prevede che i coefficienti di congruita’ dei ricavi, compensi e corrispettivi nonche’ di riscontro degli elementi positivi e negativi di reddito possono, essere utilizzati, in quanto applicabili, ai fini delle presunzioni di cui all’art. 39, primo comma, lettera d), del Dpr n. 600/73, e 54, comma 2, del decreto del Dpr 633/72.
I parametri elaborati con gli studi di settoreconsentono, inoltre, di valutare i ricavi o i compensi che possono imputarsi al contribuente attraverso analisi economiche e tecniche statistico-matematiche. In sostanza, consentono di tracciare i rapporti che possono originarsi tra le variabili strutturali e contabili delle società costituite da lavoratori autonomi con riferimento al settore economico di appartenenza, ai processi produttivi utilizzati, all’organizzazione, ai prodotti e servizi oggetto dell’attività. Gli studi di settore vengono usati dall’ufficio al fine dell’attività di controllo e dal contribuente per verificare, in sede di dichiarazione, la congruità dei ricavi dichiarati e dei valori economici attinenti l’attività di settore. Tali parametri, disciplinati dagli artt. 62 bis e 62-sexies del d. l. n. 331/1993, si configurano come mezzi di accertamento parziali rientranti nel dettato dell’art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 600/1973,
Nel caso di specie il contribuente, esercente attività di intermediario (monomandatario), ha proposto ricorso avverso l’accertamento con cui l’ufficio aveva rettificato i ricavi dichiarati per il 2003. La CTP ha accolto il ricorso affermando che l’ufficio finanziario avrebbe dovuto produrre prove precise e concordanti e non limitarsi al risultato dello studio di settore.
La CTR ha ritenuto preliminarmente che l’applicazione del meccanismo presuntivo degli studi di settore presuppone che si pervenga comunque a dimostrare una effettiva capacità contributiva diversa dai dati dichiarati. Nel condividere i criteri in materia di studi di settore delineati dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. S.U., n. 26635/2009), i giudici tributari, pur riconoscendo che la motivazione dell’accertamento avesse legittimamente fatto riferimento agli specifici studi di settore, hanno affermato che ciò non impedisce al giudice di valutare gli elementi forniti dal contribuente mediante il proprio ricorso; tali elementi saranno da valutare, non come indici di una carenza di motivazione dell’atto impugnato, ma per la loro rilevanza a dimostrare che il reddito del contribuente si discosta da quello che risulta dagli studi di settore.
La CTR ha ritenuto che nel caso di specie il contribuente ha fornito elementi tali da dimostrare che il reddito effettivo è quello dichiarato e non quello risultante dall’applicazione degli studi di settore. Infatti è da considerare in primis la sua posizione di agente monomandatario e poi il fatto di aver sostenuto maggiori costi perché la sua attività si è estesa su tutto il territorio nazionale.
Per quanto sopra la CTR ha respinto l’appello proposto dall’ufficio, compensando le spese di giustizia.
Il caso
Il contribuente, svolgente attività di geometra, ha impugnato l’accertamento con cui è stato rettificato il reddito dichiarato e che risultava inferiore a quello calcolato in base ai parametri di cui al Dpcm 22/12/1989. Lo stesso contribuente ha fatto presente di essere stato sottoposto a verifica dalla Guardia di Finanza da cui non erano emerse irregolarità e che rendeva invalido l’uso del metodo induttivo. Sia in primo che secondo grado il ricorso è stato accolto, ritenendo che i redditi dichiarati dal contribuente fossero veritieri.
La Suprema Corte ha ritenuto preliminarmente che la verifica compiuta dalla GdiF non preclude all’ufficio di acquisire ulteriori elementi relativi al reddito e, in particolare, dai coefficienti presuntivi. In tema di accertamento delle imposte sui redditi il citato art. 12 del dl n. 69/1989 consente il ricorso da parte dell’ufficio all’accertamento a mezzo dei coefficienti presuntivi anche nei confronti dei contribuenti che hanno scelto il regime ordinario di contabilità. Tale norma è diretta non solo ai soggetti in contabilità ordinaria a cui vengono applicati “i controlli programmati” ma è rivolta anche agli uffici che possono disporre, nei confronti dei predetti soggetti, di ulteriori presunzioni semplici che legittimano l’esercizio del potere di controllo delle dichiarazioni dei redditi e, conseguentemente, di rettifica delle stesse.
Per i motivi di cui sopra la Suprema Corte ha accolto le motivazioni addotte dall’amministrazione riconoscendo che il ricorso ai coefficienti di congruità di reddito, estensibile anche agli studi di settore, è legittimo da parte dell’ufficio anche quando dal verbale non emergano irregolarità.
Su tema in esame si segnala la sentenza della SC n. 17840/2012, da cui emerge che in tema di applicazione di studi di settore lo scostamento dei dati reali dichiarati dal contribuente rispetto a quelli relativi alla media del settore determina la nullità dell’accertamento.
Si segnala, infine, un’ulteriore sentenza della Cassazione favorevole al contribuente secondo cui gli studi di settore non possono essere applicati se il contribuente dichiara un volume di affari inferiore dimostrando con idonea certificazione le sue precarie condizioni fisiche. Pertanto se l’accertamento rivela valori che sono contestati in base a documentazione probatoria risultano inidonei a supportare accertamento stesso e per tale motivo gli studi di settore non sono applicabili.
(Cass. 12 ottobre 2012, n. 17534).
10 febbraio 2014
Enzo Di Giacomo