Il valore del giudicato penale

nell’esprimere la propria decisione il giudice tributario non può richiamare acriticamente le conclusioni del giudice penale

Con la sentenza n. 25467 del 13 novembre 2013 (ud. 23 settembre 2013) la Corte di Cassazione torna ad occuparsi dei rapporti fra giudizio penale e giudizio tributario.

 

La sentenza

Premesso che i fatti accertati e le prove assunte in un diverso giudizio (penale, amministrativo, ecc.) sono pienamente utilizzabili come indizi, da sottoporre al vaglio critico, anche nel giudizio tributario (cfr. Corte cass. 5 sez. 2.12.2002 n. 17037; id. 3 sez. 4.3.2004 n. 4394 secondo cui il Giudice tributario ‘può legittimamente porre a base del proprio convincimento, in ordine alla sussistenza dei fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria in lite, le prove assunte in un diverso processo e anche in sede penale, quali prove atipiche idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico – riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato – con le altre risultanze del processo’; id. 5 sez. 21.2.2007 n. 4054), la possibilità per il Giudice di merito di trarre elementi confermativi della responsabilità dalla sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen., è stata ripetutamente affermata dalla giurisprudenza di questa Corte e deriva dalla considerazione secondo cui tale sentenza ‘pur non determinando un accertamento insuperabile di responsabilità nei giudizi civili e amministrativi, costituisce pur sempre un indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito e, sebbene priva di efficacia automatica in ordine ai fatti accertati, implica tuttavia l’insussistenza di elementi atti a legittimare l’assoluzione dell’imputato e, quindi, può essere valutata dal giudice contabile al pari degli altri elementi di giudizio’ (cfr.: Corte cass. SU 12.4.2012 n. 5756; id. Sez. 2, Sentenza n. 26250 del 06/12/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 15889 del 20/07/2011 -con riferimento al giudizio disciplinare; id. 6-3 sez. ord. 6.12.2011. Cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 24587 del 03/12/2010, id. Sez. 5, Sentenza n. 10280 del 21/04/2008, id. Sez. U, Sentenza n. 17289 del 31/07/2006 – tutte con specifico riferimento al giudizio tributario)”.

 

I principi di diritto enunciati da questa Corte in ordine all’utilizzabilità da parte del Giudice tributario di prove atipiche e di prove acquisite in altri giudizi diversi da quello tributario, “non possono evidentemente estendersi all’intero apparato motivazionale della sentenza emessa dal Giudice penale che, per quanto concerne al suo contenuto critico-valutativo (dei fatti provati processualmente), non assolve direttamente ad alcuna funzione dimostrativa di un fatto storico, dovendo distinguersi a tal fine le prove raccolte nel corso delle indagini e verificate nel processo penale, dalla valutazione di tale prove compiute dal Giudice all’esito di quello stesso procedimento e compendiate nella motivazione della sentenza. Ne segue che il mero richiamo alle ‘conclusioni’ cui è pervenuto il Giudice penale (in ordine alla valutazione della inefficacia probatoria degli elementi fattuali acquisiti al giudizio), non può dunque costituire ‘ex se’ valido e sufficiente supporto alla decisione adottata dal Giudice tributario, stante la relazione di autonomia in cui si pongono il giudizio penale ed il giudizio tributario (che ha ricevuto espressa conferma nel D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 20), poichè in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto di quella testimoniale D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7) che non operano nel giudizio penale e, dall’altro, possono invece valere anche presunzioni legali (ed anche presunzioni prive dei requisiti prescritti dall’art. 2729 c.c.) inidonee a fondare una pronuncia penale di condanna (cfr. Corte cass. 5 sez. 24.5.2005 n. 10945; id. 8.10.2010 n. 20860), atteso che ‘nessuna automatica autorità di cosa giudicata può più attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Pertanto, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.), deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare’ (cfr. Corte cass. 5 sez. 21.6.2002 n. 9109. Vedi: Corte cass. 5 sez. 8.3.2001 n. 3421; id. 25.1.2002 n. 889; id. 19.3.2002 n. 3961; id. 24.5.2005 n. 10945; id. 12.3.2007 n. 5720; id. 18.1.2008 n. 1014 – in materia di fatturazione per operazioni inesistenti: ribadisce che la efficacia del giudicato concerne solo circostanze fattuali specifiche, ma non può estendersi anche agli elementi di valutazione di quei fatti; id. 17.2.2010 n. 3724; id. 8.10.2010 n. 20860; id. 27.9.2011 n. 19786; id. 23.5.2012 n. 8129)”.

Breve nota

L’autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale risiede nella circostanza che nel primo, per un verso, vigono limitazioni della prova, comeil divieto di quella testimoniale (art. 7 del D.Lgs. n. 546 del 1992)e, per altro verso, possono valere anche presunzioni inidonee afondare una pronuncia penale di condanna.

Di conseguenza l’efficacia automatica del giudicato penale non opera nel processo tributario, proprio per le limitazioni della prova.

Il giudice tributario, dal canto suo, non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti, deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare.

Nessuna automatica autorità di cosa giudicata può quindi attribuirsi, nel separato giudizio tributario, alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente.

 

Sul punto, di recente, la Corte di Cassazione ha avuto modo di intervenire affermando, con l’ordinanza n. 18233 del 24 ottobre 2012 (ud 10 ottobre 2012) che “il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.) deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 3724 del 17/02/2010, n. 20860 del 08/10/2010)”. Prosegue la sentenza: “nel processo tributario, il giudice può fondare il proprio convincimento in materia di responsabilità fiscale anche su elementi presuntivi, con una sua autonoma valutazione del quadro indiziario complessivo esaminato dal giudice penale, poichè nè le sentenze penali hanno efficacia di giudicato nel processo tributario, nè in questo la legge pone limitazioni (salvo che per le prove orali, non ammesse D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7) alla prova della situazione soggettiva controversa. Ne discende che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di sentenze enali in materia di reati tributari, recependone, senza motivazione critica, le conclusioni assolutorie (V. pure Cass. Sentenza n. 20860 del 08/10/2010, n. 12041 del 2008), mentre ciò non è stato svolto nel caso in esame”.

 

E con l’ordinanza n. 11490 del 14 maggio 2013 la Corte di Cassazione ha ribadito che il giudice di seconde cure non può limitarsi a respingere l’appello dell’Amministrazione finanziaria “sulla scorta della mera acritica ricezione degli esiti dei processo penale e senza chiarire in alcun modo la ragione per la quale detti esiti potessero avere rilevanza probatoria nell’alveo del procedimento relativo all’accertamento dell’obbligazione tributaria concernente l’avvenuta detrazione di costi che si assumono essere inesistenti e nulla ha detto – inoltre – con riferimento alle contestate omissioni di fatturazione di operazioni di vendita. Non par dubbio che siffatte motivazioni del provvedimento risultino apodittiche ed insufficienti a consentire a questa Corte di assolvere al dovere di controllo della coerenza logica del provvedimento giudiziale, a proposito di decisive circostanze oggetto di controversia tra le parti”.

 

Ancora con l’ordinanza n. 15190 del 18 giugno 2013 (ud. 9 maggio 2013) la Corte di Cassazione ha confermato che costituisce principio consolidato quello secondo cui “l’efficacia vincolante del giudicato penale non opera nel processo tributario, poichè in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna” (Cass. nn. 6337/2002, 10945/2005, 2499/2006).

 

E da ultimo, con la sentenza n. 20496 del 6 settembre 2013 (ud. 10 aprile 2013) la Corte di Cassazione ha confermato chenessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorchè i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 4, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sè inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perchè il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario” (ex multis, Cass. n. 8129 del 2012). Infatti, “il giudice può fondare il proprio convincimento anche su elementi presuntivi, con una sua autonoma valutazione rispetto a quella del giudice penale; ne discende la legittimità della tassazione dei proventi di attività illecite anche quando dalla sentenza penale di condanna non è emerso in modo certo che il denaro in questione sia entrato nella disponibilità dell’interessato” (Cass. n. 12141 del 2008).

24 gennaio 2014

Roberta De Marchi