Quando è il dentista a pagare il conto…

il comportamento antieconomico di un dentista, che compra materiale (in particolare protesi), senza fatturare i correlativi ricavi, legittima l’accertamento del Fisco

La Corte di Cassazione, con la sentenza n.3777 del 15 febbraio 2013, ha legittimato l’accertamento effettuato dall’ufficio, nei confronti di un odontoiatra, dove a fronte degli acquisti di protesi non risultavano contabilizzati i relativi compensi.

 

LA SENTENZA

La Corte, rileva, innanzitutto, che nella fattispecie sostanziale rileva il principio, tratto dal disposto ex art. 39 del D.p.r. n. 600/1973 “secondo cui è legittimo il recupero a tassazione dei ricavi, ricostruiti induttivamente, ove la cessione o l’impiego in prestazioni d’opera di beni possa desumersi dalla esistenza di documentazione di acquisto. Spetta difatti al contribuente fornire la specificazione appropriata per categorie omogenee di beni (v. Cass. n. 23950/2011).

A tale principio risponde anche il caso di prestazioni sanitarie avente base nella installazione di protesi dentarie, giacché ai fini della prova per presunzioni semplici non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità (e v. infatti Cass. n. 1915/2008)”.

La Suprema Corte, quindi, cassa la sentenza del giudice d’appello, che per affermare l’inconsistenza della presunzione dell’ufficio si è invece affidato ad argomentazioni apodittiche e astratte.

È invero astratto, e come irrilevante, affermare che la fatturazione della prestazione odontoiatrica avviene in modo unitario, rispetto all’impiego di protesi provvisorie strumentali alla installazione di quelle definitive”.

Né vale il richiamato operato all’assoluzione avutasi in sede penale, anche qui in modo del tutto generico, affermando di condividerne le conclusioni all’esito di una valutazione autonoma senza indicarne puntualmente le risultanze.

 

Brevi note

Nel campo tributario la prova documentale è rara, emergendo, invece, ” il carattere interpretativo della prova, la sua natura di ragionamento, di argomentazione1” : di fatto, in sede di acceertamento si utilizzano spesso le presunzioni che, ai sensi dell’art. 2727 del c.c., sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignorato, giusto il disposto dell’art. 39, c. 1, lett. d, del D. P. R. n. 600/73, che stabilisce che l’incompletezza, la falsità, l’inesattezza dei dati indicati nella dichiarazione dei redditi, ovvero l’esistenza di attività non dichiarate possono essere desunte sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise, e concordanti.

Le presunzioni (che rientrano nell’ambito delle prove indirette)- vengono solitamente graduate in:

  • legali assolute, che impongono determinati obblighi fiscali per legge;

  • legali relative, che danno per dimostrata una certa situazione sfavorevole al contribuente, facendo però salva la possibilità di prova contraria da parte di quest’ultimo ;

  • semplici, cioè liberamente valutabili dal giudice, ammesse nell’accertamento purché gravi, precise e concordanti ;

  • semplicissime“, cioè non qualificate, ma ugualmente azionabili dagli uffici in determinate circostanze (esempio: art. 39, c. 2, D.P.R. n. 600/1973).

 

Come osservato in dottrina2, “in effetti, l’importanza delle presunzioni risiede nella capacità, in ultima analisi, di determinare l’inversione dell’onere de quo, il quale viene ad essere traslato in capo al soggetto passivo di imposta. È evidente che tale effetto si osserva esclusivamente in caso di presunzioni relative che, come noto, ammettono la prova contraria. Nel caso, invece di presunzioni assolute detta possibilità è interdetta per espressa previsione di legge: siamo in presenza del massimo vigore dell’istituto in questione. In generale, comunque, sia il legislatore civilistico che quello tributario mantengono un atteggiamento di particolare rigore nella valenza attribuita alle presunzioni. Queste devono essere caratterizzate da gravità, quanto alla capacità dimostrativa, precisione, quanto all’esatta definizione dei confini entro i quali manifestano effetti, e concordanza, quanto alla convergenza verso risultati che possono essere ritenuti univoci”.

E’ in questo contesto che trova spazio pure il cd. divieto del praesumptum de praesumpto. Come sostenuto dalla migliore dottrina3, cui abbiamo il piacere di associarsi, è “ un luogo comune ( o meglio vale solo come ammonimento tendenziale) l’espressione secondo cui sarebbe vietato trarre presunzioni da presunzioni (Praesumptum de praesumpto non admittitur)”. Al più, la presunzione di secondo grado, cioè basata su un fatto a sua volta presunto, potrà essere meno convincente; ma è un problema di prove. La stessa dottrina citata afferma che “verso questo luogo comune la giurisprudenza ha però un atteggiamento di formale rispetto, perché parla di presunzioni di secondo grado solo quando si tratta di respingerle; quando invece una presunzione di secondo grado le sembra fondata la accetta, senza prendere posizione sul problema generaleIn concreto il divieto di doppie presunzioni può avere il potere di suggestione che hanno molti luoghi comuni, e può fare un certo effetto quando il giudice è perplesso; un solenne praesumptum de praesumpto non admittitur, messo al punto giusto di un ricorso, può suonare bene per abbellire le nostre tesi (ad colorandum, come qualche volta si dice in gergo avvocatesco); l’importante è però che queste tesi siano per altri versi fondate, e che non si faccia affidamento solo sull’astratto di vieto di doppie presunzioni”.

La sentenza che si annota, di fatto, dà forza alle presunzioni (a fronte di acquisti di materiali non risultavano i relativi compensi) e alla metodologia specifica degli odontoiatri, oggetto peraltro di aggiornamento nel mese di gennaio 2013, che utilizzano i verificatori del Fisco, dove viene rilevato che lo scopo dell’indagine fiscale è quello di ricostruire con sufficiente attendibilità il tipo e la quantità delle prestazioni professionali rese.

La nota metodologica fornisce, inoltre, un esempio di ricostruzione induttiva, basata sulle incidenze della terapia ricostruttiva e protesica.

 

Esempio

Se dalle ricevute emesse o in mancanza, dalle dichiarazioni del professionista, emerge che la protesica incide per una data percentuale (es. un terzo) sull’intera attività vengono scorporati dai compensi dichiarati e nella stessa proporzione quelli relativi a tale prestazione. Da questi si detraggono tutti i costi specifici (il costo dei manufatti protesici ed ogni altro costo strettamente inerente). Si calcolano, infine, applicando incidenze prima accertate, tutti gli altri costi generali e si stabilisce, così, il reddito netto riferito alla terapia protesica.

Nella presunzione che tale terapia sia un segmento significativo dell’intera attività professionale, con un margine di utile netto superiore alle altre prestazioni, nel caso in cui da tale tipologia di prestazioni sia scaturita un’esigua percentuale di redditività, considerato che ha costituito una parte notevole dell’intera attività, i verificatori possono dedurre l’infedeltà delle connesse registrazioni, da mettere in relazione con altri elementi indiziari.

 

26 febbraio 2013

Gianfranco Antico

1 LUPI, in Manuale professionale di Diritto Tributario, 1998, pagg. 304 e seguenti.

2 PISANI, La prova testimoniale nell’accertamento tributario, in “il fisco“, n. 46/ 2003, pag. 7209.

3 LUPI, Manuale giuridico professionale di diritto tributario, 2001, pag. 484