Le contestazioni sulle autorizzazioni all'accesso al domicilio del contribuente

secondo la Cassazione, gli effetti degli eventuali vizi dell’atto istruttorio prodromico vanno limitati alle parti dell’atto impositivo legati da un nesso di insostituibile necessaria consequenzialità

Con sentenza n. 23595 dell’11 novembre 2011 (ud. dell’8 febbraio 2011) la Corte di Cassazione ha affermato che la giurisdizione, piena ed esclusiva, del giudice tributario è “comprensiva di ogni questione afferente all’esistenza ed alla consistenza dell’obbligazione tributaria“: la stessa, quindi, “non ha ad oggetto solo gli atti per così dire finali del procedimento amministrativo di imposizione tributaria (ovverosia gli atti definiti, propriamente, come impugnabili dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19) ma investe – nei limiti, ovviamente, dei motivi sottoposti dal contribuente all’esame di quel giudice ai sensi del medesimo D.Lgs., art. 18, comma 2, lett. e), – tutte le fasi del procedimento che hanno portato alla adozione ed alla formazione di quell’atto tanto che l’eventuale giudizio negativo in ordine alla legittimità e/o alla regolarità (formale e/o sostanziale) su un qualche atto istruttorio prodromico può determinare la caducazione, per illegittimità derivata, dell’atto finale impugnato” atteso che “(Cass., un., 4 marzo 2008 n. 5791; Cass., un., 25 luglio 2007 n. 16412“) “la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria … è assicurata mediante il rispetto di una sequenza ordinata secondo una progressione di determinati atti, con le relative notificazioni, destinati, con diversa e specifica funzione, a farla emergere e a portarla nella sfera di conoscenza dei destinatari, allo scopo, soprattutto, di rendere possibile per questi ultimi un efficace esercizio del diritto di difesa“.

 

IL PRINCIPIO ESPRESSO NELLA SENTENZA

Il sorgere del potere-dovere del giudice tributario di valutare la “correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria” o di un suo “atto istruttorio prodromico“, tenuto conto della pacifica natura di impugnazione/merito del relativo processo, suppone che il contribuente debba indicare specifici “motivi” di censura anche dell’atto istruttorio prodromico (nel caso, il provvedimento di autorizzazione del Procuratore della Repubblica previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, c. 2).

L’autorizzazione del PM D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52 (richiamato, in materia di imposte sui redditi dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33), peraltro (Cass., trib., 9 novembre 2005 n. 21745, da cui gli excerpta che seguono), “come chiarito da questa Corte (Cass. ss.uu. 16424/2002)“, “costituisce un provvedimento amministrativo che si inserisce nella fase preliminare del procedimento di formazione dell’atto impositivo“.

Prosegue la sentenza affermando che “gli effetti dell’eventuale vizio dell’atto istruttorio prodromico“, giusto il generale principio di conservazione degli atti giuridici, “vanno limitati alle parti dell’atto definitivo (impositivo) che sono legati a quello istruttorio prodromico da un nesso di insostituibile, necessaria consequenzialità, con esclusione, quindi, di quelle parti (come di distinte e diverse pretese tributarie) che ne siano del tutto indipendenti”.

 

BREVI NOTE

L’accesso da parte dei verificatori può essere effettuato solo con apposita autorizzazione scritta, rilasciata dal capo dell’ufficio che ordina la verifica.

L’autorizzazione deve contenere1:

  • il nominativo e i poteri del soggetto che dispone la verifica;

  • l’ordine di accedere;

  • l’indicazione del soggetto da verificare;

  • le ragioni del controllo;

  • le effettive esigenze d’indagine esterna;

  • l’indicazione che la verifica, salvo casi eccezionali e urgenti adeguatamente documentati, si svolgerà durante l’orario ordinario di esercizio dell’attività e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento dell’attività stessa nonché alle relazioni commerciali o professionali;

  • le annualità da verificare;

  • la data dell’inizio della verifica;

  • la sottoscrizione del soggetto che autorizza la verifica.

 

L’accesso può avere luogo nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali e agricole.

L’accesso presso l’abitazione privata del contribuente – tutelata dall’art. 14 della Costituzione – può essere effettuato solo previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica, e in caso di gravi indizi di violazione delle norme fiscali, conformemente a quanto disciplinato dal comma 2, dell’articolo 52 del D.P.R. n. 633/1972.

Per l’accesso in locali destinati anche ad abitazione non è necessario non sono necessari i gravi indizi, essendo in re ipsa l’accesso preordinato ad una ordinaria attività di ispezione fiscale.

Sul punto specifico della pronuncia che si annota ricordiamo che, con sentenza n. 21974 del 16 ottobre 2009 (ud. dell’11 giugno 2009) la Corte di Cassazione ha ritenuto che costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale l’autorizzazione all’accesso domiciliare rappresenta un provvedimento amministrativo endoprocedimentale e strumentale rispetto all’avviso di accertamento e dal quale deve rilevarsi la sussistenza degli elementi atti ad assumere natura di gravi indizi, attesa l’inviolabilità del domicilio ex art. 14 Cost.. Al giudice tributario è devoluto non semplicemente il controllo sull’adempimento dell’obbligo di motivazione del decreto di autorizzazione ma altresì l’apprezzamento circa la valenza indiziaria degli elementi indicati quali gravi indizi. La giurisprudenza della Corte (alla quale il collegio intende assicurare continuità in assenza di valide ragioni per discostarsene) “ha infatti affermato che l’autorizzazione del procuratore della Repubblica all’accesso domiciliare, prevista, in presenza di gravi indizi di violazioni delle norme tributarie, dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 2, in materia di imposta sul valore aggiunto (reso applicabile anche ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi dal richiamo operato del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33), costituisce un provvedimento amministrativo che si inserisce nella fase preliminare del procedimento di formazione dell’atto impositivo ed ha lo scopo di verificare che gli elementi offerti dall’ufficio tributario (o dalla guardia di finanza nell’espletamento dei suoi compiti, in collaborazione con detto ufficio) siano consistenti ed idonei ad integrare gravi indizi”. Da tale natura e funzione dell’autorizzazione discende – anche in considerazione del fatto che l’autorizzazione trova base logica nell’art. 14 Cost. sull’inviolabilità del domicilio – che il giudice tributario, davanti al quale sia in contestazione la pretesa impositiva avanzata sui risultati dell’accesso domiciliare, può essere chiamato a controllare l’esistenza del decreto del pubblico ministero e la presenza in esso degli indispensabili requisiti, tenendo conto, quanto al requisito motivazionale, che l’apprezzamento della gravità degli indizi è esternabile anche in modo sintetico, oppure indiretto, tramite il riferimento ai dati allegati dall’autorità richiedente (v. tra le atre per tutte S.U. n. 16424 del 2002 e, da ultimo, Cass. n. 6836/2009).

E da ultimo, con sentenza n. 631 del 18 gennaio 2012 (ud. 23 novembre 2011), i supremi giudici hanno rilevato, innanzitutto, che “secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Corte Cass. SU 13.7.2005 n. 14692; id. SU 16.3.2009 n. 6315 id. SU 7.5.2010 n. 1082), il principio della sindacabilità degli atti indicati nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, anche per difetto o vizi di legittimità degli atti prodromici e strumentali del procedimento ovvero degli atti c.d. presupposti che realizzino un collegamento funzionale con l’atto impugnabile avanti il Giudice tributario (per es. atti autorizzativi al compimento delle operazioni di verifica, ed atto di accertamento: in questi casi non si è in presenza di un’unica sequenza procedimentale ma di autonomi procedimenti definiti con distinti provvedimenti collegati funzionalmente tra loro da un nesso di derivazione necessaria: Corte Cass. SU 21.11.2002 n. 16424; Corte Cass. 5′ sez. 1.10.2004 n. 19689; id. 23.4.2007 n. 9568; id. 16.10.2009 n. 21974; id. SU 16.3.2009 n. 6315 e SU 7.5.2010 n. 11082), giustifica l’attrazione alla giurisdizione tributaria anche della verifica della invalidità del provvedimento autorizzativo all’accesso nei luoghi di pertinenza del contribuente emesso dal PM ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 1 e 2”. E ciò perchè “la giurisdizione (piena ed esclusiva) del giudice tributario fissata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, poi, non ha ad ‘oggetto’ solo gli atti per così dire ‘finali’ del procedimento amministrativo di imposizione tributaria (ovverosia gli atti definiti, propriamente, come ‘impugnabili’ dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19) ma investe – nei limiti, ovviamente, dei ‘motivi’ sottoposti dal contribuente all’esame di quel giudice ai sensi dell’art. 18, comma 2, lett. e), stesso D.Lgs. – tutte le fasi del procedimento che hanno portato alla adozione ed alla formazione di quell’atto tanto che l’eventuale giudizio negativo in ordine alla legittimità e/o alla regolarità (formale e/o sostanziale) su un qualche atto ‘istruttorio’ prodromico può determinare la caducazione, per illegittimità derivata, dell’atto ‘finale impugnato’ (cfr. SU n. 6315/2009 cit.; conf. SU n. 11082/2010 cit.), risultando conseguentemente incompatibile con il riconoscimento della ‘esclusività’ della giurisdizione in materia tributaria, affermato dalla L. 28 febbraio 2001, n. 448, art. 12, comma 2, la devoluzione di tali ‘atti istruttori’ (ed in particolare degli atti presupposti) alla cognizione del Giudice amministrativo secondo gli ordinari criteri di riparto fondati sulla natura della situazione giuridica sostanziale asseritamente violata”. Siamo, quindi, nell’ambito dei “vizi c.d. formali dell’atto impugnato, categoria nella quale va ascritto anche il vizio di invalidità del provvedimento autorizzativo, emesso dal PM – ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 2 – in difetto di ‘gravi indizi di violazione di norme tributarie’, in quanto volto ad inficiare l’atto presupposto della verifica e dunque ad interrompere il necessario collegamento funzionale con l’atto terminale del procedimento impositivo, e che viene pertanto a configurarsi come vizio di invalidità del procedimento amministrativo idoneo a determinare l’annullamento per illegittimità derivata (così Corte Cass. SU n. 6315/2009 cit.) dell’atto consequenziale impugnato”.

 

30 maggio 2012

Francesco Buetto

1 Per approfondimenti, si rinvia alla migliore dottrina ANTICO-CARRIROLO, La Verifica fiscale, Buffetti editore, II edizione, Roma, 2012.