I files extra contabili vanno corroborati da ulteriori prove

il ritrovamento di documenti extracontabili non basta da solo a giustificare un accertamento, da tali documenti devono desumersi anche altri indizi di evasione fiscale per procedere ad accertamento

Con ordinanza n. 5226 del 30 marzo 2012 (ud. 7 marzo 2012) la Corte di Cassazione ha ritenuto che i file extracontabili rinvenuti in sede di verifica necessitano di ulteriori prove.

FATTO E DIRITTO

La CTR di Palermo ha respinto l’appello proposto dall’Agenzia contro la sentenza n. 6/06/2006 della CTP di Catania che aveva accolto il ricorso della “O.D.S. srl” avverso l’avviso di rettifica IVA per l’anno 1994 concernente ricavi non contabilizzati, ed ha così confermato l’annullamento del provvedimento impositivo.

La predetta CTR ha motivato la decisione nel senso che nonostante l’Ufficio avesse provveduto alla rettifica sulla base di documentazione extracontabile rinvenuta dalla GdF presso la sede della società – detta rettifica appariva fondata su mere presunzioni, poichè non suffragata da ulteriori elementi a supporto, tali da conferire a dette presunzioni i caratteri della gravità, precisione e concordanza.

D’altronde, una relazione tecnica d’ufficio relativa ad altro analogo processo tra le stesse parti aveva escluso che il PVC eretto sulla base di siffatta documentazione extracontabile costituisse prova idonea a ritenere veritiera la cessione di beni non contabilizzata.

 

La sentenza

Rileva la Corte che la parte ricorrente si duole del fatto che il giudice del merito abbia ritenuto che i dati extracontabili rinvenuti non fossero “idonei a giustificare l’accertamento del maggior imponibile contestato alla società“, per quanto per constante insegnamento della Corte vengono attribuiti a siffatti ritrovamenti il carattere di indizio grave, preciso e concordante, tale da legittimare l’Amministrazione ad operare a mezzo di accertamento induttivo.

Per la Corte tale motivo appare manifestamente infondato. “Ed invero è giurisprudenza consolidata di questa Corte (per tutte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3388 del 12/02/2010) il principio secondo cui:”In tema di accertamento dell’IVA, i documenti informatici (cosiddetti “files”), estrapolati legittimamente dai computers nella disponibilità dell’imprenditore, nei quali sia contenuta contabilità non ufficiale, costituiscono, in quanto scritture dell’impresa stessa, elemento probatorio, sia pure meramente presuntivo, utilmente valutabile, salva la verifica della loro attendibilità. Ne deriva che essi non possono essere ritenuti dal giudice, di per sè, probatoriamente irrilevanti circa l’esistenza di operazioni non contabilizzate, senza che a tale conclusione conducano l’analisi dell’intrinseco valore delle indicazioni da essi promananti e la comparazione delle stesse con gli ulteriori dati acquisiti e con quelli emergenti dalla contabilità ufficiale del contribuente. Nella specie di causa, il giudicante non ha ritenuto la contabilità extraformale di per sè irrilevante, ma ne ha ritenuto l’inidoneità sotto il profilo probatorio anche alla luce delle risultanze di una consulenza contabile appositamente (sia pure in parallelo processo) disposta, sicchè appare che il giudicante abbia fatto esercizio dei propri poteri di valutazione degli elementi istruttori, selezionando il materiale in ragione del quale ha poi tratto il proprio convincimento”.

 

Brevi note

Pur se in effetti la giurisprudenza della Corte di Cassazione sembra convergere sulla inidoneità della documentazione extracontabile – da sola – per fondare una rettifica, a nostro avviso, il ritrovamento di file nascosti, difformi dalla contabilità ufficiale, da soli, dovrebbe bastare per constatare l’inattendibilità della contabilità.

Ricordiamo che la sentenza della Corte di Cassazione n. 24055 del 16 novembre 2011 (ud 5 ottobre 2011) ha ritenuto legittimo l’utilizzo dell’accertamento induttivo tutte le volte in cui si è in presenza di una contabilità nera. Innanzitutto, per la Suprema Corte, “non può revocarsi in dubbio che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la c.d. “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenti un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39. Nella nozione di “scrittura contabile”, che – a norma dell’art. 2709 c.c. – fa prova contro l’imprenditore, devono ritenersi, per vero, ricompresi – ad avviso della Corte – tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti di impresa, o che comunque siano suscettibili di rappresentare adeguatamente la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta”.

Da ciò ne consegue che la predetta “contabilità in nero“, per il “suo valore probatorio, legittima di per sè, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, incombendo al contribuendo, a fronte degli elementi fortemente presuntivi desumibili da detta contabilità informale ed ufficiosa, l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli (Cass. 25610/06, 19598/03, 11459/01)”.

 

E in campo penale, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 48148 del 17 dicembre 2009 (ud. del 29 ottobre 2009), ha confermato che il possesso di dati extracontabili (file nascosti nel computer) costituisce prova di evasione fiscale e reato di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000.

Il fatto veniva constatato dalla Guardia di Finanza di San Benedetto del Tronto ed i testi, B.S. e M.A., riferivano in dibattimento gli esiti della verifica, documentati dal relativo verbale di constatazione, “precisando che un rilevante numero di transazioni non erano state annotate nella contabilità ufficiale, ma erano emerse dalla reperita contabilità extracontabile, consistente in fogli stampati e in file conservati nel computer della società”.

La Corte territoriale, pur ammettendo che la motivazione della decisione resa dal Tribunale è carente in ordine alla ricorrenza della soglia di punibilità, di cui all’art. 4, lett. b, del citato D.Lgs., ha evidenziato che la ricorrenza di tale necessario requisito si ricava del pari, agevolmente e chiaramente, dagli elementi acquisiti al processo, visto che dagli esiti della verifica fiscale emerge che gli elementi attivi registrati sono dell’importo di L. 560.135.250, mentre quelli attivi, sottratti all’imposizionE ammontano L. 2.749.409.750.

Come si vede la questione non è chiusa.

 

18 maggio 2011

Francesco Buetto