La deducibilità delle spese di vitto e alloggio, per evidenti ragioni di cautela fiscale, è stata – da sempre – oggetto di ampio dibattito, anche per l‘interpretazione offerta dalle Entrate e ancora oggi non condivisa dal mondo professionale.
La dedicibilità dei rimborsi spese di vitto e alloggio
“Nel linguaggio comune….queste spese vengano comunque qualificate come rimborsi spese…..e che ciò è assolutamente irrilevante dal punto di vista di fiscale – si potrà parlare di rimborsi di fatto, ma certamente non in senso tecnico (1)”, mentre nella lingua italiana il rimborso è la “restituzione di denaro sborsato per conto o nell’interesse altrui (2)”.
L’argomento è ritornato di nuovo all’attenzione all’indomani della pubblicazione della circolare n. 1/R del 12 maggio 2008 del Consiglio dei dottori commercialisti e degli esperti contabili.
Rimborsi spese – Il quadro di riferimento
Ai sensi dell’art. 54, comma 1, del TUIR, i componenti positivi del reddito di lavoro autonomo sono costituiti, tipicamente, dai
“compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili”.
La disciplina in materia di imposte sui redditi non offre una definizione di “compensi”. Tuttavia, osserva subito il documento appena pubblicato, è
“evidente che la formula legislativa intende riferirsi ai corrispettivi spettanti all’esercente arti o professioni a titolo di remunerazione dell’attività svolta.
Il riferimento più immediato per la delimitazione della fattispecie è rintracciabile nel codice civile che, nel disciplinare i criteri di determinazione del corrispettivo o del compenso della prestazione d’opera rispettivamente materiale o intellettuale (art. 2225 e 2233 del codice civile), tiene ben distinti questi ultimi, aventi funzione remunerativa, dalle spese occorrenti al compimento dell’opera che, salva diversa pattuizione, devono essere anticipate dal cliente al lavoratore autonomo (art. 2234 del codice civile) e devono essere a questi rimborsate in aggiunta al compenso per l’opera svolta, in caso di recesso del committente (art. 2237 del codice civile)”.
L’Amministrazione finanziaria, sin dalla circolare n. 1 del 15 dicembre 1977 – parte 8 – ha sostenuto che la determinazione della base imponibile “sulla quale applicare la ritenuta…..non può che essere costituita dall’ammontare dei compensi percepiti per la prestazione di lavoro autonomo al lordo delle spese sostenute….
Vanno invece escluse dalla ritenuta soltanto le somme ricevute dall’esercente arti e professioni a titolo di rimborso di spese da questi anticipate per conto del cliente, a condizione che non costituiscono, secondo quanto innanzi chiarito, spese inerenti alla produzione del reddito di lavoro autonomo e a condizione che siano debitamente e analiticamente documentate”.
Tale posizione è stata ancora una volta ribadita con la risoluzione n. 20 del 20 marzo 1998 con la quale ha affermato che “anche sulla parte rappresentata dai rimborsi delle spese di viaggio, vitto e alloggio, nonché dalla eventuale diaria”, – in quanto compensi – “ deve essere applicata la ritenuta d’acconto di cui all’art. 25 del D.P.R. n. 600 del 1973”.
In pratica, la prassi dell’Amministrazione finanziaria ha tradizionalmente ricondotto alla nozione fiscale di “compenso”, sia le somme e i valori espressamente conseguiti dal lavoratore autonomo a titolo di remunerazione per l’opera svolta sia le somme da questi percepite a titolo di rimborso delle spese sostenute per conto del cliente o comunque a questi forfetariamente riaddebitate.
La posizione è stata ribadita dall’Agenzia delle Entrate, con la R.M. n. 69/E del 21 marzo 2003, che ha esplicitato che
“i compensi per lavoro autonomo sono computati al netto solamente dei contributi previdenziali e assistenziali”,
per cui devono ricondursi nella nozione di compenso “anche i rimborsi di spese inerenti alla produzione del reddito di lavoro autonomo”, ivi comprese le somme corrisposte all’esercente arte o professione a titolo di rimborso delle spese per viaggio, vitto e alloggio da questi sostenute e documentate.
La Direzione Centrale Normativa e Contenzioso dell’Agenzia delle Entrate, nel rispondere, infatti, ad un’istanza d’interpello che chiedeva di sapere
“ se la ritenuta alla fonte a titolo d’imposta debba essere operata anche sulle somme corrisposte a titolo di rimborso spese di viaggio, vitto e alloggio sostenute e documentate dagli scienziati stranieri”, ha ribadito che “le somme corrisposte dall’Istituto devono essere assoggettate ad imposizione secondo la disciplina tributaria riservata in Italia ai redditi di lavoro autonomo occasionale corrisposti ai non residenti”.
L’Agenzia delle Entrate, dopo aver richiamato preliminarmente l’art. 25, comma 1, primo periodo, del D.P.R. n. 600/73 – norma che si riferisce sia ai compensi per lavoro autonomo professionale sia ai compensi per lavoro autonomo occasionale – afferma che al fine di individuare quali somme sono da ricomprendere tra i “compensi comunque denominati” deve farsi riferimento al dettato normativo di riferimento.
Secondo l’interpretazione delle Entrate, dalla lettura delle norme, “nella nozione di compenso devono ricondursi anche i rimborsi di spese inerenti alla produzione del reddito” e conclude, pertanto, per l’assoggettamento a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta nella misura del 30% (3)
“su tutte le somme corrisposte agli scienziati residenti in Paesi con cui non sono state stipulate convenzioni, a fronte dell’attività di lavoro autonomo occasionale svolta in Italia, ivi comprese quelle corrisposte a titolo di rimborso delle spese per viaggio, vitto e alloggio sostenute e documentate dagli scienziati stranieri per partecipare ai convegni e alle altre iniziative organizzate dall’istituto istante e dallo stesso rimborsate”.
Per le Entrate, l’unica eccezione alla tendenziale onnicomprensività della nozione di compenso è rinvenibile nelle anticipazioni fatte dal lavoratore autonomo in nome e per conto del committente, debitamente ed analiticamente documentate (cfr. circolare n. 58/E/2001).
Si tratta, ad esempio, delle anticipazioni per tasse, bolli, diritti di cancelleria, ecc., ipotesi nelle quali il professionista sostiene la spesa non solo per conto del cliente (come, solitamente, accade per le spese di viaggio, vitto e alloggio dallo stesso sostenute nell’espletamento dell’incarico), ma anche in suo nome.
Le somme corrisposte a tale titolo sono recuperabili in via di rivalsa in capo al cliente e la “relativa rifusione ha natura esclusivamente restaurativa” (Comm. Trib. Centr., Sez. XXIV, n. 2080 del 14 luglio 1983), per cui deve escludersi una loro rilevanza nella sfera reddituale del percettore.
Per l’Ordine professionale, la medesima natura “restaurativa” è tuttavia rintracciabile anche nelle somme percepite dall’esercente arti o professioni a titolo di rimborso delle spese sostenute per conto del cliente, ma in nome proprio.
“Ed invero, per tali spese così come per quelle anticipate in nome e per conto del committente, il rimborso è finalizzato a tenere indenne il prestatore dell’attività lavorativa delle spese sostenute nel compimento dell’opera, per cui le stesse finiscono, in entrambe le circostanze, per rimanere a carico del cliente.
Nei limiti in cui le somme corrisposte al prestatore d’opera vanno a reintegrare spese effettivamente da questi erogate nell’espletamento dell’attività lavorativa, il rimborso si sostanzia, pur sempre, in una partita di giro non avente alcunché di remunerativo per il percettore”.
Pertanto, la presunta onnicomprensività della nozione fiscale di compenso si ritiene non possa estendersi a tal punto fino a ricomprendere anche le somme non aventi detta funzione remunerativa.
Anche perché, prosegue il documento, laddove il legislatore ha inteso ottenere questo risultato, ha utilizzato, sotto il profilo letterale, locuzioni del tutto diverse, inequivocabili in tal senso: si pensi alla formula prevista per i redditi di lavoro dipendente che, ai sensi dell’art. 51, comma 1, del TUIR, “è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta … in relazione al rapporto di lavoro”.
Il percorso fatto dalle Entrate, per l’Ordine professionale
“risulta potenzialmente lesivo anche del principio costituzionale di capacità contributiva: secondo l’Agenzia, la circostanza che siano rimborsate spese solo parzialmente deducibili nella determinazione del reddito di lavoro autonomo non esclude che il rimborso sia trattato alla stregua degli altri compensi, né in tal caso il contribuente avrebbe titolo per dedurre la spesa rimborsata in misura integrale. Seguendo tale impostazione, nella misura in cui le spese rimborsate non deducibili incrementano i compensi, emergerebbe un reddito imponibile meramente fittizio, non effettivamente realizzato, la cui tassazione sarebbe in evidente contrasto con l’art. 1 del TUIR “.
Per tali motivi si ritiene che “le spese, analiticamente documentate, rimborsate all’esercente arti o professioni dovrebbero essere totalmente ininfluenti nella determinazione del suo reddito, escludendo quindi la rilevanza dei rimborsi e, conseguentemente, la deducibilità dei costi relativi”.
Detta ricostruzione, come si è prima osservato, non è condivisa dall’Amministrazione finanziaria che, ancora di recente (cfr. RM n. 356/E del 7 dicembre 2007), è intervenuta per sottolineare la rilevanza fiscale del risarcimento del danno ad un professionista.
Da tale pronunciamento emerge, seppur implicitamente, che la preoccupazione dell’Agenzia delle Entrate è quella di evitare che la deduzione dei costi rimborsati, da un lato, e la mancata tassazione dei rimborsi, dall’altro, conducano ad un “salto d’imposta”.
A tal fine, si arriva ad includere il risarcimento del danno emergente nella nozione di compensi, con un’evidente forzatura del dato normativo.
“Nella prospettiva qui privilegiata, invece, l’irrilevanza reddituale dei rimborsi spese e, a maggior ragione, del risarcimento del danno emergente, troverebbe quale naturale contropartita l’indeducibilità dei costi eventualmente connessi a tali componenti.
Quand’anche l’Amministrazione non volesse aderire all’interpretazione qui privilegiata, è innegabile che il mancato riconoscimento dell’integrale deducibilità di talune spese rimborsate al professionista non è accettabile sul piano della coerenza sistematica”.
Inoltre, la tesi dell’irrilevanza reddituale dei rimborsi spese è confermata anche dal quinto comma dell’art. 54 del TUIR, così come integrato dall’art. 36, comma 29, lettera a), n. 2) del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, secondo cui le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazione di alimenti e bevande in pubblici esercizi “sono integralmente deducibili se sostenute dal committente per conto del professionista e da questi addebitate nella fattura”.
La disposizione, sancendo espressamente che le anzidette spese “prepagate” dal committente non soggiacciono al limite di deducibilità previsto in generale dal comma 5 dell’art. 54 del TUIR per le spese di vitto e alloggio effettivamente rimaste a carico del lavoratore autonomo (non oltre il 2 per cento dell’ammontare dei compensi percepiti nel periodo d’imposta), attribuisce implicitamente a dette spese la qualifica, sotto il profilo fiscale, di compensi in natura.
Ebbene, accogliendo la tesi dell’onnicomprensività della nozione fiscale di compenso, la disposizione in esame risulterebbe inutiliter data, essendo sufficiente per attrarre le spese “prepagate” dal committente nella sfera reddituale del professionista la norma “generale” di cui al primo comma dell’art. 54 del TUIR, secondo cui concorrono alla formazione del reddito di lavoro autonomo tutti i “compensi … in natura percepiti nel periodo di imposta”.
Il contenuto precettivo del secondo periodo del comma 5 dell’art. 54 del TUIR non può essere circoscritto neppure al riconoscimento dell’integrale deducibilità delle spese di vitto e alloggio “prepagate” dal committente, indipendentemente dalla verifica del limite del 2 per cento dei compensi percepiti.
Risulterebbe, infatti, del tutto ingiustificato detto riconoscimento soltanto per le spese “prepagate” dal committente e non anche per quelle “sostenute” dal lavoratore autonomo e solo successivamente a questi rimborsate: ed invero, mancando in quest’ultimo caso una disposizione analoga a quella in esame, le spese di vitto e alloggio rimborsate resterebbero, gioco forza, soggette al predetto limite di deducibilità, il che darebbe luogo ad una evidente disparità di trattamento per fattispecie sostanzialmente identiche, censurabile sotto il profilo di legittimità costituzionale.
La portata innovativa della norma va dunque ricercata nella sua specialità, di disposizione cioè che, in deroga alla generale irrilevanza reddituale per il lavoratore autonomo delle spese “prepagate” dal committente, qualifica fiscalmente come compensi in natura le sole spese di vitto e alloggio sostenute dal committente per conto del professionista.
Così ricostruita dall’Ordine professionale la ratio della disposizione de qua, il riconoscimento dell’integrale deducibilità di tali spese, anche per la parte eventualmente eccedente il plafond del 2 per cento dei compensi percepiti, è dunque soltanto la naturale conseguenza della anzidetta “speciale” qualificazione, anziché rappresentare, esso stesso, l’unico elemento di novità recato dalla norma.
Pur ricondotta nel suo corretto ambito applicativo, la disposizione risulta in ogni caso criticabile sia sotto il profilo della coerenza sistematica, sia sotto il profilo della razionalità.
Quanto alla coerenza sistematica, si è dimostrato che la nozione di compenso presupposta dall’art. 54 del TUIR resta pur sempre circoscritta ai valori e alle altre utilità corrisposti dal committente in funzione remunerativa della prestazione resa, funzione sicuramente assente nel caso delle spese “prepagate” dal committente per lo svolgimento dell’incarico da parte del professionista.
Circa la razionalità, la norma complica oltremodo gli adempimenti contabili e amministrativi in capo sia al committente che al professionista, senza che a ciò corrisponda alcun effettivo vantaggio né per l’Amministrazione finanziaria, in termini di controllo, né per l’erario, in termini di gettito.
Ad avviso dell’Agenzia delle Entrate (circolare n. 11/E del 16 febbraio 2007, paragrafo 7.3), la norma impone di adottare la seguente procedura:
• il fornitore del servizio emette fattura intestata al committente, con indicazione degli estremi del professionista che ha usufruito del servizio;
• il committente comunica al professionista l’ammontare della spesa effettivamente sostenuta, inviandogli copia della relativa fattura;
• il professionista emette fattura nei confronti del committente, includendo nel compenso le spese di vitto e alloggio “prepagate” dal committente;
• il committente imputa a costo la prestazione, comprensiva delle spese sostenute per conto del professionista.
L’elencazione lascia agevolmente comprendere l’eccessiva complessità e onerosità della procedura che, oltre a stravolgere la prassi operativa – da sempre – ordinariamente adottata, risulta anche del tutto sproporzionata rispetto ad eventuali (peraltro non dichiarati) intenti antielusivi della norma.
Sulla base di tali considerazioni viene auspicata da parte del Consiglio dei dottori commercialisti e degli esperti contabili “una rapida abrogazione della disposizione in esame”.
La limitazione di cui soffrono tali spese (4) comporta, altresì, che
“l’applicazione del limite percentuale provochi un’ingiustificata tassazione di un semplice reintegro patrimoniale, sia ai fini reddituali che Irap (5)”.
L’esempio riportato dagli autori chiarisce meglio il problema: poniamo il caso di un professionista che dichiara compensi per 100.000.000 delle vecchie lire, formate per 10.000.000 di lire da spese per vitto e alloggio sostenute nell’interesse di un cliente, oneri che, unitamente ai compensi percepiti, concorrono alla formazione del reddito professionale e soggetti a ritenuta d’acconto del 20%. In sede di dichiarazione – quadro RE, dell’Unico – “è ammessa la deduzione di tali oneri nella misura massima del 2% dei compensi dichiarati, equivalente a £. 2.000.000: da ciò deriva l’irragionevole tassazione del mero reintegro patrimoniale pari a £. 8.000.000 (6)”.
Se per gli esercenti arti e professioni è stata utilizzata l’espressione “tassazione di un semplice reintegro patrimoniale”, nei confronti dei lavoratori autonomi occasionali si parla di “ tassazione anticipata dei costi”.
Infatti il lavoratore autonomo occasionale – seguendo l’interpretazione ministeriale – deve indicare nel Quadro RL i compensi lordi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente, comprensive quindi dei rimborsi spese per vitto ed alloggio addebitati e sui quali va assolta la ritenuta del 20%, salvo poi imputare tali spese e indicare le ritenute d’acconto subite: “da un lato computerà il rimborso quale componente positivo di reddito, dall’altro dedurrà dal proprio reddito le spese sostenute (7)”.
Leggi anche: Il rimborso delle spese di spostamento da casa a lavoro è tassabile?
Concetta Pagano
11 Giugno 2008
NOTE
(1) Cfr. N.Forte, Il reddito dei professionisti, I edizione, Milano, Il Sole24ore, pag.14.
(2) Cfr. G.Devoto – G.Oli, Il Dizionario della lingua italiana, 1995, alla voce Rimborso
(3) In quanto soggetti non residenti
(4) Tale limitazione può risultare penalizzante, in particolare, per alcune categorie professionali, in cui la trasferta costituisce elemento necessario della prestazione (artisti in tournè).
(5) A.Romano-A.Romano, Esercenti arti e professioni. Rimborsi spese per vitto ed alloggio. Linea dura della D.R.E. Sicilia, in “ La Settimana fiscale”, n.27/2001, pag.43
(6) A.Romano-A.Romano, Op.cit., pag.43
(7) P.Ceppellini-R.Lugano, Testo Unico delle Imposte sui redditi, Il Sole24ore, Milano, settima edizione, pag.308