Accantonamenti per indennità per la cessazione dei rapporti di agenzia

Più rigore nella deduzione degli accantonamenti per le indennità per la cessazione dei rapporti di agenzia e rappresentanza. L’Agenzia delle entrate, uniformandosi alle recenti sentenze della Corte di Cassazione (n. 24973 del 24 novembre 2006 e n. 1910 del 30 gennaio 2007), ha modificato, nella circolare 6 luglio 2007, n. 42/E, il precedente orientamento espresso con la risoluzione n. 59/E del 9 aprile 2004, che riconosceva la deducibilità degli accantonamenti relativi a tutte le indennità dovute dalle imprese all’atto dello scioglimento del rapporto – ivi compresa quella suppletiva di clientela – ed ha, pertanto, invitato le imprese che si sono uniformate a tale precedente indirizzo a rettificare le dichiarazioni già presentate, senza, tuttavia, subire l’applicazione di sanzioni ed interessi, giusta le disposizioni dell’art. 10, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212. La direttiva ministeriale è stata commentata da Assonime nella circolare n. 41 del 18 luglio scorso.

 

Interpretazioni ministeriali previgenti

La questione concernente la deducibilità degli accantonamenti delle indennità per cessazione di rapporti di agenzia è stata più volte affrontata in passato dall’Amministrazione finanziaria.

Il Ministero delle finanze, (risoluzioni n. 8/353 del 30 agosto 1977 e n. 9/120 del 21 luglio 1980) ha da sempre riconosciuto la deducibilità degli accantonamenti relativi all’indennità dovuta, in via generale, agli agenti e rappresentanti per la risoluzione del rapporto, in considerazione:

a)     della natura previdenziale di tale indennità,

b)     della sua accessorietà ai compensi provvigionali cui si commisura e

c)     della certezza della sua debenza all’atto dello scioglimento del rapporto,

ritenendo non rilevante, a tale ultimo riguardo, la circostanza che il diritto dell’agente alla percezione di tale indennità possa venir meno per gravi fatti ad esso imputabili (ritenzione indebita di somme o concorrenza sleale); tali successivi eventi, infatti, sono per loro natura circoscritti e meramente eventuali e, laddove si verifichino, determinano semplicemente l’insorgenza, con rilevanza anche fiscale, di sopravvenienze attive conseguenti alla sopravvenuta insussistenza di costi ed oneri a suo tempo legittimamente rilevati.

Riguardo, invece, all’indennità suppletiva di clientela, la citata risoluzione n. 9/120 del 1980 aveva negato la deducibilità dei relativi accantonamenti sul presupposto che tale indennità compete all’agente o al rappresentante “soltanto in limitate circostanze connesse al verificarsi di particolari situazioni”.

Successivamente il tema è stato nuovamente affrontato nella sua globalità dall’Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 59/E del 9 aprile 2004, per affermare, invece, il riconoscimento fiscale di tutti gli accantonamenti per indennità dovute dalle imprese mandanti in occasione dello scioglimento del rapporto, alla luce, da un lato, delle modifiche introdotte nella disciplina civilistica del rapporto di agenzia, e della nuova formulazione adottata dalla norma fiscale di cui all’articolo 70, commi 1 e 3, del TUIR, dall’altro.

La predetta risoluzione prendeva le mosse dalla riconsiderata disciplina del rapporto di agenzia e di rappresentanza di commercio come definita, negli specifici contenuti, nel rinnovato Accordo economico collettivo stipulato dalle rappresentanze sindacali dei soggetti interessati in data 26 giugno 2002.

L’articolo 12 del predetto accordo, ai fini della determinazione delle spettanze degli agenti e rappresentanti al momento della cessazione del rapporto, distingue l’indennità complessivamente dovuta all’atto della cessazione del rapporto di agenzia in tre diverse componenti:

– l’indennità per la risoluzione del rapporto, dovuta in ogni caso all’agente o al rappresentante anche se non vi sia stato incremento della clientela e/o del fatturato, il cui diritto può venir meno nei soli casi in cui l’agente o rappresentante abbiano commesso gravi violazioni, quali l’indebita ritenzione di somme, l’esercizio di attività di concorrenza sleale o la violazione del vincolo di esclusiva;

– l’indennità suppletiva di clientela, commisurata all’ammontare globale delle provvigioni maturate per tutta la durata del rapporto, riconosciuta all’agente o rappresentante se il contratto a tempo indeterminato si scioglie ad iniziativa della casa mandante per fatto non imputabile all’agente, od anche per dimissioni dell’agente dovute a sua invalidità permanente ovvero a seguito del conseguimento della pensione di vecchiaia;

– l’indennità meritocratica, riconosciuta (entro determinati limiti e condizioni) solo nel caso in cui all’atto dello scioglimento del rapporto risulti un incremento del fatturato e/o l’acquisizione di nuovi clienti, ed a patto che il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti.

La risoluzione n. 59/E del 2004 aveva ritenuto di poter consentire la deducibilità degli accantonamenti operati dalle imprese a fronte di tutti i predetti obblighi di corresponsione delle somme dovute all’atto della cessazione del rapporto di agenzia. In quella occasione fu, tra l’altro, affermato che “a nulla rileva … la circostanza che talune componenti della complessiva indennità abbiano natura aleatoria”, come accade per l’indennità suppletiva di clientela che è dovuta soltanto nel caso in cui il vincolo contrattuale si scioglie ad iniziativa della casa mandante per fatto non imputabile all’agente o rappresentante o per altre circostanze tassativamente indicate dalla normativa civilistica e contrattuale, od anche per l’indennità meritocratica, dovuta soltanto se l’agente abbia creato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari. A parere dell’Agenzia, infatti, “gli accantonamenti per indennità di fine rapporto … sebbene siano determinati nel “quantum” secondo criteri statistici … assolvono, a tutti gli effetti e senza distinzione, la funzione propria degli accantonamenti di quiescenza e previdenza …”

Concludeva la citata risoluzione dell’Agenzia affermando che, del resto, sul piano della disciplina fiscale, la deduzione degli accantonamenti in questione trova legittimazione direttamente nel fatto che l’articolo 105, comma 4, del TUIR espressamente richiama, per gli accantonamenti relativi alle indennità spettanti per la cessazione di rapporti di agenzia – quindi per tutte e tre le fattispecie di indennità sopra considerate – le disposizioni contenute nel precedente comma 1 del medesimo articolo disciplinanti la deduzione degli accantonamenti relativi all’indennità di fine rapporto dei dipendenti.

 

La nuova interpretazione formalizzata nella circolare 6 luglio 2007, n. 42/E

Sui temi già esposti è ritornata l’Agenzia delle Entrate con la citata circolare n. 42/E, per rettificare, in parte, il precedente indirizzo, alla luce, come accennato, delle citate recenti sentenze della Corte di Cassazione che hanno sostenuto l’indeducibilità degli accantonamenti a fronte dell’indennità suppletiva di clientela.

 

Posizione dei Giudici della Consulta

Nelle sentenze n. 24973 del 24 novembre 2006 e n. 1910 del 30 gennaio 2007 la Corte di Cassazione ha negato la deducibilità degli accantonamenti per indennità suppletiva di clientela sul presupposto che tale indennità è dovuta solo se il contratto di agenzia a tempo indeterminato si scioglie ad iniziativa della casa mandante per fatto non imputabile all’agente (od anche per dimissioni dell’agente dovute a sua invalidità permanente e totale, per conseguimento della pensione di vecchiaia o per decesso).

A parere della Corte – ricorda ASSONIME – in pendenza del rapporto di agenzia, tale indennità rappresenta un costo meramente eventuale sia nell’an che nel quantum, carente, perciò, dei requisiti che la norma fiscale pone a condizione della deducibilità dei relativi accantonamenti. Ma è soprattutto sul requisito della maturazione che viene posto l’accento per negare la deducibilità degli accantonamenti a fronte dell’indennità suppletiva di clientela: a parere della Corte, infatti, tale indennità, diversamente da quella riconosciuta per la cessazione di un rapporto di lavoro, non matura in costanza del rapporto medesimo, perché il relativo diritto dell’agente si perfeziona solo al momento successivo ed eventuale in cui l’impresa mandante risolva il contratto per fatto ad esso non imputabile. Non si realizzerebbero, perciò, le condizioni poste dall’articolo 105, comma 1, del TUIR che riconosce gli accantonamenti a fronte delle indennità per la cessazione del rapporto di lavoro “nei limiti delle quote maturate nell’esercizio in conformità alle disposizioni legislative e contrattuali”.

Sulla base delle argomentazioni su riferite, la citata sentenza n. 24973 del 2006 censura la tesi interpretativa sostenuta dall’Agenzia delle entrate nella citata risoluzione n. 59 del 2004 che aveva, invece, ritenuto applicabile a tutte le indennità previste dall’Accordo economico collettivo per la cessazione del rapporto di agenzia – e, quindi, anche all’indennità suppletiva di clientela e all’indennità meritocratica – il regime fiscale di riconoscimento dei relativi accantonamenti ai sensi delle richiamate disposizioni del TUIR.

Nella circolare n. 42/E del 6 luglio scorso, l’Agenzia delle entrate non entra specificamente nel merito delle argomentazioni svolte dalla Cassazione a sostegno della tesi della indeducibilità degli accantonamenti per l’indennità suppletiva di clientela1; si limita, piuttosto,a prendere atto del consolidato orientamento della Corte per ritenere “non ulteriormente sostenibile la tesi interpretativa secondo cui l’accantonamento ai fondi per indennità di cessazione del rapporto di agenzia, valorizzato nelle sue diverse componenti (indennità di risoluzione, indennità suppletiva e, se ne ricorrono i presupposti, indennità meritocratica) è fiscalmente deducibile nei limiti dell’importo massimo previsto dall’articolo 1751, terzo comma, del codice civile” e ad affermare che, conseguentemente, “deve intendersi superata la posizione precedentemente assunta”.

 

La direttiva ufficiale: i caratteri del mutamento interpretativo

Nella parte centrale del documento l’Associazione entra nel merito dell’interpretazione ufficiale cercando di verificarne le considerazioni ivi contenute.

Benché la circolare ponga generico riferimento a tutte le anzidette componenti della complessiva indennità di fine mandato, è da ritenere che l’insostenibilità della precedente posizione in favore del riconoscimento della totalità degli accantonamenti per le indennità dovute allo scioglimento del rapporto di agenzia non coinvolga tutte le componenti in parola, bensì solo quelle indicate come indeducibili dalle richiamate sentenze della Cassazione; quelle, cioè, relative all’indennità suppletiva di clientela. In quest’ottica dovrebbe rimanere ferma la deducibilità dell’indennità generalmente dovuta per la risoluzione del rapporto che, come detto, è calcolata sulla base delle provvigioni maturate nel corso del rapporto medesimo – e quindi soddisfa il requisito della maturazione – ed è riconosciuta a prescindere dal fatto che l’agente abbia incrementato il giro d’affari o la clientela.

Dovrebbe ritenersi, invece, che il cambiamento di indirizzo, rispetto alla posizione assunta con la risoluzione n. 59/E del 2004, e la conseguente riaffermazione dell’indeducibilità degli accantonamenti riguardi, oltre che l’indennità suppletiva di clientela, anche l’indennità meritocratica, sebbene la Cassazione non faccia ad essa alcun riferimento nelle richiamate sentenze.

Infatti, i caratteri di incertezza e di assenza di maturazione sui quali la Corte fonda la tesi della indeducibilità degli accantonamenti per l’indennità suppletiva di clientela risultano ancor più accentuati nell’indennità meritocratica, la cui spettanza, ai sensi del citato Accordo economico collettivo, è subordinata ad una serie di condizioni che non sono obiettivamente definibili in costanza del rapporto. E’ sintomatica, al riguardo, la circostanza che entrambi gli accantonamenti siano indicati nell’oggetto della circolare dell’Agenzia.

 

Vademecum per le imprese: regolarizzare il passato

Maggiori attenzioni meritano – a parere di Assonime – le altre affermazioni contenute nella circolare in commento nella parte in cui vengono fornite le istruzioni operative in ordine agli adempimenti posti a carico delle imprese per adeguare la propria posizione al nuovo indirizzo interpretativo.

Correttamente l’Agenzia, in aderenza a precise disposizioni in tal senso poste dall’articolo 10, comma 2, della citata legge n. 212 del 2000, afferma che “non si applicano le sanzioni amministrative e gli interessi moratori nei confronti dei contribuenti che si sono conformati alla risoluzione n. 59/E del 9 aprile 2004, ovviamente per comportamenti successivi alla data della risoluzione” 2.

Aggiunge, tuttavia, la circolare che per i periodi d’imposta per i quali siano stati adottati comportamenti conformi alle indicazioni rese con la predetta risoluzione (nella ordinarietà dei casi i periodi 2004 e 2005) “i contribuenti possono emendare le dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive entro… il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione originaria”, e, altresì, “avvalersi del ravvedimento operoso previsto dall’articolo 13 del d.p.r. n. 472 del 1997, entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale la violazione, l’errore o l’omissione si sono verificati” a condizione che “la violazione non sia stata già constatata o comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento…” sulle annualità in oggetto.

Avverte, soprattutto, l’Agenzia che, “gli uffici procederanno a disapplicare le sanzioni e gli interessi .. a condizione che il contribuente, uniformandosi alle indicazioni fornite con questa circolare, abbia rettificato le dichiarazioni dei redditi e dell’IRAP entro il prossimo termine di presentazione …”

A prescindere dal fatto che la rettifica delle dichiarazioni già presentate ha posto i contribuenti in una situazione non agevole.

Vero è che con la circolare in commento l’Amministrazione ha modificato il proprio precedente orientamento, ma questo vincola, evidentemente, i contribuenti per i futuri comportamenti, non per le dichiarazioni già presentate e nelle quali il reddito è stato determinato in conformità alle precedenti indicazioni dell’Amministrazione stessa.

Tutto ciò sembrerebbe trovare anche conferma nella non perfetta idoneità delle procedure indicate dalla circolare ad assumere la valenza di strumenti operativi per realizzare gli ipotetici adempimenti cui i contribuenti sarebbero tenuti.

La dichiarazione integrativa da prodursi ai sensi dell’articolo 2, comma 8, del d,p.r. n. 322, infatti, ha la mera funzione di consentire, in via opzionale, di “integrare o correggere errori od omissioni commessi nella dichiarazione originaria”; sicché all’eventuale scelta del contribuente di non avvalersene non si ricollega alcun ulteriore effetto sanzionatorio rispetto a quelli obiettivamente riconducibili alla dichiarazione non rettificata. E nel caso di specie, come detto, non si applicano per tali pregresse dichiarazioni né sanzioni né interessi, in virtù del ricordato articolo 10, comma 2, della legge n. 212 del 2000.

A maggior ragione questa conclusione dovrebbe valere per ciò che concerne l’utilizzo a questi fini del ravvedimento operoso; esso, infatti, è uno strumento che opera esclusivamente nello specifico ambito della disciplina delle sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie (articolo 13 del decreto legislativo n. 472 del 1997), utilizzabile dai contribuenti che intendono provvedere spontaneamente a correggere propri errori od omissioni, ottenendo in cambio la riduzione delle sanzioni.

In definitiva, è stato osservato che l’Amministrazione, ove intenda recuperare le maggiori imposte dovute per i periodi in cui le imprese hanno operato accantonamenti facendo affidamento alle precedenti istruzioni, potrà farlo attraverso i propri Uffici semplicemente avvalendosi degli ordinari poteri di accertamento: ovviamente, senza applicazioni di sanzioni e interessi.

D’altra parte, l’amministrazione finanziaria non dovrebbe correre concreti rischi in ordine all’effettivo recupero di tali maggiori imposte.

Infatti, anche nei casi in cui gli Uffici dovessero incontrare difficoltà nell’esercizio di questa attività di accertamento – ad esempio, in ragione del notevole numero di imprese coinvolte – non vi sarebbe, comunque, perdita di gettito per l’Erario o rischio di salti d’imposta, considerato che le quote di accantonamento pregresse, stanziate in eccedenza rispetto a quelle deducibili in conformità alla nuova interpretazione delle disposizioni vigenti, sono destinate ad essere riassorbite negli esercizi a venire in occasione del loro utilizzo a fronte dell’effettivo pagamento di somme per indennità suppletiva di clientela o meritocratica, ovvero al momento della sopravvenuta insussistenza degli oneri relativi agli stanziamenti medesimi.

In altri termini, tenuto conto del principio di continuità del reddito d’impresa, i contribuenti che abbiano stanziato accantonamenti con rilevanza fiscale, in assenza di accertamento d’ufficio che rettifichi tali accantonamenti, dovrebbero coerentemente continuare a comportarsi come in passato, nel senso di non dedurre in futuro le somme che verranno erogate e che rispondono agli accantonamenti già stanziati (ovvero recuperare a tassazione gli accantonamenti corrispondenti ad indennità che si rendono ex post non più

dovute). Del resto, ciò è quanto potrebbe essere già accaduto, ad esempio, per accantonamenti operati e dedotti fiscalmente nell’esercizio 2004 che hanno poi dato luogo ad erogazioni avvenute nel successivo esercizio 2005 e che, come tali, non sono state coerentemente dedotte. In questo caso, anche seguendo le indicazioni della circolare dell’Agenzia, sarebbe inutile pretendere dai contribuenti la presentazione di dichiarazioni rettificative.

 

Il comportamento per l’annualità 2006

Le istruzioni operative contenute nella circolare dell’Agenzia attengono, ovviamente, ai periodi d’imposta per i quali alla data dell’emanazione della circolare n. 42/E (6 luglio 2007) risultava già decorso il termine per la presentazione della dichiarazione.

Per il periodo d’imposta, viceversa, la cui dichiarazione scade successivamente a tale data – vale a dire, per le imprese aventi esercizio coincidente con l’anno solare, la dichiarazione relativa al periodo d’imposta 2006 – i contribuenti devono tenere conto, evidentemente, della nuova impostazione cui ha aderito l’Agenzia delle entrate. Eventuali comportamenti che risultino ancora conformati alle precedenti istruzioni non potrebbero essere, infatti, immuni da sanzioni e interessi, ai sensi del richiamato articolo 10 della legge n. 212, posto che nel momento in cui dovrà essere attuato tale adempimento dichiarativo, i contribuenti sono ormai a conoscenza della nuova posizione assunta dall’amministrazione finanziaria.

Peraltro, relativamente a tale dichiarazione, il reddito da rideterminare sulla base dei nuovi criteri dettati in materia di accantonamenti dalla circolare dell’Agenzia potrebbe risultare superiore a quello assunto a riferimento per il calcolo del versamento delle imposte dovute a saldo: per le imprese con esercizio coincidente con l’anno solare, infatti, si tratta del versamento delle imposte dovute a saldo per l’anno 2006 che, nella generalità dei casi, è stato effettuato entro lo scorso 18 giugno.

Parrebbe logico ritenere che, anche in relazione a questo adempimento, trovino applicazione la richiamata previsione dell’articolo 10, comma 2, della legge n. 212 del 2000, che rende inapplicabili sanzioni ed interessi quando i comportamenti del contribuente risultino conformi alle indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria.

 

Attilio Romano

 

1 ottobre 2007