Annullamento giurisdizionale dell’atto impositivo ed effetti sulla riscossione provvisoria

Con la recente sentenza n. 20526 del 22 settembre 2006, la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito un importante principio, secondo il quale “nel caso in cui la sentenza, sia pure non ancora passata in giudicato, abbia, in accoglimento del ricorso del contribuente, annullato l’atto impositivo, la pretesa tributaria non può più formare oggetto di alcuna forma di riscossione provvisoria, e, quindi, le somme eventualmente conseguite a titolo cautelare in fase di iscrizione a ruolo provvisoria devono essere rimborsate, dovendo le parti, in ossequio al principio di cui all’art. 111 Cost., essere poste in condizioni di parità, e non potendosi, pertanto, consentire all’amministrazione – come avviene nella fase amministrativa dell’accertamento e della riscossione dei crediti tributari – di godere di una garanzia ormai dichiarata illegittima”.

Pertanto, a seguito di detta autorevole pronuncia, la sentenza di annullamento dell’atto impositivo farebbe venir meno le esigenze cautelari giustificate dalla pretesa tributaria, quali, ad esempio, come nel caso di specie, l’adozione del “fermo amministrativo”.

Difatti, se da un lato la legge riconosce all’Amministrazione Finanziaria il potere di pretendere somme a titolo cautelare in modo autonomo (senza, cioè, dover ricorrere al giudice, come, invece, deve fare il contribuente), d’altra parte la legge stessa esige che, nell’ambito del processo, e nel rispetto dell’art. 111 Cost., le parti siano collocate su un piano di sostanziale parità: tale parità, tuttavia, non può ritenersi sussistente, nell’ipotesi in cui fosse riconosciuto all’Amministrazione Finanziaria il diritto di trattenere delle somme, per le quali sia stata dichiarata l’illegittimità della pretesa impositiva, sebbene sulla base di un provvedimento giurisdizionale non ancora passato in giudicato.

In tali casi, pertanto, secondo quanto statuito nella pregevole sentenza in esame, al fine di non pregiudicare la situazione patrimoniale del contribuente con un atto amministrativo che il giudice competente ha valutato illegittimo, l’Erario dovrà rimborsare quanto corrisposto dallo stesso a titolo cautelare.

Si riporta integralmente il testo della sentenza.

Lecce, novembre 2006                                         Avv. Maria Leo

 

 

Sentenza Cassazione civile, sez. Tributaria, 22-09-2006, n. 20526

(Pres. Favara – Est. Cicala)

 

Svolgimento del processo

La società di fatto F.lli S. impugnava l’avviso con cui l’Ufficio Iva di Catania aveva comunicato la sospensione, ai sensi dell’art. 69 del R.D. n. 2440/1923, del rimborso di lire 18.900.000 richiesto ex art. 30 del D.P.R. n. 633/1972, in considerazione del credito vantato dal Fisco per effetto di un avviso di accertamento di maggiore imposta per l’anno di imposta 1981.

La Commissione tributaria adita accoglieva il ricorso, risultando che l’avviso di accertamento relativo all’anno 1981 era stato annullato e la decisione veniva confermata dalla Commissione tributaria regionale della Sicilia (Sezione distaccata di Catania), che con sentenza n. 180/31/03 del 20 settembre 2003, rigettava l’appello dell’ufficio.

Avverso la sentenza di secondo grado l’ufficio proponeva ricorso per Cassazione, articolato in due motivi, col primo dei quali sollevava questione di giurisdizione, assumendo che in relazione all’atto impugnato non sarebbe configurabile la giurisdizione delle Commissioni tributarie.

Le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza 28 marzo 2006, n. 7023 rigettavano il primo motivo di ricorso, dichiaravano la giurisdizione del giudice tributario; rimettevano la controversia al Primo Presidente per l’assegnazione alla Sezione semplice in ordine alle residue questioni.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è già stato deciso con la citata sentenza delle Sezioni Unite.

Con il secondo motivo di ricorso l’Amministrazione deduce una violazione dell’art. 69 del R.D. n. 2440/1923, sostiene cioè che solo il passaggio in giudicato della sentenza di annullamento dell’atto impositivo farebbe venir meno le esigenze cautelari che giustificano la adozione del “fermo amministrativo”.

Il motivo deve essere rigettato. Ancorché l’Amministrazione invochi a sostegno della propria tesi la sentenza di questa Corte n. 4219 del 2 marzo 2004 in cui si afferma, per altro senza specifica motivazione, che il fermo amministrativo è giustificato pur in presenza di una pretesa tributaria disattesa dalla Commissione di II grado.

Ritiene invece il Collegio che la sentenza che accoglie il ricorso del contribuente e annulla l’atto impositivo priva, sia pure non in via definitiva (non essendosi ancora formato il giudicato) del supporto di un atto amministrativo legittimante la pretesa tributaria, che non può più formare oggetto di alcuna forma di riscossione provvisoria. In sostanza viene meno il titolo su cui si fonda la “ragione di credito”.

Ed il comma 2 dell’art. 68 del D. Lgs. n. 546/1992 stabilisce addirittura che se il ricorso viene accolto, il tributo eventualmente corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della Commissione tributaria provinciale (ma sembra logico che a maggior ragione il rimborso sia dovuto ove sia intervenuta la sentenza d’appello) deve essere rimborsato d’ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza (non ancora passata in giudicato), con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali.

Dunque la legge vuole che la situazione patrimoniale del contribuente non sia pregiudicata da un atto amministrativo che il giudice competente ha valutato illegittimo; neppure sotto il limitato profilo di un diritto dell’Amministrazione a trattenere quanto versato, magari spontaneamente, dal contribuente.

E – a maggior ragione – deve essere esclusa ogni forma di riscossione coattiva del credito quale nella sostanza si realizzerebbe ove il contribuente dovesse subire il “fermo” del rimborso di una somma cui ha (in base alle procedure che disciplinano la materia) diritto.

La conclusione così raggiunta, trova rispondenza nel principio di “parità delle parti” sancita dall’art. 111 della Costituzione.

Invero nella fase amministrativa dell’accertamento e della riscossione dei crediti tributari, la legge riconosce all’Amministrazione Pubblica poteri sopraordinati rispetto alle controparti; ed in questo quadro si collocano i vari istituti che consentono all’Amministrazione di tutelare i propri crediti adottando direttamente misure cautelari che invece i privati debbono richiedere al giudice.

Quando però si entra nell’ambito del processo, le parti, debbono essere collocate “in condizioni di parità”, davanti a giudice terzo e imparziale. E questa “parità” sarebbe lesa ove l’Amministrazione potesse continuare a godere di una garanzia che, lungi dall’essere avallata dal giudice, sia stata da questo disattesa e dichiarata illegittima.

Queste considerazioni di principio appaiono poi applicabili anche al caso di specie, ancorché la pretesa tributaria sia stata disattesa con provvedimento della Commissione tributaria di II grado (ora sostituita dalla Commissione tributaria regionale), cioè in epoca anteriore all’entrata in vigore del D. Lgs. n. 546/1992, dal momento che il fermo è stato disposto nella vigenza del D. Lgs. n. 546/1992.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.