le società a ristretta base proprietaria continuano a far discutere… solo un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati costituisce valido presupposto per l’accertamento a carico dei soci in ordine a dividendi erogati in nero
Le società a ristretto azionariato continuano a far discutere. In particolare, in questo nostro intervento vogliamo soffermarci sulla questione relativa alla pendenza della lite societaria e all’eventuale contrasto di giudicati (società e socio).
L’ordinanza della Cassazione n.4485 del 2016
Con l’Ordinanza n. 4485 del 7 marzo 2016, la Corte di Cassazione fissa una serie di principi in ordine alla problematica relativa all’avviso di accertamento nei confronti dei soci di una società a ristretta base azionaria, affermando che la pendenza della lite relativa all’avviso di accertamento societario va provata dal socio.
Richiamando un precedente pronunciamento (Cass. Ord. n. 5581 del 19 marzo 2015) viene ribadito che “In materia di imposte sui redditi, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale è ammissibile la presunzione di distribuzione ai soci di utili extracontabili ove sussista, a carico della società medesima, un valido accertamento di utili non contabilizzati, che ricorre anche quando esso derivi dalla quantificazione dei profitti contenuta in altra sentenza, pronunziata nei confronti della società, non ancora passata in giudicato, sicché, in tale evenienza la decisione nei confronti dei soci non viola l’art. 2727 cod. civ., incombendo sulla parte, che ne contesti il fondamento, censurare la pronuncia per violazione dell’art. 295 cod. proc. civ. atteso il rapporto dì pregiudizialità tra i giudizi” .
La sentenza della Cassazione n.13384 del 2016
Con la sentenza n. 13384 del 30 giugno 2016, la Corte di Cassazione, in ordine al presunto contrasto di giudicati insorto, tra le sentenze tributarie emesse nei confronti della società (di annullamento della pretesa tributaria) e quelle rese nei confronti del soggetto falsamente ritenuto socio della stessa (di conferma dell’imposizione tributaria), ha ritenuto inammissibile il quesito di diritto, in quanto generico e privo di riferimenti alla fattispecie concreta. In particolare, “non fornisce gli elementi relativi al giudicato che si sarebbe formato nel caso in esame, ed alle caratteristiche del contrasto di giudicati che si adombra. Tale contrasto di giudicati, per il quale si richiama nella rubrica del motivo la normativa in materia di revocazione dei decreti sul contenzioso tributario succedutesi nel tempo, riguarderebbe poi, sembra di comprendere, giudizi con parti diverse. Né appare pertinente il riferimento all’unicità del rapporto tributario sostanziale, nozione propria dell’accertamento per trasparenza della società di persone e dei soci della stessa”.
Breve nota
La legittimità della presunta distribuzione in capo ai soci degli utili non contabilizzati da parte delle società a ristretta base azionaria, che non abbia optato per il regime di trasparenza di cui all’art.116 del T.U.n.917/86, è ormai consolidata, pur sé per le società di capitali, di norma, vige, ai fini tributari, la netta separazione tra la società e i singoli soci.
Come anticipato la questione non è nuova ma si arricchisce di ulteriori spunti di riflessione, a seguito di una serie di recenti approdi giurisprudenziali.
In particolare, per le questioni che stiamo esaminando, con la sentenza n. 8763 del 30 aprile 2015 (ud. 18 marzo 2015) (in senso assolutamente conforme la sentenza n.8764 del 30 aprile 2015 – ud. 18 marzo 2015) la Suprema Corte di Cassazione, tenuto conto che è stata dichiarata l’inammissibilità del ricorso per cassazione relativamente alla società, così che la sentenza relativa al reddito della società è passata in giudicato, “essendo venuto meno il presupposto fattuale e giuridico, dato proprio dal reddito attribuito alla società, su cui era fondato l’accertamento, relativo al reddito di partecipazione, nei confronti dei soci, deve, coerentemente, ritenersi insussistente la presunzione di distribuzione, a questi ultimi pro quota, degli utili extracontabili, con la conseguente illegittimità del contestato accertamento del reddito di partecipazione dei soci. Ciò, nel solco di precedenti pronunce ed in applicazione del condiviso orientamento giurisprudenziale secondo cui l’accertamento tributario nei confronti di una società di capitali a ristretta base, costituisce un indispensabile antecedente logico giuridico dell’accertamento nei confronti dei soci, ragion per cui, perchè possa operare, la presunzione di distribuzione ai soci di utili extracontabili, occorre che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, costituendo lo stesso l’indispensabile presupposto per un valido accertamento, in ordine ai dividendi, a carico dei soci (Cass. n. 2214/2011, n. 9519/2009)”.
In ordine alla problematica della sospensione dell’atto presupposto rileviamo che con la sentenza n. 20870 dell’8 ottobre 2010 (ud. del 7 luglio 2010) la Corte di Cassazione ha affermato, secondo principi già enucleati precedentemente (Cass. nn. 18640/2009, 13338/2009, 9519/2009) che “In tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo a quelli di capitale, nel caso di società a ristretta base sociale è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, la quale non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poichè il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale. Affinchè, però, tale presunzione possa operare occorre, pur sempre, sia che la ristretta base sociale e/o familiare – cioè il fatto noto alla base della presunzione – abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio, sia che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi“. Tuttavia, osserva la Corte, che “perchè la presunzione semplice di attribuzione ai soci degli utili extracontabili accertati possa operare occorre non solo che la ristretta base sociale e/o familiare – cioè il fatto noto alla base della presunzione – abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio, ma anche che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi. Nel caso di specie, oltre a mancare qualsiasi accertamento sulla esistenza di una ristretta base familiare e/o sociale, manca altresì un accertamento definitivo sul dato presupposto, posto che nella sentenza impugnata si fa riferimento solo ad una coeva sentenza (di secondo grado) che, in parziale accoglimento dell’appello dell’ufficio, ha determinato il reddito imponibile della società di capitale, ai fini Irpeg ed Ilor per l’anno 1993, ricostruendolo con metodo induttivo nell’8% dei ricavi lordi”.
Detta sentenza, quindi, ritiene atto presupposto la definitività dell’accertamento in capo alla società, per procedere nei confronti dei soci. Definitività che potrebbe derivare da acquiescenza, da sentenza non più impugnabile, da atto di adesione o conciliazione, o comunque da un atto che ha reso definitiva la posizione della società.
Da un punto di vista temporale ciò è però difficilmente praticabile, in particolare nel caso in cui la sentenza definitiva intervenga quando magari sono già scaduti i termini per procedere all’accertamento nei confronti della persona fisica/socio.
Diversamente, in caso di adesione societaria è, invece, sicuramente possibile ancorare la posizione del socio al reddito definito in adesione.
Ricordiamo che, per effetto delle modifiche apportate dall’art. 9, del D.Lgs. n. 156 del 24 settembre 2015, dopo il comma 11 dell’articolo 39, del D.Lgs. n. 546, è stato inserito il comma 1-bis, in forza del quale “La commissione tributaria dispone la sospensione del processo in ogni altro caso in cui essa stessa o altra commissione tributaria deve risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa”.
In dottrina2 è stato rilevato che “ l’utilizzo, da parte del legislatore, del verbo ‘dipendere‘ non postula un mero collegamento tra le emanande sentenze, dato da una semplice coincidenza di elementi fattuali o giuridici, bensì un vincolo di stretta ed effettiva consequenzialità tra le pronunce. Il giudizio pregiudicante deve investire una questione di carattere pregiudiziale che costituisce, quindi, un indispensabile antecedente logico-giuridico la cui soluzione pregiudichi, in tutto o in parte, l’esito della causa da sospendere. La pregiudizialità consta, quindi, di due elementi: – quello logico, che ricorre quando ‘la definizione della relativa controversia si ponga come momento ineliminabile del processo logico della causa dipendente‘; – quello giuridico, il quale si ha quando ‘l’antecedente logico venga postulato con efficacia di giudicato per modo che possa eventualmente verificarsi conflitto di decisioni‘”. Comunque, “la norma recepisce il consolidato indirizzo della giurisprudenza della Corte di cassazione che, rimarcando la distinzione tra rapporti esterni (tra processo tributario e altri processi) e rapporti interni (tra processi tributari) riconosce, con riferimento a questi ultimi, l’applicabilità della sospensione per pregiudizialità di cui all’articolo 295 cpc3”.
13 luglio 2016
Gianfranco Antico
1 Il processo è sospeso quando è presentata querela di falso o deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio.
2 Cfr. Manoni, La sospensione necessaria per pregiudizialità trova ingresso nel processo tributario, in “ il fisco”, n.41/2015, pag.3948
3 Cfr. Elia, Attuazione della riforma fiscale. Il nuovo contenzioso tributario – 5, in “ Fiscooggi.it”, 2015