Il welfare aziendale si sta espandendo sempre di più, con nuovi possibili servizi per i dipendenti. Una delle possibilità è quella dell’assistenza psicologica.
Negli ultimi anni il tema del benessere psicologico in azienda ha conosciuto una crescita senza precedenti. L’esperienza della pandemia da Covid-19, l’adozione massiccia dello smart working e, più in generale, i mutamenti del mercato del lavoro hanno fatto emergere con forza l’importanza di tutelare non solo la salute fisica, ma anche quella mentale dei lavoratori. Come evidenziato dai dati della ricerca MINDex di Unobravo, l’aumento progressivo delle richieste di assistenza psicologica in ambito lavorativo non rappresenta più un fenomeno marginale, ma una tendenza strutturale che riflette un cambiamento culturale profondo nella percezione della salute mentale sul posto di lavoro.
Stress, ansia, timori legati all’instabilità economica e al futuro professionale hanno reso evidente come la dimensione psicologica non sia un aspetto marginale, ma parte integrante della produttività, della fidelizzazione del personale e, più in generale, della sostenibilità dell’impresa.
Le prospettive del welfare aziendale: assistenza psicologica
In questo contesto, molte aziende hanno iniziato a considerare l’inserimento di strumenti di supporto psicologico all’interno dei propri piani di welfare.
Non si tratta più soltanto di garantire polizze sanitarie, buoni pasto o contributi per la mobilità, ma di adottare una visione integrata del benessere, capace di includere anche la dimensione emotiva e relazionale.
È qui che entra in gioco la figura del consulente del lavoro, del commercialista o, più in generale, dell’esperto di welfare aziendale, chiamato ad accompagnare le imprese nella progettazione di strumenti conformi alla normativa vigente e realmente utili ai dipendenti.
Il primo passo per affrontare il tema dell’assistenza psicologica volontaria nel welfare aziendale è chiarire gli ambiti normativi all’interno dei quali muoversi.
L’articolo 51 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi disciplina la determinazione del reddito di lavoro dipendente. In particolare, il comma 2, lettera f), prevede che non concorrono a formare reddito le somme, i servizi e le prestazioni erogati dal datore di lavoro per la fruizione, da parte del dipendente e dei suoi familiari, di opere e servizi aventi finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto.
Questa disposizione apre uno spazio importante: i servizi di assistenza psicologica, se correttamente inquadrati, possono rientrare tra le prestazioni aventi finalità di assistenza sanitaria e sociale. Ciò significa che l’azienda può organizzare e finanziare percorsi di sostegno psicologico tramite convenzioni con studi professionali o piattaforme digitali di psicoterapia, senza che tali servizi diventino imponibili in capo al lavoratore.
Un aspetto essenziale chiarito dalla prassi amministrativa è che i servizi devono essere rivolti alla generalità dei dipendenti o a categorie omogenee di essi. Non possono essere limitati a singoli lavoratori individuati caso per caso, pena la perdita del regime di esenzione.
La prassi del Fisco in tema di welfare
La Circolare n. 28/E del 15 giugno 2016 ha rappresentato una svolta fondamentale nell’interpretazione delle agevolazioni fiscali per il welfare aziendale. Il documento ha chiarito che le prestazioni di welfare devono essere offerte secondo criteri oggettivi e non discriminatori, evitando forme di arbitrarietà nella selezione dei beneficiari.
La Circolare n. 5/E del 29 marzo 2018 ha ripreso la questione delle categorie di lavoratori ai fini del welfare aziendale ribadendo che le erogazioni non vanno concesse ad personam. Le somme e servizi, ricomprese nel welfare, devono essere infatti rivolte alla generalità dei dipendenti ovvero a categorie di dipendenti anche se poi alcuni di questi non fruiscono di fatto delle utilità.
L’Interpello n. 10 del 25 gennaio 2019 ha consolidato il principio secondo cui la presenza di un regolamento aziendale di welfare rafforza la legittimità del piano, attribuendogli efficacia vincolante analoga a quella di un contratto collettivo e sancendo che “la erogazione dei benefit in conformità a disposizioni di contratto, di accordo o di regolamento che configuri l’adempimento di un obbligo negoziale determina la deducibilità integrale dei relativi costi da parte del datore di lavoro ai sensi dell’articolo 95 del TUIR, e non nel solo limite del cinque per mille, secondo quanto previsto dall’ articolo 100 del medesimo testo unico”.
La Risoluzione n. 55/E del 25 settembre 2020 ha ulteriormente precisato che il requisito della generalità non implica necessariamente che tutti i dipendenti debbano fruire del servizio, ma che tutti abbiano la possibilità di accedervi secondo criteri predeterminati e oggettivi.
L’art. 100 TUIR disciplina la deducibilità per il datore di lavoro delle spese sostenute per prestazioni a carattere assistenziale. La norma prevede che siano deducibili, entro il limite del 5 per mille dell’ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente, le erogazioni liberali a favore di iniziative di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto.
Tuttavia, quando i servizi di welfare sono erogati sulla base di un regolamento aziendale che configuri l’adempimento di un obbligo negoziale e che li rende disponibili alla generalità dei dipendenti, i costi sono interamente deducibili dal reddito d’impresa, senza applicazione del limite quantitativo.
Questa distinzione è fondamentale: mentre le erogazioni liberali occasionali sottostanno al limite del 5 per mille, i servizi strutturati attraverso regolamenti aziendali godono di una deducibilità integrale. Ciò rende particolarmente conveniente l’adozione di piani di welfare formalizzati e sistematici.
Il quadro normativo non si limita al TUIR. Il D.Lgs. 81/2008 in materia di salute e sicurezza prevede infatti, agli artt. 28 e 29, l’obbligo di valutazione dello stress lavoro-correlato, legittimando l’inserimento di strumenti di supporto psicologico anche come misura di prevenzione.
L’articolo 28 del D.Lgs. 81/2008 stabilisce che la valutazione dei rischi deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, inclusi quelli collegati allo stress lavoro-correlato. Questa disposizione ha introdotto per la prima volta nell’ordinamento italiano il riconoscimento giuridico dello stress lavorativo come fattore di rischio che deve essere oggetto di valutazione e prevenzione.
L’articolo 29 prevede che il datore di lavoro debba elaborare un documento di valutazione dei rischi (DVR) che contenga l’individuazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate. In questo contesto, i servizi di assistenza psicologica potrebbero configurarsi come misure di prevenzione secondaria, volte a intercettare precocemente situazioni di disagio e a fornire strumenti di gestione dello stress.
Il GDPR e il Codice della Privacy tutelano la riservatezza dei dati personali, imponendo che l’azienda non conosca mai l’identità dei dipendenti fruitori del servizio né il contenuto delle sedute. Questo aspetto è particolarmente delicato nell’ambito dell’assistenza psicologica, dove la tutela della privacy rappresenterebbe un presupposto fondamentale per l’efficacia del servizio.
L’assistenza psicologica nel welfare aziendale
Un piano di welfare che includa assistenza psicologica volontaria contribuierebbe a costruire un ambiente inclusivo, a rafforzare l’employer branding e a rendere l’impresa più attrattiva per i talenti. In questo contesto il consulente del lavoro o il commercialista del datore di lavoro dovrebbero svolgere una funzione cruciale: valutare la conformità fiscale, predisporre la documentazione necessaria e informare adeguatamente i lavoratori sui servizi disponibili, chiarendo che l’adesione è volontaria e che la riservatezza è garantita.
In particolare, il professionista dovrebbe analizzare la struttura organizzativa dell’azienda per individuare le categorie di dipendenti beneficiari, verificare la compatibilità con il CCNL applicato, predisporre la documentazione contrattuale con i fornitori, curare gli aspetti fiscali e contributivi, monitorare il rispetto della normativa privacy e supportare l’azienda nella comunicazione interna del servizio.
Il supporto psicologico, per sua natura, non può essere imposto. Deve essere un servizio aggiuntivo a disposizione del dipendente, che sceglie liberamente se e come usufruirne. È fondamentale che l’azienda comunichi chiaramente che l’accesso al servizio è completamente volontario, che la non adesione non comporta alcuna penalizzazione, che l’utilizzo del servizio non influenza in alcun modo la valutazione professionale e che è possibile interrompere il percorso in qualsiasi momento.
La tutela della privacy rappresenta quindi un aspetto cruciale nell’implementazione di servizi di assistenza psicologica aziendale. I dati relativi all’utilizzo del servizio devono essere trattati nel rispetto del GDPR. L’azienda non deve conoscere l’identità di chi si rivolge allo psicologo né i contenuti delle sedute: può solo ricevere report aggregati e anonimi sull’andamento complessivo del servizio, utili per valutare l’efficacia del piano di welfare.
Il trattamento dei dati deve rispettare i principi di liceità, correttezza, minimizzazione, limitazione della conservazione, integrità e riservatezza. Devono essere adottate misure di sicurezza adeguate per proteggere le informazioni sensibili e garantire che l’identità dei fruitori sia nota solo al professionista incaricato, vincolato al segreto professionale.
Alcuni suggerimenti sul regolamento aziendale
La predisposizione di un regolamento di welfare aziendale per l’erogazione di servizi di assistenza psicologica rappresenta un passaggio cruciale per garantire la conformità normativa e fiscale dell’iniziativa. Il regolamento dovrebbe essere strutturato in modo da soddisfare tutti i requisiti previsti dalla normativa tributaria e giuslavoristica.
Il documento dovrebbe iniziare con un’accurata elencazione dei riferimenti normativi che giustificano l’adozione del piano di welfare. È essenziale citare l’art. 51, comma 2, lett. f) del TUIR per l’esenzione fiscale, l’art. 100 del TUIR per la deducibilità integrale, le circolari e risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate, il D.Lgs. 81/2008 per gli aspetti di sicurezza sul lavoro, la normativa sulla professione di psicologo e il GDPR per la protezione dei dati.
Il regolamento dovrebbe chiarire che il servizio ha finalità di assistenza sanitaria e sociale, rientrando quindi nel campo di applicazione dell’art. 51 del TUIR.
Un aspetto critico è la corretta identificazione dei soggetti beneficiari. Il regolamento dovrebbe prevedere che il servizio sia offerto alla generalità dei dipendenti o a categorie omogenee di essi. Ciò significa che non possono essere esclusi dipendenti sulla base di criteri soggettivi o discriminatori, è possibile prevedere categorie oggettive come tutti i dipendenti che hanno superato il periodo di prova, non è necessario che tutti i dipendenti usufruiscano effettivamente del servizio ma tutti devono potervi accedere, e l’adesione deve rimanere volontaria.
Il regolamento dovrebbe descrivere dettagliatamente come viene erogato il servizio specificando, per esempio, se le sedute si svolgono in presenza, da remoto o in modalità mista, e se durante l’orario di lavoro o al di fuori di esso. È essenziale prevedere che il servizio sia erogato esclusivamente da psicologi iscritti all’albo professionale, con adeguata esperienza nel settore.
Il regolamento dovrebbe chiarire che il costo del servizio è interamente a carico dell’azienda.
Una sezione specifica dovrebbe essere dedicata agli aspetti di privacy, prevedendo che l’identità dei fruitori sia nota solo al professionista incaricato, che il contenuto delle sedute sia coperto da segreto professionale, che l’azienda riceva solo report aggregati e anonimi, che siano adottate misure di sicurezza adeguate per la protezione dei dati e che i dipendenti ricevano un’informativa privacy specifica.
Il regolamento dovrebbe descrivere la procedura per accedere al servizio, includendo le modalità di richiesta attraverso email dedicata, la verifica dei requisiti di ammissibilità, l’assegnazione del professionista, la programmazione degli incontri e la gestione di eventuali disdette o interruzioni.
È fondamentale che il regolamento specifichi di avere efficacia analoga a quella di un contratto collettivo e di costituire vincolo negoziale tra le parti. Lo stesso, per configurare l’adempimento di un obbligo negoziale “deve essere, quindi, non revocabile né modificabile autonomamente da parte del datore di lavoro. In tal caso, infatti, l’atto nella sostanza sarebbe qualificabile come volontario”.
Questa formulazione è essenziale per garantire la deducibilità integrale delle spese.
In un’epoca in cui la produttività è sempre più legata al capitale umano, investire sul benessere psicologico non è un lusso, ma una necessità. La normativa già consente di farlo in modo efficiente; spetta ora alle imprese, con il supporto dei propri consulenti, cogliere questa opportunità e trasformarla in un vantaggio competitivo, sociale e umano.
L’assistenza psicologica in azienda rappresenta un investimento nel futuro del lavoro, dove il benessere delle persone e la sostenibilità dell’impresa convergono verso obiettivi comuni. La corretta implementazione di questi servizi richiede competenza tecnica, sensibilità umana e visione strategica: qualità che il consulente del lavoro e il commercialista moderno deve saper coniugare per accompagnare le aziende in questa trasformazione culturale e organizzativa.
La sfida è aperta: costruire organizzazioni più umane, produttive e sostenibili, dove il benessere psicologico non sia un optional, ma un pilastro fondamentale della strategia aziendale.
Il quadro normativo c’è, gli strumenti anche!
Ora tocca ai professionisti e alle imprese fare il passo decisivo verso un nuovo modello di welfare aziendale.
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Giovedì 23 Ottobre 2025
Ciro Abbondante