Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo rappresenta la sanzione massima che un datore di lavoro può applicare, ma è legittimo solo se fondato su esigenze aziendali concrete e il rispetto di requisiti specifici.
Analizziamo i criteri richiesti, dal riassetto organizzativo alla tutela dei diritti del lavoratore, per capire quando questa scelta può essere considerata valida e in quali casi potrebbe essere contestata dal dipendente.
Nel contratto di lavoro subordinato il rapporto può essere risolto per iniziativa unilaterale del datore di lavoro (licenziamento) o del dipendente (dimissioni).
Il recesso aziendale, oltre ad essere soggetto alla disciplina del preavviso (pur con le dovute eccezioni come nel caso del licenziamento per giusta causa) è contemplato per una serie di motivazioni che riguardano la condotta assunta dal lavoratore (licenziamento disciplinare per giusta causa o giustificato motivo soggettivo) o, al contrario, l’attività economico – produttiva e l’organizzazione del lavoro. In quest’ultimo caso si configura l’ipotesi di recesso per giustificato motivo oggettivo (in sigla GMO).
Analizziamo in dettaglio quali sono le condizioni perché il licenziamento per GMO possa considerarsi legittimo.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo
A differenza delle ipotesi di licenziamento disciplinare motivate da un comportamento del dipendente tale da ledere il vincolo fiduciario con il datore di lavoro, il recesso per GMO ricorre in tutte quelle ipotesi in cui la scelta dell’azienda di risolvere il contratto è legata a ragioni oggettive, in quanto proprie dell’attività produttiva e dell’organizzazione del lavoro.
Trattandosi di fattispecie che esulano dal comportamento del dipendente non emerge la necessità, perché il recesso sia legittimo, di ante