Imposta di registro: rigetto del ricorso per rettifica di maggiore imposta non supportata da elementi certi

Imposta di registro: il prezzo dichiarato nel rogito di due distinti locali adibiti ad uso commerciale è conforme al c.d. minimo costituzionale. Il ricorso (per Cassazione) dell’ufficio è rigettato perchè la rettifica della maggiore imposta non è supportata da elementi certi

Imposta di registro: rigetto del ricorsoLa CTR Toscana…

  • aveva confermato l’annullamento dell’avviso di rettifica dell’ufficio che aveva rideterminato il valore in base al reddito nascente da contratto di affitto;
  • affermava che ai fini del valore dell’immobile (dichiarato per €.1.666,66) le ricerche effettuate presso le agenzie immobiliari avevano indicato il valore degli immobili in zona oscillante fra euro 1.350 ed euro 1.800;
  • aggiungeva che ai fini dell’individuazione del valore corretto avevano una particolare influenza gli elementi soggettivi ed oggettivi dell’acquirente e del venditore;
  • l’ufficio, sul quale ricadeva l’onere di dimostrare il diverso valore del cespite immobiliare, non aveva offerto elementi certi ed esaustivi nemmeno in appello.

L’Agenzia nel ricorso per cassazione lamentava la nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente e incomprensibile, poiché l’iter motivazionale non indicherebbe le ragioni poste a fondamento della decisione.

La Cassazione ha deciso che il motivo è infondato, perché:

  • da un lato, sussiste “l’inadeguatezza delle attività svolte per individuare il valore attraverso il metodo della capitalizzazione del reddito”;
  • dall’altro, non sussistono elementi ritenuti significativi per determinare il valore del cespite in misura diversa da quella esposta nell’atto di compravendita”;
  • “il prezzo dichiarato dei due cespiti immobiliari oggetto di compravendita rientra perfettamente nella forbice relativa al valore medio degli immobili ritratto da diversi parametri utilizzati (valutazioni agenzie immobiliari ed ulteriori ricerche)”, mentre l’Ufficio non ha dimostrato “la non conformità del prezzo al reale valore dei due immobili”.

Pertanto, la motivazione appare conforme al cosiddetto minimo costituzionale, il ricorso (dell’ufficio) va rigettato.

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CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE SESTA CIVILE TRIBUTARIA – ORDINANZA 11 LUGLIO 2018, N. 18277

Fatti e ragioni della decisione

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, contro la X srl, impugnando la sentenza resa dalla CTR Toscana che ha confermato l’annullamento dell’avviso di rettifica relativo alla maggiore imposta di registro determinata dall’ufficio in relazione alla compravendita di due distinti locali adibiti ad uso commerciale ubicati in Y, per i quali l’ufficio aveva rideterminato il valore in base al reddito nascente da contratto di affitto.

Secondo la CTR, bene aveva fatto il giudice di primo grado ad annullare la ripresa a tassazione, essendosi basato su un unico contratto di affitto non ‘in simbiosi’ con il valore dell’immobile.

Aggiungeva, poi, che ai fini del valore dell’immobile le ricerche effettuate presso le agenzie immobiliari avevano indicato il valore degli immobili in zona oscillante fra euro 1350 ed euro 1800.

Aggiungeva che ai fini dell’individuazione del valore corretto avevano una particolare influenza gli elementi soggettivi ed oggettivi dell’acquirente e del venditore.

Orbene, rispetto al prezzo indicato nel rogito, pari ad euro 1666,66, l’ufficio, sul quale ricadeva l’onere di dimostrare il diverso valore del cespite immobiliare, non aveva offerto elementi certi ed esaustivi nemmeno in appello.

La parte intimata si è costituita con memoria.

Il procedimento può essere definito con motivazione semplificata.

Con il primo motivo l’Agenzia deduce la nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente e incomprensibile, poiché l’iter motivazionale non indicherebbe le ragioni poste a fondamento della decisione.

Il motivo è infondato.

Diversamente da quanto prospettato dall’Agenzia, la sentenza impugnata ha esposto le ragioni che hanno indotto il giudice di appello a confermare la decisione impugnata, correlate per l’un verso all’inadeguatezza delle attività svolte per individuare il valore attraverso il metodo della capitalizzazione del reddito e, per altro verso, all’assenza di elementi ritenuti significativi per determinare il valore del cespite in misura diversa da quella esposta nell’atto di compravendita.

La motivazione è dunque conforme al cosiddetto minimo costituzionale (cfr. Cass. Sez. Un. n. 8053/2014).

Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 51 e 52 dPR n. 131/1986.
La CTR avrebbe erroneamente escluso che il valore venale ai fini della rideterminazione dell’imposta di registro potesse determinarsi attraverso il canone legale della capitalizzazione del reddito previsto dall’art. 51 c. 3 dPR n. 131/1986.

La censura è inammissibile, poiché non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, non già rivolta a negare in astratto il criterio legale della capitalizzazione del reddito ai fini della rideterminazione del valore della compravendita, ma semmai a sostenere, sulla base di un accertamento in fatto nemmeno contestato dall’ufficio, che il prezzo dichiarato dei due cespiti immobiliari oggetto di compravendita rientrava perfettamente nella forbice relativa al valore medio degli immobili ritratto da diversi parametri utilizzati (valutazioni agenzie immobiliari ed ulteriori ricerche) senza che l’Ufficio avesse dimostrato la non conformità del prezzo al reale valore dei due immobili.

Sulla base di tali considerazioni, il ricorso (dell’ufficio) va rigettato.

Le spese sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso (dell’ufficio).

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in euro 600 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Antonino Pernice

8 ottobre  2018