Il Cost Cutting (taglio dei costi) è una pratica saggia?

quando in azienda si discute di costi ci si pone nell’ottica di ridurli o di contenerne l’aumento (cost cutting); tale approccio è senz’altro basico ma può essere una soluzione semplicistica: il fenomeno della gestione e contenimento dei costi va inquadrato all’interno della strategia aziendale che si intende perseguire

alberto-bubbio-manage-mind Quando si discute di costi oggi ci si pone nell’ottica di ridurli o di contenerne l’aumento (cost cutting)!

Sono questi gli imperativi ai quali molte imprese stanno cercando di dare una risposta efficace, date anche le dinamiche che i costi stessi hanno fatto registrare. Ma sembrerebbe imporlo anche il mercato con i suoi incerti andamenti congiunturali e soprattutto la competizione che richiede precise scelte di strategia competitiva.

Ma la leva costi, apparentemente semplice da manovrare, nasconde oggi più che in passato insidiose premesse con ripercussioni gestionali sia a livello operativo che a livello strategico.

Così i tradizionali approcci di riduzione e contenimento costi, frutto di trascorse esperienze, in alcuni casi, non solo non sono stati sufficienti, ma hanno rischiato di compromettere la value proposition delle imprese.

Il motivo è semplice: le logiche seguite sono state quelle del cost control, centrate sul budget e su una sua quantificazione per “centri di costo”.

In base a questa logica si chiede ai responsabili dei singoli centri di utilizzare nel modo più efficiente possibile le risorse loro assegnate e di provvedere ad una riduzione o ad un significativo contenimento dei costi. Ne conseguono budget oggettivi e precisi, ma centrati sulla singola unità organizzativa solitamente di area funzionale.

Dove i responsabili di queste aree si inventano le azioni le più diverse per conseguire il mandato ricevuto. Approvati questi budget, cosa che avviene verificandone la congruità rispetto ai ricavi messi a budget e all’utile desiderato, il problema diventa poi quello di rispettarne gli importi indicati durante lo svolgersi della gestione.

Se si procede in questo modo, la verifica che viene fatta è che i singoli centri sostengano, nello svolgere le loro attività, costi in linea con quelli concordati a budget e collegati ai volumi di produzione/vendite programmati.

Quest’approccio tuttavia non tiene conto di due profondi cambiamenti avvenuti nelle determinanti che condizionano le dinamiche dei costi. Il primo è che il principale driver dei costi non è più il volume di vendita. Questa variabile che nelle imprese per decenni è stata la vera determinante nel condizionare l’entità dei costi, oggi rischia di essere fuorviante. Per i vari elementi di costo, dal costo delle materie prime a quello delle fotocopie si era abituati, semplificando, ma in modo accettabile la realtà, a verificarne il grado di variabilità o costanza rispetto ai volumi. Ma il nuovo driver che si è affiancato al primo è il grado di complessità che, a parità di volumi, determina costi di importi completamente diversi, in relazione al fatto che vi sia un più o meno elevato grado di complessità.

Oggi in luogo dei costi varabili e dei costi fissi, dobbiamo confrontarci con i chunky cost, il cui comportamento è legato alla complessità. Così, ad esempio, il costo delle materie prime, che pur rimane un costo variabile, è più che mai caratterizzato da importi assai diversi in relazione al fatto che ci si rifornisca da un unico fornitore o da più fornitori, con ordini di dimensioni più o meno contenute, con un numero di item più o meno ampio, con modalità e località di consegna più o meno differenti. Più aumenta la complessità più il costo unitario variabile praticato dal fornitore aumenta. Ma l’aspetto preoccupante è che per gestire la complessità anche i costi fissi cambiano e aumentano al crescere della complessità. Si pensi sempre all’ufficio acquisti che deve seguire una pluralità di fornitori, distribuiti geograficamente in aree molto diverse, con una pluralità di item, che talvolta richiedono anche la ricerca di nuovi fornitori. In questi casi o si riduce la complessità, se è possibile, o ci si deve attrezzare per gestire la complessità. E questo significa maggiori costi.

Così un indiscriminato “taglio costi” determinerebbe, come minimo, una caduta del livello qualitativo dell’attività svolta dal centro di costo. D’altra parte la soluzione, da adottare in automatico, non è certo quella di far fare all’esterno o portare in outsourcing le attività che creano complessità, soprattutto se queste hanno un rilievo nel caratterizzare l’offerta che l’impresa rivolge ai propri clienti.

 

Il secondo cambiamento che condiziona le dinamiche dei costi è dovuto al fatto che il consumo di risorse viene effettuato per svolgere delle attività attraverso le quali si confeziona, spesso lavorando in modo strettamente interfunzionale, un’offerta per i clienti. Sono i clienti, con la loro crescente richiesta di prodotti/servizi “personalizzati” il secondo nuovo driver dei costi. In questa logica diventa irrilevante il “dove” si spende (in quale area funzionale) e diventa centrale il capire “perché” si consumano risorse e quindi si generano costi. In proposito diventa chiave una lettura della realtà aziendale per processi gestionali e si deve cercare di capire se stia riflettendo su attività che creano o meno valore per il cliente. Si tratta di capire se le singole attività siano attività il cui output, direttamente o attraverso l’output di altre attività, risponde a specifiche esigenze del cliente.

Quest’analisi è fondamentale poiché nelle logiche del cost management è allo svolgimento di queste attività che l’impresa deve dedicare il maggior numero di risorse possibili. Così, ad esempio, se si individua che l’attività di prevendita ha un ruolo centrale nel condizionare le scelte del cliente, andrebbero dedicate risorse a tutte quelle attività che facilitano lo svolgersi di questa attività e ne aumentano l’efficacia.

Si devono quindi gestire i costi per liberare risorse da attività che non creano valore e allocarle a quelle attività che sono invece critiche nella creazione di valore per il cliente. Secondo quest’approccio, la riduzione dei costi non è un processo generalizzato, ma mirato. Oggetto di riduzione dei costi dovrebbero essere solo le attività che non creano valore, anche se poi, alcune di queste non possono essere eliminate, ma debbono essere svolte o per obblighi di legge o per prassi procedurali interne. Ma i costi di queste attività vanno minimizzati, trovando soluzioni, spesso di processo, che consentono di farlo.

Certo non ci si può più basare su analisi dei costi che dimentichino le trasversalità che caratterizzano le attività di impresa, che si blocchino di fronte a situazioni fossilizzate, espressione di posizioni di potere e di logiche funzionali legate ad un passato dove importante era svolgere bene tutte le attività aziendali anche se poi al cliente in realtà questo risultato interessava poco. La superiorità strategica del cost management è magari difficile da accettare ma è inequivocabile: non si può rischiare per un vantaggio a breve, derivante da una manovra di riduzione dei costi, di compromettere nel tempo il successo competitivo di un’impresa.

 

 

31 marzo 2017

Alberto Bubbio