Accertamenti fiscali legittimi su condotte commerciali anomale del contribuente

analizziamo il problema della della condotta cosiddetta antieconomica da parte del contribuente e le sue consiguenze processuali: se il fisco riesce a dare conto di una fondata ipotesi di condotta antieconomica si inverte l’onere della prova?

EbookCondotte commerciali anomale del contribuente

Ricorre l’ipotesi di “contabilità inattendibile per comportamenti economicamente ingiustificati1 ogniqualvolta si rilevino esiti antieconomici, non ragionevoli e contrari ai canoni imprenditoriali2. In particolare, costituiscono anomalie gravi quelle nel rapporto tra ricavi e oneri del personale3, ovvero tra ricavi e immobilizzazioni (Cass. 05-12-2012 n. 21810 sez. T).

In tema di accertamento delle imposte dirette, la prova presuntiva dei maggiori ricavi, idonea a fondare l’accertamento con il metodo analitico-induttivo di cui all’art. 39, c. 1, lett. d, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, può essere desunta da una condotta commerciale anomala (i.e. drastica riduzione della percentuale di ricarico normalmente applicata nell’anno precedente e in quello successivo, senza che tale anomalia gestionale sia giustificata da fenomeni di contingenza economica, determinati da calo della domanda, difficoltà negli approvvigionamenti od esigenze di smaltimento di magazzino) del contribuente4. La circostanza che una impresa commerciale dichiari per più anni di seguito rilevanti perdite5, nonchè un’ampia divaricazione tra costi e ricavi, costituisce una condotta commerciale anomala, di per sè sufficiente a giustificare da parte dell’erario una rettifica della dichiarazione, ai sensi del D.P.R. n. 600, art. 39, a meno che il contribuente non dimostri concretamente l’effettiva sussistenza delle perdite dichiarate. In tali casi è consentito all’Ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici, maggiori ricavi o minori costi6, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente (Cass. 05-12-2012 n. 21810 sez. T).

L’Agenzia delle Entrate, in presenza di una condotta commerciale anomala da parte di una azienda, nonostante gli studi di settore e gli sconti praticati dall’azienda, può emettere accertamenti per verificare il maggior reddito d’impresa. Sarà poi compito del contribuente dimostrare che i ricavi sono inferiori rispetto a quello stabilito dall’ufficio del Fisco.

Onere probatorio

Una volta che il fisco dia conto dell’esistenza d’indubbi indici (rilevante volume d’affari; consistenza degli acquisti; perdite di bilancio non giustificate; incongruenza tra perdite, oneri per il personale impiegato ed energie produttive dell’amministratore unico; indice di rotazione molto basso e incompatibile con il settore; percentuale di ricarico non coerente ai dati merceologici di settore), rivelatori di maggiore capacità contributiva rispetto a quella risultante dalla documentazione contabile e fiscale, spetta al contribuente7 l’onere di offrire prova contraria. Sussiste un ribaltamento dell’onere della prova8 sul contribuente9 il quale, ove non riesca a giustificare la propria condotta, o a fornire idonei chiarimenti, legittima un accertamento analitico-induttivo ai sensi dell’art. 39 c. 1 lett. d del D.P.R. n. 600/197310. Il fisco può calcolare ricavi più alti di quelli dichiarati, ad un contribuente che abbia immotivatamente abbassato la percentuale di ricarico, senza, cioè una valida giustificazione sul piano commerciale (Cassazione sentenza 15 febbraio 2017, n. 3984)

Iva

Con la sentenza n. 22130/2013, la Corte ha ritenuto che non sia ammessa l’estensione automatica anche all’imposizione indiretta delle presunzioni. A questo proposito i giudici hanno evidenziato che anche in considerazione dei principi enunciati dalla Corte di giustizia, per l’Iva, non sia consentito limitare o negare il diritto di detrazione. In caso contrario, verrebbe meno il principio di neutralità dell’imposta: al versamento dell’Iva dovuta dal cedente non corrisponderebbe la detrazione da parte del cessionario. Più di recente, con l’ordinanza n. 10041/201411 la Cassazione ha ulteriormente ribadito che, salvo non si tratti di operazioni inesistenti, di sovrafatturazioni o di un più ampio contesto di abuso del diritto, le presunzioni volte a contrastare un comportamento non economico non possono estendersi all’Iva12.

Sindacato del giudice

Al giudice13 spetta il compito di valutare le ragioni che sono state «portate» e specificare perché non ci sono state irregolarità. Compete al giudice di merito, per poter annullare la pretesa, la specificazione, con argomenti validi, delle ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità non sia sintomo di possibili violazioni di disposizioni tributarie. Esso deve valutare le ragioni addotte dal contribuente a sostegno dell’apparente antieconomicità.

Una volta14 accertata la legittimità della rettifica del reddito, ai sensi dell’art. 39 c. 1 lett. d)DPR 600/1973, in base all’impianto documentale ed all’esistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti che, attraverso una media ponderata di ricarico applicata al costo del venduto delle diverse categorie di beni, avevano portato l’Ufficio ad accertare maggiori ricavi (in presenza di irregolarità contabili), il giudice non può procedere all’abbattimento del risultato in base ad un ragionamento di tipo equitativo; né in base alle generiche ed indimostrate circostanze addotte in sentenza le quali non giustificano il risultato ottenuto.

E’ invece il contribuente a dover provare in modo preciso i fatti impeditivi del maggiore ricarico di cui all’accertamento effettuato dall’Ufficio; tali non potendo considerarsi appunto le generiche ed indimostrate affermazioni, relative al margine operativo lordo per dipendente o alla “dubbia rappresentatività del campione” ovvero alla diversità di prezzo tra i beni venduti , ai tempi morti di lavoro ed agli sconti praticati. La legge non conferisce al giudice un potere di determinazione del reddito di tipo equitativo15. Qualora la legge imponga sul piano probatorio una inversione dell’onere della prova, il soggetto onerato della prova non può vincere la presunzione legale mediante altra presunzione semplice, ma deve allegare e provare fatti concreti16.

Il giudice di merito, se ritenga corretto il metodo applicato, non può procedere ad ulteriori indagini, e, invece, in caso contrario, deve indicare le ragioni di inadeguatezza del campione selezionato o dell’errore di rilevazione o di computo della media, per poi determinare le distinte percentuali di ricalcolo per i beni non ricompresi nel campione, ovvero, se risulti inutilizzabile tale metodologia, i diversi criteri in base ai quali pervenire alla individuazione della nuova percentuale di ricalcolo unitaria. Nel caso in cui l’Ufficio contesti al contribuente l’antieconomicità della gestione aziendale, da cui derivi la presunzione di maggior reddito posta a base dell’accertamento induttivo, ed il giudice tributario abbia ritenuto giustificato tale comportamento solo apparentemente antieconomico, in quanto frutto della strategia aziendale di espansione dei punti vendita in diverse località, richiedente investimenti in vista di futuri guadagni, l’Ufficio non può limitarsi ad opporre illazioni e congetture, senza una critica adeguata del vizio logico della motivazione sull’apprezzamento di fatto compiuto dal giudice tributario.( Cass. civ. Sez. V, 23-11-2016, n. 23795)

9 marzo 2017

Isabella Buscema

1 La ricostruzione operata dall’ufficio in ordine alla vendita di autovetture usate evidenzia un comportamento antieconomico che fa presumere una sottostante evasione dal momento che sono state rivendute ad un prezzo inferiore a quello corrisposto per acquistare le stesse (CTR Roma 30-12-2013 n.420 sez. 28).

2 E’ legittimo l’accertamento analitico-induttivo fondato, non sulle risultanze dello studio di settore, ma sul reddito dichiarato dal contribuente, laddove lo stesso risulti particolarmente basso, ossia indicativo di un comportamento illogico ed antieconomico (Cass. civ. Sez. V, 20-07-2016, n. 14893).

3 ll dichiarare, ai fini dell’imposta diretta sul reddito, un reddito esiguo, addirittura inferiore a quello dichiarato da un lavoratore dipendente, rappresenta una condotta commerciale anomala in contrasto con i principi di ragionevolezza anche sotto il profilo dell’antieconomicità del comportamento: condotta anomala di per sé sufficiente a giustificare da parte dell’ufficio una rettifica della dichiarazione (CTR 12-11-2014 n. 6774 sez. 14).

4 Il conto cassa rileva il denaro costituito dall’impresa per far fronte alle uscite immediate di denaro o per incamerare liquidità: accoglie, dunque, i movimenti inerenti alle entrate e uscite di denaro contante e, fisiologicamente, presenta sempre eccedenza in dare atteso che non possono esistere, secondo le regole ragionieristiche e di contabilità, quantità negative in cassa. La sussistenza di un saldo negativo di cassa, implicando che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati, oltre a costituire un’anomalia contabile, fa presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati in misura almeno pari al disavanzo (Cass. 20-01-2017 n.1530 sez. T).

5 È legittimo l’accertamento nei confronti del laboratorio di analisi cliniche che, per cinque annualità, realizzava un risultato d’esercizio negativo (o al più, modestamente positivo), continuando, tuttavia, a movimentare una notevole entità di risorse (economiche, finanziarie ed umane). È legittimo l’accertamento analitico – induttivo a carico dell’azienda che, a fronte di un risultato di esercizio negativo per più annualità, abbia continuato a movimentare una notevole entità di risorse economiche, finanziarie e umane, avvalendosi di molteplici lavoratori dipendenti e di collaboratori autonomi. La dichiarazione, per più anni consecutivi, di rilevanti perdite, nonché l’ampia divaricazione tra costi e ricavi, costituisce “una condotta commerciale anomala, di per sé sufficiente a giustificare da parte dell’erario una rettifica della dichiarazione“, salvo che il contribuente “non dimostri concretamente la effettiva sussistenza delle perdite dichiarate“. In presenza di comportamenti manifestamente antieconomici che potrebbero nascondere operazioni evasive è legittimo l’operato dell’ufficio che accerta un maggior reddito anche in assenza di irregolarità formali (Cass. 30-05-2014 n. 12167 sez. T). E’ legittimo l’accertamento induttivo di maggiori ricavi nei confronti della società che sostiene costi considerevoli a fronte di bilanci sempre in perdita. Una condotta siffatta, essendo palesemente antieconomica, esonera l’Ufficio finanziario dal provare alcunché, mentre grava sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria a quella presuntiva fornita dalla parte pubblica (Cass. 24-09-2014 n.20076 sez. T).

6 Il sindacato dell’Amministrazione finanziaria circa il comportamento antieconomico del contribuente non trova limiti nella disposizione relativa alla libertà di iniziativa privata (art. 41 Cost.). Una condotta non ispirata ai normali criteri di economicità dell’imprenditore (principio del massimo risultato e del minimo mezzo), in contrasto con le scelte del buon senso e prive di razionale motivazione può assumere valenza di indizio fornito dei requisiti di gravità, precisione e concordanza che legittimano il disconoscimento della deducibilità dei costi, avuto riguardo al parametro del valore normale che costituisce punto di riferimento nella valutazione fiscale delle cessioni di beni e prestazioni di servizi. Né a tale giudizio di congruità il contribuente si sottrae attraverso la regolare tenuta delle scritture contabili. L’aumento del fatturato negli anni precedenti ed in quello oggetto di accertamento non può ritenersi indicativo del beneficio economico derivato dai costi di sponsorizzazione, dovendosi piuttosto considerare l’utile di bilancio della società sponsorizzante, che costituisce la vera finalità cui tende l’imprenditore. In tale contesto deve aversi, altresì, riguardo allo scarso numero di potenziale clientela raggiungibile dal messaggio pubblicitario, soprattutto qualora l’attività sponsorizzata operi in un ristretto ambito locale. In ipotesi siffatte è legittimo ritenere che il costo sostenuto dalla società per la controprestazione ottenuta sia stato antieconomico, con conseguente legittimità del disconoscimento operato dall’Ufficio. Ai fini dell’inerenza e della deducibilità del costo, deve essere, invero, provata la congruità della spesa.

7 Il ricorso all’accertamento induttivo del maggior reddito d’impresa non è precluso dal riscontro di una contabilità (ordinaria o semplificata) formalmente regolare, allorché gravi, precisi e concordanti indizi militino nel senso dell’esistenza di maggiori ricavi, non desumibili dalla contabilità stessa. Ciò trova conferma nella norma per cui l’accertamento induttivo può essere fondato anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore. E’, pertanto, pienamente legittimo l’accertamento induttivo di un maggior reddito d’impresa, rispetto a quello dichiarato ed eventualmente risultante dall’esame della contabilità aziendale pur formalmente regolare, qualora sussistano le predette gravi incongruenze, in relazione alle caratteristiche proprie dell’azienda soggetta ad indagine (nel caso di specie, il contribuente non aveva addotto alcuna giustificazione circa il suo contestato comportamento antieconomico, risultando dalla sua dichiarazione che l’attività professionale svolta non era remunerativa e, addirittura, presentava perdite rilevanti in diverse annualità, con la conseguenza che correttamente i suoi compensi sono stati rideterminati in via presuntiva; a tal fine, l’Ufficio non ha effettuato un accertamento basato sugli studi di settore, ma ha rilevato gravi incongruenze tra i compensi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e condizioni di esercizio dell’attività svolta e, quindi, ha provveduto a rideterminare i compensi da lavoro autonomo, prendendo a riferimento gli studi di settore, utilizzati come termine di valutazione per la determinazione dei compensi, peraltro calcolati in misura prudenziale del 50%, senza che il contribuente abbia dimostrato l’esistenza di una realtà reddituale diversa da quella accertata) (Cass. civ. Sez. V, 13-07-2016, n. 14281).

8 La contestazione, spesso presente nella prassi operativa e nelle pronunce giurisprudenziali, riguardante la antieconomicità” del comportamento imprenditoriale richiede da parte dell’Amministrazione finanziaria la dimostrazione dell’inattendibilità del comportamento, che viene raggiunta anche presuntivamente. Tale inattendibilità giustifica per l’Ufficio fiscale il ricorso alla metodologia di accertamento analitico-induttivo, senza che sia necessario produrre ulteriori prove riguardanti il carattere antieconomico del comportamento stesso. Spetta quindi al contribuente fornire la prova della regolarità delle operazioni effettuate, sotto il profilo della congruità/validità economica (Cass. civ. Sez. V, 01-07-2015, n. 13468).

9 E’ nullo l’accertamento induttivo emesso nei confronti di un imprenditore che aveva acquistato dei veicoli usati ad un prezzo superiore a quello della successiva rivendita se la singola operazione, apparentemente antieconomica, si giustifica nell’ambito di una complessiva logica imprenditoriale e di una più ampia strategia commerciale. La contribuente ha fornito prova della strategia sottesa alla presunta condotta antieconomica svolta: in pratica, sopravvalutando l’usato invece di applicare uno sconto sul prezzo di acquisto, la società ha raggiunto il medesimo risultato economico consistente nella vendita di veicoli nuovi. In definitiva, la presunta condotta antieconomica è stata giustificata dal contribuente con l’incentivo della vendita di veicoli nuovi, cui la sopravvalutazione dell’usato era strumentale. Non è dunque ravvisabile la dedotta violazione del criterio di ripartizione dell’onere della prova posto dall’art. 2697 c.c., atteso che la CTR ha appunto ritenuto che la contribuente avesse assolto all’onere della prova contraria, sulla stessa gravante, a fronte della presunzione iuris tantum derivante dalla antieconomicità dei veicoli ceduti in permuta, posta a fondamento dell’accertamento dell’Ufficio (Cass. 30-09-2015 n. 19408 sez. T). Lo smobilizzo del magazzino a prezzi irrisori attraverso una vendita a stock di quasi quattro mila paia di scarpe, senza che l’Ufficio si sia curato di contestare specificamente le puntuali difese svolte in proposito dalla contribuente, comporta l’annullamento dell’avviso di accertamento (Cass. 19-02-2016 n. 3287).

10 Il discrimine tra l’accertamento condotto con metodo analitico (D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, c. 1) e quello condotto con metodo induttivo (D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, c. 2) va individuato, rispettivamente, nella parziale od assoluta inattendibilità e conseguente utilizzabilità dei dati risultanti dalle scritture contabili .Nel primo caso l’Ufficio è legittimato solo a completare le lacune riscontrate e deve utilizzare, ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi del reddito non dichiarati, presunzioni rispondenti ai requisiti di cui all’art. 2729 c.c. mentre nel caso di accertamento induttivo puro l’Amministrazione finanziaria è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari, anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c. (Cass. 19-08-2015 n. 16979 sez. V).

11 Non è possibile applicare direttamente e automaticamente all’Iva i principi espressi in tema di accertamento induttivo dei redditi d’impresa con riferimento all’antieconomicità, a ciò ostando la particolare natura del tributo, informato al principio di neutralità. Non è quindi consentito all’Amministrazione rideterminare il valore delle prestazioni e dei servizi acquistati dall’imprenditore, escludendo il diritto di detrazione, qualora il loro valore sia ritenuto antieconomico, o comunque sia tale da produrre un risultato antieconomico (Cass. civ. Sez. V, 04-06-2014, n. 12502)

12 Contra, Cass. civ. Sez. VI – 5 Ordinanza, 30-12-2015, n. 26036: in materia di IVA, l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi dell’art. 39, c. 1, lett. d, del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54, cc. 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni.

13 Va confermata la sentenza della Commissione tributaria, la quale aveva giustificato il ricorso all’accertamento induttivo sulla base di elementi concreti, quali le gravi anomalie riscontrate nel rapporto tra ricavi ed immobilizzazioni tecniche e tra ricavi ed oneri per il personale dipendente, nonchè nella situazione patrimoniale – finanziaria della società, caratterizzata da un cospicuo indebitamento verso le banche) (Cass. 17-09-2001 n.11645 sez. T).

14 E’ Illegittimo l’accertamento analitico-induttivo basato fondamentalmente sulla condotta antieconomica tenuta dalla società, ma non dimostrata dall’ufficio (Cass. 19-09-2014 n. 19762 sez. T).

15 Nel giudizio tributario, una volta contestata dall’erario l’antieconomicità di una operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione, ed il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea (nella fattispecie, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza della commissione tributaria regionale, la quale, avendo l’amministrazione contestato ad una società il noleggio di beni a canone superiore al prezzo di acquisto dei beni stessi, aveva ritenuto non provata la sovrafatturazione dei costi di noleggio, sulla base della mera corrispondenza delle fatture, peraltro riconosciute false dal giudizio penale, alle somme annotate in bilancio) (Cass. 18-05 -2007 n.11599 sez. 5).

16 E’ consentito al contribuente di giustificare l’apparente condotta non economica, dimostrando le ragioni di determinate scelte aziendali. A fronte di una contestata condotta antieconomica, corrisponde un ribaltamento dell’onere della prova sul contribuente, il quale deve giustificare la propria (apparentemente irrazionale) gestione. Se, invece, fermo il comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, il contribuente non spiega in alcun modo le proprie scelte, l’accertamento è legittimo.