Riconoscimento di debito enunciato in un contratto: il pagamento dell'imposta di registro

Recupero dell’imposta proporzionale sulla ricognizione di un debito contenuta nel contratto che la concedente riconosceva di avere insoluto verso l’affittuaria, e, come emergeva dal contratto, convenzionalmente portato dalle parti contraenti a parziale compensazione del credito della affittuaria, sul corrispettivo da essa dovuto.

La Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, con la sentenza n. 249/4/16 del 15 febbraio 2016, ha affrontato una questione sempre oggetto di vivace dibattito giurisprudenziale: il tipo di tassazione, ai fini dell’imposta di registro, dell’enunciazione in atti di un riconoscimento di debito.

Nel caso di specie l’Amministrazione Finanziaria recuperava a tassazione la maggiore imposta di registro derivante dall’applicazione dell’aliquota dell’1% sull’atto di ricognizione di debito relativo al contratto d’affitto di ramo d’azienda intervenuto tra concedente e affittuaria.

L’Agenzia delle entrate, su ricorso del contribuente, si costituiva in giudizio, ribadendo, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, la tassazione della ricognizione di debito, quale atto avente natura dichiarativa, con aliquota del 1% secondo il disposto normativo del DPR 131/86.

Nella fattispecie all’esame dei giudici era stato infatti stipulato un contratto di affitto di ramo d’azienda per € 350.000,00 annui tra le due società, con applicazione dell’imposta di registro dell’1% sull’importo dei canoni, ai sensi dell’art. 5 c. 1, lett. a-bis della Tariffa, Parte Prima dPR 131/86, oltre imposta di bollo ed imposta di € 168 in misura fissa, ex art. 40 stesso decreto, secondo il principio di alternatività Iva/registro, sul restante contenuto del contratto.

L’ufficio, quindi, ai sensi dell’art 3 della Tariffa – Parte Prima, procedeva al recupero dell’imposta proporzionale sulla ricognizione di debito di € 1.943.160,00, contenuta nel contratto, che la concedente riconosceva di avere insoluto verso l’affittuaria, peraltro già ceduto a soggetto terzo prestante consenso, e, come emergeva dal contratto, convenzionalmente poi portato dalle parti contraenti anche a parziale compensazione del credito della affittuaria, sul corrispettivo da essa dovuto per l’acquisto delle rimanenze di merce.

La ricorrente richiamava, quindi, la nozione di ricognizione di debito secondo il diritto civile, sottolineandone la natura di dichiarazione unilaterale recettizia di volontà, non originante l’assunzione di rapporti obbligatori, bensì rappresentante una mera conferma dell’esistenza di un rapporto sottostante, che non costituiva una fonte di obbligazione nuova ed autonoma, ma una semplice affermazione a natura ricognitiva, priva in quanto tale di contenuto patrimoniale e dunque non assoggettabile all’imposta.

L’assunto, secondo i giudici di merito, non era tuttavia condivisibile, in quanto, da una parte, era la stessa ricorrente che ammetteva che l’atto in questione fosse una ricognizione di debito di natura dichiarativa, con l’effetto che si doveva allora applicare l’aliquota proporzionale a norma dell’art. 3 Parte prima della Tariffa allegata al dPR 131/86.

Dall’altra, avuto riguardo al contenuto del contratto di affitto di azienda, la Commissione riteneva inoltre che questo, al contrario di quanto sostenuto dal contribuente, conteneva al suo interno un riconoscimento di debito, con modifica della situazione giuridica sottostante e dei rapporti di debito e credito già esistenti tra le parti prima della sottoscrizione del contratto.

La ricognizione, quindi, non si era limitata, nel caso di specie, a “cristallizzare” un’obbligazione già esistente, con assenza di contenuto patrimoniale, ma aveva piuttosto autonomamente innovato, con effetti ex post, l’obbligazione già contratta.

Il ricorso veniva pertanto dichiarato infondato.

Ai sensi dell’art. 22 del d.P.R. n. 131 del 1986, del resto, l’imposta di registro si applica

“… oltre che all’atto che si presenta alla registrazione anche alle disposizioni in esso enunciate”,

determinandosi quindi, come detto, un’obbligazione autonoma, ex se soggetta ad autonoma (e proporzionale) tassazione.

L’obbligazione enunciata non si identifica, infatti, ai fini della tassazione di registro, con quella dell’obbligato principale, derivando, in sostanza, da un’autonoma e distinta fonte negoziale.

In tali casi, pertanto, non trova applicazione la regola dell’alternatività Iva/registro e dell’imposizione in misura fissa.

Del resto, come anche affermato nella sentenza n. 17899 dell’8 settembre 2005, va pure considerato che, se la natura accessoria dell’obbligazione ha un qualche senso in sede civilistica, nel settore tributario, e segnatamente nell’ambito dell’imposta di registro, in cui viene colpita la singola manifestazione di ricchezza e la connessa capacità contributiva, vale invece il principio per cui ogni negozio giuridico rappresenta una convenzione autonomamente imponibile.

Il fatto influente ai fini impositivi è dunque il conseguimento da parte del creditore di un titolo per il soddisfacimento del proprio diritto, a prescindere dalla fonte del diritto stesso.

Si ricorda comunque che, con sentenza n. 24107 del 2014, la Corte di Cassazione ha anche affermato che sono soggette a registrazione in termine fisso le scritture private non autenticate aventi a oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, nelle quali rientra senz’altro anche la ricognizione di debito.

In quell’occasione, il contribuente impugnava un avviso di liquidazione d’imposta di registro relativo a una scrittura privata di ricognizione di debito, allegata a supporto di un ricorso per decreto ingiuntivo.

La Cassazione accoglieva dunque il ricorso del contribuente, ricordando che, a norma dell’art. 5 TUR, vanno registrati a

“termine fisso gli atti indicati nella parte prima della tariffa ed in caso d’uso quelli indicati nella parte seconda”,

ed osservando che le scritture ricognitive di debito non sono espressamente individuate ed elencate né nella parte I né nella parte II della Tariffa, laddove però sono esplicitamente assoggettate, dall’art. 4 della parte II, a registrazione in caso d’uso le “scritture private non autenticate non aventi contenuto patrimoniale”.

Secondo i giudici di legittimità, ne conseguiva allora che, dato appunto che è innegabile che una ricognizione di debito abbia contenuto patrimoniale, agli atti ricognitivi di un debito si applica allora la previsione generale secondo cui vanno registrati in termine fisso gli

“atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”.

In sostanza, concludono i giudici di legittimità, dal contenuto patrimoniale della prestazione discende, ai fini della determinazione dell’imposta dovuta, l’applicabilità alla fattispecie di quanto disposto dall’articolo 9 della Tariffa, parte I, di Registro, ai sensi del quale sono soggetti a imposta di registro nella misura proporzionale del 3%

“gli atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”.

 

1 luglio 2016

Giovambattista Palumbo