Gli interessi anatocistici sui rimborsi fiscali

In caso di rimborso fiscale ritardato, a quali interessi ha diritto il contribuente a ristoro delle tempistiche di incasso del proprio credito? Si possono chiedere anche gli interessi anatocistici?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1141 del 22.1.2016, ha chiarito i presupposti di spettanza degli interessi anatocistici.

Nel caso di specie l’Agenzia delle entrate aveva proposto ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio che, rigettandone l’appello, in riferimento ad un’impugnazione di silenzio rifiuto su istanze di rimborso della rivalutazione monetaria e degli interessi anatocistici su crediti IRPEF, per gli anni 1999 e 2000, al cui rimborso, all’esito di un distinto, precedente, giudizio, l’Ufficio era stato condannato, aveva confermato il riconoscimento tanto del maggior danno da svalutazione monetaria che degli interessi anatocistici.

Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1224 e 2909 c.c., l’amministrazione ricorrente riteneva infatti che fosse inammissibile l’azione diretta ad ottenere la rivalutazione monetaria relativa a crediti oggetto di precedenti sentenze di condanna definitive, nei cui giudizi non era stata fatta alcuna richiesta di tali accessori, né espressa riserva di chiederli in un secondo momento.

Con il secondo motivo, invece, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 1224, c. 2, c.c., l’Agenzia censurava la decisione della CTR per aver ritenuto fondata la domanda diretta alla rivalutazione monetaria in difetto di prova o almeno di deduzione dell’esistenza di un maggior danno.

Con il terzo motivo, denunciando violazione dell’art. 1283 c.c., la stessa Agenzia assumeva poi che non fosse ammissibile l’azione diretta ad ottenere gli interessi anatocistici su crediti tributari oggetto di precedenti sentenze di condanna definitive, nei cui giudizi non era stata fatta alcuna richiesta di tali accessori.

E infine con il quarto motivo, sosteneva che l’azione diretta ad ottenere gli interessi anatocistici su crediti tributari oggetto di precedenti sentenze definitive dovesse comunque eventualmente essere accolta limitatamente al periodo successivo alla proposizione della nuova domanda giudiziale e soltanto fino alla data dell’avvenuto pagamento degli interessi sul credito originario.

I giudici di legittimità, con riguardo alla rivalutazione monetaria, ritenevano il secondo motivo fondato, richiamando il principio secondo cui il debito di valuta, a differenza dell’obbligazione risarcitoria, non è soggetto a rivalutazione monetaria automatica, ma impone al titolare del bene di proporre la domanda di ristoro del maggior danno ai sensi dell’art. 1224 c.c. allegandone le circostanze necessarie e fornendone la prova, che, invece, nel caso di specie, non era stata fornita.

Con riguardo poi alla domanda degli interessi anatocistici, la Corte richiamava il principio, già affermato in precedenti sentenze (Cass. n. 4935 del 2006, e n. 11171 del 2013), secondo cui “per le obbligazioni dell’amministrazione finanziaria di rimborso di imposte il contribuente-creditore, che invochi il pagamento degli interessi anatocistici ex art. 1283 cod. civ., è tenuto ad indicare tutti gli elementi necessari alla liquidazione di essi, a cominciare dalla capitalizzazione del primo semestre di interessi maturati sul capitale ed a formulare la richiesta nell’atto introduttivo del giudizio tributario avente ad oggetto il predetto rimborso, non potendosi i citati interessi considerare un accessorio del credito principale conseguente in via automatica all’accoglimento della domanda di rimborso o di quella degli interessi”.

Nella specie, invece, la domanda giudiziale di interessi anatocistici era stata proposta non nell’atto introduttivo del giudizio tributario avente ad oggetto il rimborso dell’imposta, ma solo con il ricorso

introduttivo del giudizio in discussione, allorquando erano già stati corrisposti non solo le imposte, ma anche gli interessi legali.

Al di là delle statuizioni della Corte, si ricorda infine che la richiesta di rimborso degli interessi (anche anatocistici) è comunque possibile solo entro il termine di prescrizione di 5 anni.

In particolare, come anche in questo caso riconosciuto dalla Suprema Corte (vedi per tutte la sentenza n. 2945 del 09.02.2007), “l’obbligazione del fisco per gli interessi scaturenti dal tardivo adempimento del credito da rimborso, vantato dal contribuente integra infatti una obbligazione autonoma rispetto a quella riguardante il capitale onde le vicende dell’una sono autonome e distinte rispetto a quelle dell’altra, in particolare per quanto riguarda la prescrizione, così che la prescrizione del credito per i detti interessi resta sganciata dalla prescrizione fissata per il credito di imposta ed è perfino insensibile alle vicende interruttive riguardanti esclusivamente quest’ultima” (Cfr. Cass. 6 agosto 2004, n. 15222 nonché la Cass. n. 66 del 3 gennaio 2005).

Come peraltro espressamente stabilisce l’art. 2948 c.c.

“si prescrivono in cinque anni:

1) le annualità delle rendite perpetue o vitalizie;

1-bis) il capitale nominale dei titoli di Stato emessi al portatore;

2) le annualità delle pensioni alimentari;

3) le pigioni delle case, i fitti dei beni rustici e ogni altro corrispettivo di locazioni;

4) gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi;

5) le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro”.

E come ribadito anche dalla Suprema Corte, con la Sent. n. 20600 del 7 ottobre 2011,

“La prescrizione estingue il diritto e, nel caso di interessi dovuti su obbligazioni pecuniarie (qual è il debito tributario), non vi è ragione di disapplicare – in difetto di norme speciali derogatorie – la regola generale secondo cui gli interessi su somme di denaro ‘si acquistano giorno per giorno, in ragione della durata del diritto’ (art. 821 c.c., comma 3).

La previsione del saggio di interesse ‘in ragione di anno’ (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 9) non immuta la regola predetta dovendo escludersi, tanto che il credito accessorio insorga soltanto al compimento di ciascuna annualità, quanto (come sembra sostenere la ricorrente) che il diritto di credito per interessi possa considerarsi unitario, insorgendo alla scadenza del termine previsto per il pagamento del debito principale (per capitale) ed incidendo l’elemento della ‘durata’ di quest’ultimo (dalla scadenza all’effettivo pagamento) solo sull’incremento economico della prestazione accessoria”.

Quanto poi agli interessi anatocistici, secondo parte della giurisprudenza, anche di Cassazione la loro disciplina sarebbe comunque inapplicabile in materia tributaria, ove prevalgono le disposizioni speciali che regolano compiutamente gli effetti della mora debendi.

Il carattere di specialità della normativa fiscale comporterebbe infatti, in ogni caso, la prevalenza di questa sullo ius commune, in quanto, in base ai normali criteri che presiedono il rapporto tra disposizione speciale e disposizione generale, le norme che espressamente e compiutamente stabiliscono per le obbligazioni d’imposta gli effetti della mora debendi prevalgono sull’articolo 1283 del codice civile, come sulle altre disposizioni previste dal codice civile in tema di adempimento delle obbligazioni pecuniarie.

E, dunque, gli interessi sui crediti verso lo Stato, derivanti da rimborsi di tributi, sono assoggettati in considerazione della specialità della materia fiscale ad una disciplina diversa da quella adottata in campo civilistico, con la conseguenza che tale specifica normativa assorbe e sostituisce la seconda, sicché agli interessi nella misura fissa dalla stessa fissata non sono cumulabili gli interessi legali determinati dall’ordinaria normativa codicistica.

E del resto, il D.L. n. 223 del 2006, art. 37, c. 50, convertito con L. n. 248 del 2006, ha poi espressamente escluso la possibilità di riconoscere interessi anatocistici per il caso di rimborso di tributi.

La norma citata dispone infatti che “gli interessi previsti per il rimborso di tributi non producono in nessun caso interessi ai sensi dell’art. 1283 c.c.”.

Infine, si ricorda che, in ogni caso, affinchè una domanda di rimborso sia accoglibile, la richiesta non può essere posta in modo generico, pena un aggiramento del thema decidendum, che deve necessariamente corrispondere a quanto chiesto con l’istanza su cui si è formato il silenzio rifiuto oggetto di impugnazione.

27 maggio 2016

Giovambattista Palumbo