Le recenti indicazioni della Cassazione in tema di estensione, in via giudiziale, della procura ad litem

ampiezza della procura alla lite e possibilità di ricerca di eventuali mancanze nel corpo della stessa: focalizziamo l’attenzione su alcuni punti critici della procura nel processo tributario

La Corte di Cassazione, con due decisioni depositate in rapida successione, fornisce interessanti spunti agli operatori del processo tributario in tema di ampiezza della procura ad litem e di possibilità di ricerca aliunde di eventuali mancanze nel corpo della stessa.

Con la sentenza n. 4909 del 14 marzo 2016, le Sezioni Unite Civili hanno descritto gli effetti, e le estensioni, della procura apposta in calce alla copia notificata dell’atto di appello.

La pronuncia, sortita da un processo iniziato innanzi al giudice ordinario, è destinata a svolgere effetti anche nelle liti fiscali poiché, a mente dell’art. 12 , comma 7, D.lgs. n.546/921, la forma del mandato ad litem e la sua allocazione ricalcano sostanzialmente i contenuti dell’art. 83 c.p.c. e questo nonostante la norma del processo tributario si limiti a richiamare “un atto del processo” senza fornire un elenco di atti, come invece dispone la citata norma processualcivilistica.

Ebbene, il giudice ha confermato un precedente insegnamento rammentando che, con riferimento all’appello incidentale, proprio le stesse Sezioni Unite, con la decisione n. 19510 del 14 settembre 2010, erano pervenute ad affermare che “secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa processuale, idonea a dare attuazione ai principi di economia processuale e di tutela del diritto di azione e di difesa della parte stabiliti dagli artt. 24 e 111 Cost., deve senz’altro riconoscersi al difensore dell’appellato il potere di proporre appello incidentale anche nel caso in cui la procura sia stata apposta in calce alla copia notificata dell’atto di citazione in appello, ossia ad uno degli atti previsti dall’art. 83 c.p.c., comma 3, in quanto la facoltà di proporre tutte le domande ricollegabili all’interesse del suo assistito e riferibili all’originario oggetto della causa è attribuita al difensore direttamente dall’art. 84 c.p.c., e non dalla volontà della parte che conferisce la procura alle liti, rappresentando tale conferimento non un’attribuzione di poteri ma semplicemente una scelta ed una designazione, con la conseguenza che la natura dell’atto con il quale od all’interno del quale viene conferita, o la sua collocazione formale, non costituiscono elementi idonei a limitare l’ambito dei poteri del difensore”.

Appartiene invece al patrimonio dei responsi del giudice di legittimità, per effetto diretto di una lite fiscale, la sentenza n. 5913 del 18 marzo 2016.

Si premette che il caso esaminato in tale pronuncia riguardava l’ipotesi di inammissibilità del ricorso, ai sensi del combinato disposto di cui al comma 2, lettera b) e comma 4 del, D.Lgs n.546/1992, nell’ipotesi in cui si adombri la sussistenza (nell’atto introduttivo) di una incertezza assoluta sul ricorrente e sul suo legale rappresentante.

Giungeva all’attenzione della Corte, il caso di una società che, impugnando un avviso di accertamento emesso nei propri confronti, subiva una declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado poiché lo stesso risultava privo dell’indicazione personale del legale rappresentante mentre il mandato riportato in calce allo stesso risultava privo dell’indicazione della persona che lo aveva conferito. Era la commissione tributaria regionale competente che emetteva il citato responso, favorevole all’ appellante ufficio dell’Agenzia Entrate sulla scorta della premessa che le società di capitali in assenza del soggetto fisico che le rappresenti, non possono costituirsi e stare in giudizio; pertanto – riscontrata l’indicata assenza del rappresentante legale nel primo atto del giudizio tributario (quale il ricorso avverso l’avviso di accertamento) e in assenza di integrazione nel corso dello stesso – l’atto di opposizione alla richiesta fiscale doveva (ad avviso dello stesso giudice di appello) ritenersi inammissibile per mancanza dell’elemento essenziale rappresentativo della società in giudizio, come indicato al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, c. 2, lett. b, e conseguentemente doveva ritenersi come mai avvenuta la costituzione in giudizio della stessa.

La Suprema Corte ha però accolto il ricorso della società contribuente, inteso a segnalare come il nome del legale rappresentante era facilmente ricavabile dalla sottoscrizione della procura (chiaramente leggibile) in calce al ricorso e dagli atti del processo nei quali veniva chiaramente indicato (avviso di accertamento, p.v.c., atto di appello dell’Agenzia delle Entrate) e, altresì, come l’inammissibilità del ricorso potesse prefigurarsi solo in presenza di incertezza assoluta ai sensi dell’art. 18, comma 4, citato decreto.

I giudici di piazza Cavour, nell’esprimere la propria conclusione, hanno censurato il fatto che possa giungersi sic et simpliciter a decretare l’inammissibilità dell’atto introduttivo a fronte di carenze come quelle prospettatesi nel caso di specie; occorre invece una verifica più ampia da parte del giudice: infatti in motivazione è stato argomentato che “In tema di contenzioso tributario, alla stregua del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18 la carenza nell’atto introduttivo del processo delle indicazioni necessarie per la individuazione del legale rappresentante (anche organico) del ricorrente, inficia l’atto medesimo e ne determina l’inammissibilità tutte le volte che sia causa di incertezza assoluta al riguardo (Cass. n. 6359/2008, n. 6214/00, n. 7804/00). Il giudice di merito, limitandosi a dichiarare l’inammissibilità del ricorso di primo grado sulla base della mera carenza dell’indicazione personale del legale rappresentante, e della mancata indicazione nel mandato della persona che lo ha conferito, senza indagare se tale carenza costituisse causa di incertezza assoluta (ad esempio verificando se la firma del mandato fosse leggibile o se il legale rappresentante fosse identificabile per il tramite dei documenti di causa, circostanze evidenziate nel secondo motivo di ricorso sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c. , n. 5), ha violato il suddetto principio di diritto”.>

Si consolida così l’indirizzo espresso dalla Corte, visto che con la decisione n. 15584/2010, il giudice di ultima istanza aveva già statuito che l’omessa indicazione, sia nella procura alle liti che nel ricorso introduttivo, dell’indicazione del rappresentante legale pro tempore di una società, non determina l’inammissibilità dell’impugnazione proposta, qualora l’identità di questi sia ricavabile dall’enunciazione esplicita avvenuta nelle memorie illustrative depositate in corso di causa nonché dall’intestazione del processo verbale di constatazione che, indicando un unico rappresentante legale, consente l’identificazione con certezza del soggetto2.

Il contesto giurisprudenziale descritto rappresenta così una “via di fuga” dal rischio di inammissibilità del ricorso che, si ricorda, può essere rilevata d’ufficio dalla Commissione tributaria in ogni stato e grado del giudizio ai sensi dell’art. 22, comma 2, del D.Lgs n.546/92.

E’ bene sottolineare, tuttavia, che sembra sussistere un’ipotesi di nullità insanabile di citazione e di procura, quando le anormalità riscontrabili (quali la mancata indicazione del nome della persona fisica sottoscrivente in modo illeggibile, la mancata indicazione del suo rapporto con la persona giuridica, la mancata indicazione dell’organo titolare del potere di rappresentanza legale, l’inesistenza della certificazione dell’autografia) sono così gravi da pregiudicare irrimediabilmente il fondamento dell’incoazione del rapporto processuale (Cass. Civ. n. 16991/2003), cioè del ragionevole ritaglio di interessi fra le parti alla certezza della provenienza degli atti introduttivi, e da configurare nell’insieme una situazione di tale difformità dallo schema normativo astratto, da causare, non un’anomalia (irregolarità o invalidità) sanabile, ma una vera e propria inesistenza della procura, della quale è, pertanto, impossibile qualsiasi riconduzione a norma con un comportamento probatorio successivo (Cass. Civ. 16991/2003).

26 aprile 2016

Antonino Russo

1Ai difensori di cui ai commi da 1 a 6 deve essere conferito l’incarico con atto pubblico o con scrittura privata autenticata od anche in calce o a margine di un atto del processo, nel qual caso la sottoscrizione autografa è certificata dallo stesso incaricato. All’udienza pubblica l’incarico può essere conferito oralmente e se ne dà atto a verbale”.

2 V.si il Fisco n. 35/2010, 5697, nota di U.Mangiavacchi.