Revisore dei conti negli enti locali: compensi congrui senza minimi tariffari

il compenso spettante ai revisori dei conti è stabilito dall’ente locale con la stessa delibera di nomina; a tal fine, il medesimo articolo demanda ad un decreto ministeriale l’individuazione dei limiti massimi del compenso base erogabile al revisore senza, tuttavia, stabilire alcun criterio per la corretta determinazione del compenso medesimo: tale compenso deve essere fissato con criteri di ragionevolezza e adeguatezza

 

Ai sensi del comma 7, dell’articoli 241, del D.Lgs. n. 267/2000, il compenso spettante ai revisori dei conti è stabilito dall’ente locale con la stessa delibera di nomina. A tal fine, il medesimo articolo, ai commi precedenti, demanda ad un decreto del Ministro dell’Interno, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, l’individuazione dei limiti massimi, da aggiornarsi periodicamente, del compenso base erogabile al revisore, in relazione alla classe demografica ed alle spese di funzionamento e di investimento dell’ente locale, ed individua, altresì, le ipotesi, e la misura, in cui detti limiti possono essere superati (cfr. DM 20 maggio 2005).

Lo studio del consiglio nazionale dottori commercialisti e esperti contabili sui criteri di determinazione del compenso spettante ai professionisti iscritti all’albo dei dottori commercialisti ed esperti contabili nominati revisori dei conti degli enti locali (aprile 2015), ha osservato che nell’ultimo decennio si è assistito ad un sistematico processo di scardinamento del sistema tariffario delle professioni regolamentate, avviato, com’è noto, con l’abolizione della obbligatorietà dei minimi, ad opera dell’art. 2, comma 1, del D.L. n. 223/2006 (cd. decreto Bersani).

Sulle tariffe è poi intervenuto il D.L. n. 138/2011 (art. 3, c. 5, lett. d, successivamente modificato dall’art. 10, comma 12 della legge n. 183/2011), ed infine il D.L. n. 1/2012 (cd. Decreto Cresci-Italia).

In particolare, l’art. 9 del citato D.L. n. 1/2012, in materia di professioni regolamentate, e per quanto qui di interesse, dispone: “Sono abrogate le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico. Ferma restando l’abrogazione di cui al comma 1, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante, da adottare nel termine di centoventi giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto… Il compenso per le prestazioni professionali è pattuito, nelle forme previste dall’ordinamento, al momento del conferimento dell’incarico professionale… In ogni caso la misura del compenso è previamente resa nota al cliente con un preventivo di massima, deve essere adeguata all’importanza dell’opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi… Sono abrogate le disposizioni vigenti che, per la determinazione del compenso del professionista, rinviano alle tariffe di cui al comma 1…”.

Lo studio del CNDCEC afferma, quindi, che dalla lettura delle soprarichiamate disposizioni appare subito evidente come lo stesso legislatore, nel procedere alla definitiva soppressione del sistema tariffario, abbia tuttavia avvertito l’ineluttabile esigenza di individuare, ai fini della liquidazione giudiziale dei compensi, dei criteri predeterminati che circoscrivano il potere equitativo del giudice, altrimenti indiscriminato.

Allo stesso modo, con un successivo intervento normativo di modifica al citato art. 9 (ad opera dell’art. 5, D.L. n. 83/2012), il legislatore ha posto rimedio al vuoto normativo venutosi a creare a seguito dell’abrogazione di tutte le disposizioni che in materia di appalti pubblici rimandavano, per la determinazione dei corrispettivi, alle tariffe professionali delle categorie interessate (architetti ed ingegneri), inserendo, infine, al medesimo articolo 9, il seguente periodo: “Ai fini della determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi all’architettura e all’ingegneria di cui alla parte II, titolo I, capo IV del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, si applicano i parametri individuati con il decreto di cui al primo periodo, da emanarsi, per gli aspetti relativi alle disposizioni di cui al presente periodo, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti; con il medesimo decreto sono altresì definite le classificazioni delle prestazioni professionali relative ai predetti servizi…”.

Il dubbio: la quantificazione dei compensi ai revisori degli enti locali

La Corte dei Conti, sezione di controllo per la Regione Sicilia, con la deliberazione n. 272, del 9 ottobre 2015, nell’affrontare la complessa questione della quantificazione dei compensi ai revisore dei conti negli enti locali, ha affermato che tale compenso deve rispettare i canoni di ragionevolezza e adeguatezza che siano in relazione con le funzioni svolte dall’organo di revisione, fermo restando che la normativa civilistica non impone minimi tariffari inderogabili.

La questione analizzata dai giudici contabili siciliani riguarda la richiesta di un Sindaco di un Comune che, richiamando le disposizioni contenute nell’art. 241 del D.Lgs. 267/2000 e nell’art. 3, c. 1, del D.M. attuativo 20 maggio 2005, chiede di conoscere se, allo stato della legislazione, il Consiglio comunale possa discrezionalmente “decurtare” il compenso per i componenti dell’organo di revisione e fino a quale limite di “congruità”, nonché se possa determinare forfettariamente il rimborso delle spese di viaggio dovute ai componenti dell’organo di revisione purché in misura congrua ad indennizzare le spese effettivamente sostenute.

La delibera dei magistrati contabili siciliani

I giudici contabili siciliani osservano , nel richiamare l’art. 241 del D.Lgs. 267/2000 , che il legislatore non ha, predeterminato puntualmente la misura esatta dei compensi professionali dei componenti dell’organo di revisione dell’ente locale ma si è limitato a prevedere di fissare “limiti massimi del compenso base” (comma 1), disponendo, invece, che spetti all’ente locale, contestualmente alla deliberazione di nomina dei componenti, individuarne l’ammontare (comma 7) entro i suddetti limiti. Per il resto, il legislatore ha anche voluto disciplinare talune ipotesi e criteri che possono giustificare un incremento, entro una determinata percentuale, del compenso base disposto sempre dall’ente (commi 2, 3 e 4).

A parte le disposizioni riguardanti i revisori della comunità montana e dell’unione dei comuni (comma 5) e quello della città metropolitana (comma 6), la disciplina positiva dettata dal legislatore statale è completata dalla disposizione di contenimento (comma 6 bis) che prescrive un limite all’importo massimo del rimborso delle spese di viaggio e per vitto e alloggio, introdotta dall’art. 19, c. 1-bis, lett. c, del D.L. 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 giugno 2014, n. 89.

In attuazione del rinvio operato dal primo comma di tale articolo, il Decreto del Ministero dell’interno, di concerto con il Ministero dell’economia, del 20 maggio 2005 (recante lo ”Aggiornamento dei limiti massimi dei compensi spettanti ai revisori dei conti degli enti locali”) , ad oggi non oggetto del previsto aggiornamento triennale, ha provveduto a determinare i limiti massimi dei compensi.

Alla luce di tale quadro normativo è indubbio che rientra nella discrezionalità dell’ente stabilire, nel rispetto dei limiti massimo prefissati e dei criteri normativamente posti, l’ammontare del compenso dei revisori.

La determinazione del compenso da parte dell’organo consiliare, fermo restando i criteri normativi surriferiti, non può ovviamente non tenere conto dei profili pubblicistici inerenti l’esigenza di garantire l’adeguata professionalizzazione e la serietà dell’impegno richiesto all’organo ausiliario e di controllo interno, oltre a principi di pubblicità e trasparenza delle procedure di nomina, ma non può escludersi a priori che l’esigenza debba essere perseguita necessariamente attraverso una determinata misura del compenso asseritamente “congrua”.

L’orientamento dei giudici contabili

Per i giudici contabili tra l’ente ed il professionista si instaura un contratto di prestazione d’opera professionale regolato dal codice civile sia per quanto riguarda la formazione che per quanto attiene ai contenuti del regolamento contrattuale rimesso alle parti.

I giudici contabili evidenziano come tra i principi generali in materia assume portata dirimente, nella prospettiva privatistica, quello secondo cui la determinazione di un compenso professionale è frutto proprio della libertà contrattuale delle parti.

Principio generale correlato in materia di diritto dei contratti è quello della irrilevanza ed insindacabilità dell’adeguatezza del corrispettivo, salvo i casi, previsti nel codice civile o nella legislazione speciale anche di derivazione comunitaria; in conclusione, nel vigente quadro normativo, i giudici contabili sono del parere che se, da un lato, l’adeguatezza della remunerazione appare criterio generale e “normale” cui ispirare le scelte discrezionali dell’organo dell’ente deputato a deliberare il compenso dei revisori (anche in ragione della serietà dell’impegno richiesto per l’esercizio delle relative funzioni potenziate dai più recenti interventi legislativi), dall’altro lato, da un punto di vista più squisitamente tecnico-giuridico e sul piano privatistico, resta fermo il principio civilistico secondo cui, in mancanza di norme imperative che impongono minimi tariffari inderogabili, l’onerosità del contratto di prestazione d’opera contrattuale, costituisce elemento “normale” o “naturale” come risulta dall’art. 2233 c.c., ma non ne integra un elemento “essenziale”, né può essere considerato un limite di ordine pubblico all’autonomia contrattuale delle parti, talché è ben possibile graduare il compenso al di sotto della misura massima fissata senza alcun limite inferiore di “congruità”.

19 novembre 2015

Federico Gavioli