La proposizione dell'eccezione di nullità nel ricorso introduttivo

in caso di proposizione di ricorso tributario, è fondamentale ricordarsi che l’eccezione di nullità va proposta nel ricorso introduttivo

 

Principi

L’ordinamento tributario costituisce un sottosistema del diritto amministrativo, con il quale è in rapporto speciale: possono così trovare applicazione le norme generali soltanto nei limiti in cui non siano derogate o non risultino incompatibili con le norme speciali di diritto tributario.

Il legislatore ha incluso nella categoria della “nullità tributaria” tutti i vizi che inficiano la validità dell’atto, senza operare alcun distinguo. Ne consegue che l’invalidità/annullabilità deve essere eccepita dal contribuente mediante impugnazione, attraverso la proposizione cioè del ricorso nei modi e nei termini previsti.

In difetto, il provvedimento tributario, pure se affetto da vizio di “nullità”, si consolida, divenendo definitivo e legittimando l’amministrazione alla riscossione coattiva dell’imposta. Ne consegue che il contribuente deve sollevare l’eccezione di nullità, chiedendo l’annullamento dell’atto impugnato al giudice, sin dal ricorso introduttivo.

Il giudice tributario non può  annullare atti impositivi, senza richiesta di parte, per eventuali casi di nullità derivanti da assenza di contraddittorio, mancata allegazione di atti, eccetera. In ogni caso l’eventuale nullità non può essere rilevata d’ufficio dal giudice. Alla sanzione della nullità comminata dall’art. 42, c. 3, Dpr n. 600/1973, all’avviso di accertamento privo di sottoscrizione, delle indicazioni e della motivazione o al quale non risulti allegata la documentazione non anteriormente conosciuta dal contribuente, al pari delle altre norme che prevedono analoghe ipotesi di “nullità” degli atti tributari nelle diverse discipline d’imposta, non è direttamente applicabile il regime normativo di diritto sostanziale e processuale dei vizi di “nullità” dell’atto. Ciò perché l’ordinamento tributario costituisce un sottosistema del diritto amministrativo, con il quale è in rapporto di species ad genus, potendo pertanto trovare applicazione le norme generali sugli atti del procedimento amministrativo soltanto nei limiti in cui non siano derogate o non risultino incompatibili con le norme speciali di diritto tributario che disciplinano gli atti del procedimento impositivo, ostando alla generale estensione del regime normativo di diritto amministrativo, la scelta operata dal legislatore, nella sua piena discrezionalità politica, di ricomprendere nella categoria unitaria della “nullità” tributaria indifferentemente tutti i vizi ritenuti tali da inficiare la validità dell’atto tributario, riconducendoli, indipendentemente dalla peculiare natura di ciascuno, nello schema della invalidità-annullabilità, dovendo essere gli stessi tempestivamente fatti valere dal contribuente mediante impugnazione da proporsi, con ricorso, entro il termine di decadenza di cui all’art. 21 D.Lgs. n. 546/1992, in difetto del quale il provvedimento tributario (pure se affetto da vizio “nullità”) si consolida, divenendo definitivo e legittimando l’Amministrazione finanziaria alla riscossione coattiva della imposta.

In definitiva, la “nullità” degli atti tributari non può essere rilevata dal giudice poiché occorre una specifica eccezione sollevata sin dal ricorso introduttivo proposto tempestivamente. In assenza di una impugnazione ad hoc, infatti, anche il provvedimento impositivo affetto da “nullità” si consolida e la pretesa diviene legittima. La sanzione di nullità prevista dall’articolo 42 del Dpr 600/73, tra cui i vizi di sottoscrizione, di motivazione ovvero di mancata allegazione di documenti citati, non è direttamente rilevabile d’ufficio dal giudice.

È inammissibile il ricorso proposto avverso una cartella di pagamento con il quale si è fatto valere il vizio di “nullità” – per mancanza degli elementi essenziali (sottoscrizione, motivazione…) – degli avvisi di accertamento presupposti, divenuti definitivi per omessa tempestiva impugnazione. Tale interessante assunto è stato precisato dalla Corte di Cassazione , sezione tributaria, con la sentenza n. 18448 del 18 settembre 20015.

 

Vicenda

Il giudice tributario di primo grado ha annullato una cartella di pagamento per imposte ritenendo che si trattava di un atto fondato su avvisi di accertamento nulli, per violazione dell’art. 42 del D.P.R. 600/73 (mancanza degli elementi essenziali). Il giudice del gravame ha confermato la decisione del Collegio di primo grado a seguito del giudizio d’appello.

 

Pronuncia

Gli Ermellini hanno censurato il decisum dei giudici di merito trattandosi di una cartella di pagamento emessa per richiedere le somme accertate con due avvisi divenuti definitivi per mancanza d’impugnazione nei termini da parte della contribuente. Infatti, ad avviso della suprema Corte di Cassazione , “deve essere dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso una cartella di pagamento con il quale si è fatto valere il vizio di ‘nullità’ – per mancanza degli elementi essenziali – degli avvisi di accertamento presupposti, divenuti definitiva per omessa tempestiva impugnazione”. La Suprema Corte, in conclusione, ha accolto il ricorso del Fisco e, decidendo la causa nel merito, ha dichiarato inammissibile il ricorso introduttivo della società .

 

I capisaldi sostanziali e processuali della nullità dell’atto impositivo

Giova osservare che i risvolti sostanziali e processuali della nullità[1] dell’atto impositivo possono così essere riassunti. La nullità degli atti tributari non si rileva d’ufficio. Il vizio non può essere rilevato direttamente dal giudice ma occorre una specifica eccezione da far valere con il ricorso introduttivo proposto tempestivamente. L’eccezione di nullità deve essere formulata necessariamente con un motivo specifico nel ricorso introduttivo di primo grado poiché non è possibile in riferimento all’eccezione stessa, la possibilità dell’integrazione dei motivi del ricorso ex articolo 24, comma 2, del D.lgs. 546/92. In assenza di una impugnazione ad hoc anche il provvedimento impositivo affetto da nullità si consolida e la pretesa diviene legittima. L’intervenuta definitività per omessa impugnazione degli avvisi di accertamento impedisce al contribuente di adire il giudice tributario ricorrendo avverso l’atto conseguenziale (la cartella) per rilevare un vizio di radicale nullità.

 

Occorre includere nella categoria della “nullità tributaria” tutti i vizi che inficiano la validità dell’atto, senza operare alcun distinguo. Ne consegue che l’invalidità/annullabilità deve essere eccepita dal contribuente mediante impugnazione, attraverso la proposizione cioè del ricorso ne i modi e nei termini previsti. In assenza dell’eccezione, La nullità non può rilevarsi d’ufficio né si possono integrare i motivi nei successivi gradi di giudizio. La nullità non può essere eccepita dal contribuente mediante la presentazione di motivi aggiunti, in quanto l’integrazione dei motivi di ricorso è consentita, ex art. 24, c. 2, D.Lgs. n. 546/1992, soltanto in relazione alla contestazione di documenti depositati dalla controparte e fino ad allora non conosciuti e comunque entro 60 giorni dalla data in cui si è avuta notizia di tali documenti. E’ necessario sollevare in primo grado l’eccezione di nullità in modo non generico ma tramite motivi specifici poichè la CTP che si faccia carico di prendere in considerazione motivi generici incorre nel divieto dell’ultra petizione ex articolo 112 del cpc mentre la CTR che prenda in esame tale eccezione generica incorre nella violazione del divieto dello ius novorum di cui all’articolo 57 del Dlgs 546/92: la CTR non può esaminare ed accogliere d’ufficio una eccezione rilevabile solo ad istanza di parte ma da questa sollevata in modo generico nel ricorso di primo grado.

L’eccezione di nullità non può essere proposta per la prima volta in appello ex articolo 57 del Dlgs 546/92.

 

Il divieto dello ius novorum si estende alle eccezioni nuove; peraltro, oggetto della preclusione in esame sono le eccezioni in senso proprio ossia quelle che la CTR può esaminare se non ad istanza di parte. L’eccezione di merito de qua , che non abbia formato oggetto di esame della CTP in quanto non proposta, è inammissibile in sede di appello; viceversa, le eccezioni processuali o di merito in senso largo (i.e. difetto di giurisdizione) possono essere prospettate come motivi di gravame, anche se non sono state proposte in primo grado, poichè trattasi di eccezioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo.

La sentenza di gravame che viola siffatto divieto, per aver posto a fondamento della pronuncia anche l’eccezione nuova de qua, che doveva essere dichiarata inammissibile d’ufficio, è nulla per error in procedendo. Allorquando con la sentenza di primo grado venga respinta l’eccezione di nullità e avverso tale capo non venga proposta impugnazione l’eccezione deve ritenersi rinunciata e sul relativo capo si forma il giudicato parziale interno, con la conseguenza che l’eccezione è definitivamente preclusa

Per effetto del giudicato interno si forma una preclusione processuale interna che incide sui limiti oggettivi del giudice del gravame, che è investito della cognizione di altri capi della domanda espressamente riproposti; resta precluso al giudice del gravame il riesame di questioni decise o assorbite dal giudice di primo grado e non riproposte in modo specifico in sede di gravame con le forme previste. La CTR che decide sul capo di merito non impugnato ovvero passato in giudicato interno incorre nel vizio di ultrapetizione ex articolo 112 del Codice di Procedura Civile, rilevabile anche d’ufficio nel giudizio di legittimità; viceversa, non può essere tacciata di omessa pronuncia la CTR che non decide su una questione prospettata in primo grado ma passata in giudicato interno per non essere stata riproposta in sede di gravame. Il contribuente pienamente vittorioso nel merito in primo grado per avere la CTP accolto nel merito il ricorso non ha l’onere di proporre, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente ufficio, appello incidentale specifico per richiamare in discussione l’eccezione di nullità che risulti superata o assorbita, difettando di interesse al riguardo, ma è soltanto tenuta a riproporla espressamente nel nuovo giudizio in modo chiaro e preciso, tale da manifestare, in forma non equivoca, la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo, ai sensi dell’art. 346 c.p.c..

 

23 novembre 2015

Ignazio Buscema

 

[1]      Nel processo tributario di secondo grado il “thema decidendum” è delimitato dalle contestazioni comprese nei motivi d’impugnazione avverso l’atto impositivo dedotte col ricorso introduttivo, non essendo consentito un mutamento delle deduzioni ovvero l’inserimento di temi d’indagine nuovi. Ne consegue che è inammissibile la formulazione in sede di gravame dell’eccezione di nullità dell’avviso di accertamento per omessa allegazione di documenti in esso richiamati “per relationem” qualora con il ricorso introduttivo sia stata eccepita la nullità per carenza di motivazione per l’inadeguata rappresentazione dei fatti e delle ragioni fondanti la pretesa (Cass. civ. Sez. V, 03-10-2014, n. 20928).