Tutela del domicilio del contribuente e accesso del fisco

l’accesso da parte del Fisco al domicilio del contribuente è argomento estremamente discusso: cosa avviene in caso di illegittimo accesso presso un domicilio diverso da quello individuato nell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica?

Ratio

La ratio della disposizione di cui all’art. 52, c. 2, del DPR n. 633 del 1972 è quella di tutelare il diritto all’inviolabilità del domicilio privato e, indirettamente, della libertà personale del contribuente (art. 14 della Costituzione)1. La disciplina dell’autorizzazione può essere oggetto soltanto di stretta interpretazione, perché è necessario circoscrivere al massimo la lesione del bene giuridico tutelato, vale a dire il domicilio, e, per suo tramite, la libertà personale dei consociati. L’autorizzazione del Procuratore della Repubblica “è stata prevista dal legislatore come opportuno filtro preventivo all’azione accertativa in materia fiscale in tutte le fattispecie coinvolgenti il “domicilio” del contribuente, inviolabile per disposizione costituzionale. Detta autorizzazione non costituisce quindi un mero adempimento formale, perché richiede l’accertamento della sussistenza, nel caso specifico, degli specifici presupposti richiesti ai fini del superamento della previsione generale dell’art. 14 Cost. In quanto “indefettibile presupposto di validità dell’acquisizione probatoria conseguita con l’accesso, lo stesso provvedimento può essere impugnato dal contribuente aventi il giudice tributario insieme con la contestazione della legittimità della pretesa tributaria avanzata dall’ufficio in forza di quell’acquisizione probatoria

In quanto così funzionalmente caratterizzata, l’autorizzazione in tema di accessi, ispezioni e verifiche da parte degli uffici finanziari dello Stato (o della guardia di finanza nell’esercizio dei compiti di collaborazione con detti uffici a essa demandati) legittima solo lo specifico accesso autorizzato, essendo la norma di stretta interpretazione e dovendosi, invero, limitare al massimo l’indubbio vulnus al principio costituzionale di inviolabilità del domicilio comunque derivante dalla previsione dell’accesso (Cassazione sentenza n. 4498 del 22.02.2013). La necessità di limitare la compressione dei suddetti diritti costituzionalmente tutelati in assenza di un giustificato motivo implica che il prescritto provvedimento del Procuratore della Repubblica possa legittimare esclusivamente lo specifico accesso autorizzato dal medesimo.

L’autorizzazione è condicio sine qua non per la legittimità del controllo e gli elementi eventualmente acquisiti sono inutilizzabili non solo in sede penale (ove opera l’art. 191 c.p.p.) ma anche in ambito tributario, dovendosi considerare il principio di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione(Cass. civ. Sez. V, 20-02-2013, n. 4140)2. Il principio di inutilizzabilità della prova illegittimamente acquisita si applica anche in materia tributaria, in considerazione della garanzia difensiva accordata, in generale, dall’art. 24 Cost.. L’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, ai fini dell’accesso degli impiegati dell’amministrazione finanziaria (o della Guardia di Finanza, nell’esercizio dei compiti di collaborazione con gli uffici finanziari a essa demandati) a locali adibiti anche ad abitazione del contribuente o a locali diversi (cioè adibiti esclusivamente ad abitazione), è sempre necessaria. E’ pacifico che l’autorizzazione all’accesso da parte dell’autorità giudiziaria, in quanto diretta a tutelare l’inviolabilità del domicilio privato, e quindi, indirettamente, lo spazio di libertà del contribuente, rileva alla stregua di condicio sine qua non (Cass. civ. Sez. V, 19-10-2012, n. 17957).

L’autorizzazione all’accesso domiciliare rappresenta un “indefettibile presupposto di validità dell’acquisizione probatoriaconseguita con l’accesso, la cui mancanza produce l’inutilizzabilità della prova illegittimamente acquisita in ossequio all’art. 24 della Costituzione, che si applica anche in materia tributaria. Ciò anche quando l’Amministrazione Finanziaria non abbia prodotto in giudizio la richiesta di accesso degli organi accertatori, cui sia stata correlata l’autorizzazione del Pubblico Ministero, è impedita la verifica dell’effettiva esistenza di gravi indizi a presidio dell’autorizzazione concessa (Cassazione Civile, Sezione Tributaria, 19 ottobre 2012, n. 17957).

Qualora intervengano accessi, ispezioni e verifiche a mente dell’art. 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, il giudice di merito è tenuto a verificare, in base alle risultanze degli atti processuali, la preventiva concessione delle autorizzazioni contemplate dalla disciplina dell’accertamento. In tema di imposte dirette (come di IVA) ed in ipotesi di accesso domiciliare, la illegittimità del provvedimento di autorizzazione del procuratore della Repubblica ai sensi degli artt. 33 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 52 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633importa la “inutilizzabilità“, a sostegno dell’accertamento tributario, delle prove reperite nel corso della perquisizione illegale atteso che:

a) detta inutilizzabilità non abbisogna di un’espressa disposizione sanzionatoria, derivando dalla regola generale secondo cui l’assenza del presupposto di un procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola;

b) il compito del giudice di vagliare le prove offerte in causa è circoscritto a quelle di cui abbia preventivamente riscontrato la rituale assunzione;

c) l’acquisizione di un documento con violazione di legge non può rifluire a vantaggio del detentore, che sia l’autore di tale violazione, o ne sia comunque direttamente o indirettamente responsabile.

Peraltro, a prescindere dalla verifica dell’esistenza o meno, nell’ordinamento tributario, di un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite analogo a quello fissato per il processo penale dall’art. 191 del vigente cod. proc. pen., l’inutilizzabilità in questione discende dal valore stesso dell’inviolabilità del domicilio solennemente consacrato nell’art. 14 Cost.v (Cass. civ. Sez. V, 01-10-2004, n. 19689). L’autorizzazione all’acceso da parte dell’Autorità giudiziaria rileva alla stregua di condicio sine qua non per la legittimità sia delle acquisizioni probatorie che del conseguente atto impositivo (Cass. civ. Sez. V, 01-10-2004, n. 19689).La giurisprudenza di legittimità si è consolidata nel ritenere vigente, anche in campo tributario, il principio di inutilizzabilità della prova illegittimamente acquisita, in considerazione delle garanzie difensive accordate dall’articolo 25 della Costituzione. Da ciò consegue la nullità dell’atto impositivo basato su tali prove, come nel caso degli accessi per eseguire controlli fiscali nei luoghi in cui il contribuente in via esclusiva, o “promiscua” ha la propria abitazione, non autorizzati dalla Procura della Repubblica.

Atti e dati riguardanti soggetti diversi dal titolare del domicilio.

Non contrasta con l’intento del legislatore l’acquisizione, da parte dei verificatori che legittimamente accedano nel luogo individuato nel decreto di autorizzazione, di atti e dati riguardanti soggetti diversi dal titolare del domicilio. Il provvedimento autorizzatorio alla perquisizione di un domicilio di un soggetto, emesso dalla competente Procura della Repubblica allo scopo di acquisire la documentazione fiscale relativa al soggetto stesso, consente di acquisire in tale domicilio anche la documentazione relativa ad altro soggetto, pur non menzionato nel provvedimento autorizzatorio, perchè la ratio ispiratrice dell’art. 52 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, è quella di tutelare il diritto del soggetto nei cui confronti l’accesso viene richiesto, evitando che quel diritto sia compreso senza ragioni serie, non già quella di creare una sorta di immunità dalle indagini a favore dei terzi, siano o meno conviventi con l’interessato; invero, se fosse precluso agli organi verificatori (nel corso di accessi debitamente autorizzati) di prendere visione e, se del caso, di acquisire atti e dati fiscalmente rilevanti nei confronti di terze persone (non menzionate nel provvedimento di autorizzazione), sarebbe agevole per il contribuente infedele sottrarre alle verifiche la propria documentazione fiscale, bastando a ciò il semplice accorgimento di conservarla presso un’altra persona (Cass. civ. Sez. V, 26-02-2001, n. 2775).Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale l’autorizzazione accordata dalla competente Procura della Repubblica per l’accesso e perquisizione di una casa di abitazione consente di acquisire in tale domicilio anche la documentazione tributaria afferente altro soggetto differente dal destinatario, ancorché non menzionato nel provvedimento (Corte di Cassazione, sentenza n. 2675 del 7 febbraio 2007),

Principio di conservazione atti giuridici

Gli effetti dell’eventuale vizio dell’atto istruttorio prodromico, peraltro,giusta il generale principio di conservazione degli atti giuridici vanno limitatialle parti dell’atto definitivo (impositivo) che sono legati a quello “istruttorio prodromico” da un nesso di insostituibile, necessaria consequenzialità, conesclusione, quindi, di quelle parti (come di distinte e diverse pretese tributarie) che ne siano del tutto indipendenti (Cass. civ. Sez. V, Sent., 11 novembre 2011, n. 23595). Il conseguente atto impositivo deve essere sorretto da motivazioni autonome e distinte rispetto a quelle, inutilizzabili, connesse all’accesso domiciliare illegittimo. Gli Uffici, in sede istruttoria, devono prescindere dall’utilizzo degli eventuali elementi probatori ivi acquisiti, evitando di trasfonderne acriticamente il contenuto nel tessuto motivazionale dell’atto impositivo e procedere ugualmente al recupero solamente se in possesso di ulteriori e diverse evidenze probatorie. L’Ufficio può comunque dimostrare la validità, sia pure limitatamente alle parti che non risultano in alcun modo connesse con le evidenze probatorie illegittimamente acquisite3.

Peraltro, sussiste un preciso orientamento secondo cui sia in materia di imposte dirette sia in materia di IVA, l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, prevista (dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 63, c. 1) per la trasmissione, agli uffici delle imposte, dei documenti, dati e notizie acquisiti dalla G.d.F. nell’ambito di un procedimento penale, è volta alla tutela del segreto istruttorio, cui è preposto il Pubblico Ministero, e non alla tutela del contribuente, cosicché la mancanza dell’autorizzazione non tocca l’efficacia probatoria dei dati trasmessi, né implica l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi (Cass. 12-04-2013 n.8966 sez. T).

Accesso presso un domicilio diverso da quello individuato nell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica

L’accesso per ispezioni e verifiche può avvenire soltanto nel luogo autorizzato dal magistrato ma non può avvenire nell’abitazione della convivente. La Suprema Corte, con la sent. 22 febbraio 2013, n. 4498, ha ritenuto che in tema di ispezioni o verifiche da parte dell’ufficio finanziario o della G.d.F. l’autorizzazione all’accesso ex art. 52 Dpr n. 633/72 legittima solo lo specifico accesso autorizzato e non negli altri luoghi dove c’è l’abitazione di fatto. L’accesso domiciliare può riguardare la sola4 abitazione individuata nell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, con esclusione di altri luoghi, ivi compreso il domicilio del convivente, ove si ritenga che l’abitazione del contribuente debba essere individuata in via di fatto (sentenza n. 4498 del 22 febbraio 2013 della Corte di cassazione). Si pensi alla fattispecie in cui i verificatori, pur avendo ottenuto la prescrittaautorizzazione per accedere all’abitazione del contribuente sita a un datoindirizzo, hanno poi effettuato l’accesso a un indirizzo diverso, pressol’abitazione della convivente, dove il contribuente aveva ammesso di risiedere difatto. Gli Uffici debbono, pertanto, procedere ad effettuare l’accesso in viaesclusiva presso il luogo specificatamente individuato nel provvedimento di autorizzazione emesso dal Procuratore della Repubblica. Nondimeno, se nel corso dell’accesso si dovesse pervenire alla individuazione di luoghi riconducibili al contribuente, ulteriori e diversi rispetto a quelli già individuati nel provvedimento autorizzatorio del Procuratore della Repubblica, l’Ufficio, ove ne ravvisi la rilevanza per le attività di controllo, potrà comunque attivarsi presso la competente Procura della Repubblica, per ottenere contestualmente una nuova e specifica autorizzazione legittimante l’accesso anche in tali luoghi. Ove vi sia stato un secondo accesso, debitamente autorizzato, la documentazione successivamente rinvenuta durante questo secondo accesso è pienamente utilizzabile per fondare la verifica ed il conseguente accertamento fiscale.(Cassazione sentenza n. 11672/2013)

Locali attigui all’abitazione, accesso solo su autorizzazione della Procura

È necessaria l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica ogniqualvolta gli operatori dell’Amministrazione finanziaria debbano accedere presso i locali del contribuente che siano adibiti promiscuamente a sua attività lavorativa ed abitazione; ciò vale anche nell’ipotesi in cui i locali abitativi siano contigui e comunicanti con quelli destinati all’esercizio dell’attività d’impresa o di lavoro autonomo. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione, con la sentenza 28 luglio 2011, n. 16570. Per l’accesso presso la casa/studio di un commercialista è necessaria l’autorizzazione del P.M. ed, in mancanza della stessa, l’atto impositivo che si fonda sulla documentazione raccolta nel corso di tale accesso illegittimo risulta nullo(Cassazione del 25 marzo 2011 n. 6908)5. Per accedere ai locali del contribuente adibiti promiscuamente ad attività commerciale o professionale e ad abitazione, la Guardia di finanza necessita di un’autorizzazione della competente procura della Repubblica, non motivata però con l’individuazione e l’enunciazione di gravi indizi che inducono a ritenere violate le norme tributarie (art. 52, cc. 1 e 2, Dpr 633/1972). Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 20551/2013. L’uso promiscuo dei locali si ha non solamente quando i medesimi ambienti sono utilizzati sia per la vita familiare che per l’attività professionale, ma anche quando “l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento dei documenti propri dell’attività commerciale nei locali abitativi”. In tali ipotesi, l’autorizzazione all’accesso da parte dell’A.G., finalizzata a tutelare l’inviolabilità del domicilio privato, e quindi lo spazio di libertà del contribuente, si pone come condizione imprescindibile per la legittimità dell’atto e delle conseguenti acquisizioni. In definitiva, l’accertamento fondato su accessi, ispezioni o verifiche presso locali “promiscui” nel senso anzidetto, in assenza di autorizzazione del P.M. (che tuttavia, trattandosi di sedi promiscue, non deve necessariamente recare l’indicazione dei gravi motivi), è illegittimo e annullabile in sede di giurisdizione tributaria (Cassazione n. 4140 del 20.02.2013).

La mancata firma del verbale redatto dalla guardia di finanza non rende illegittimo l’avviso di accertamento per relationem

La verifica fiscale, non svolta in presenza della titolare ma del collaboratore familiare, comporta che l’atto impositivo finale del procedimento tributario si basa su dati acquisiti non in modo legittimo nel corso della verifica stessa. Tuttavia, in materia tributaria contrariamente alla sede penale , non ogni eventuale irregolarità comporta la inutilizzabilità dei dati, documenti ed elementi acquisiti dall’amministrazione finanziaria. Non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento comporta, di per sé, l’inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso, esclusi i casi in cui viene in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale, come l’inviolabilità della libertà personale o del domicilio. Tale principio è stato statuito dalla Corte di Cassazione con la ordinanza n. 23839 del 21 ottobre 2013. In materia tributaria, gli elementi raccolti a carico del contribuente dai militari della Guardia di Finanza senza il rispetto delle formalità di garanzia difensiva prescritte per il procedimento penale, non sono inutilizzabili nel procedimento di accertamento fiscale, stante l’autonomia del procedimento penale rispetto a quello di accertamento tributario, secondo un principio oltre che sancito dalle norme sui reati tributari (art. 12 del d.l. 10 luglio 1982, n. 429 successivamente confermato dall’art. 20 del D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74), desumibile anche dalle disposizioni generali dettate dagli artt. 2 e 654 c.p.p., ed espressamente previsto dall’art. 220 disp. att. c.p.p., che impone l’obbligo del rispetto delle disposizioni del codice di procedura penale, quando nel corso di attività ispettive emergano indizi di reato, ma soltanto ai fini della “applicazione della legge penale“. Gli elementi raccolti a carico del contribuente dai militari della guardia di finanza sono utilizzabili nel procedimento di accertamento fiscale anche se sia mancato il rispetto delle formalità di garanzia difensiva prescritte per il procedimento penale. L’omissione delle formalità di garanzia difensiva prescritte per il procedimento penale non costituisce ragione di inutilizzabilità degli elementi raccolti nel procedimento di accertamento fiscale, in ossequio al principio della autonomia del procedimento penale rispetto alle procedure dell’accertamento tributario. La rilevanza penale degli accertamenti tributari non comporta l’affievolimento del loro valore probatorio in sede civile o tributaria, mentre le regole e le garanzie previste per il giudizio penale hanno valore soltanto all’interno dello stesso6.

19 dicembre 2013

Ignazio Buscema

1Il giudice tributario non può utilizzare la documentazione acquisita dalla Guardia di Finanza nel corso di un’ispezione domiciliare se l’accesso è stato autorizzato solo verbalmente dall’autorità giudiziaria. L’autorizzazione della Procura della Repubblica all’accesso domiciliare, prevista, in presenza di gravi indizi di violazioni delle norme tributarie, dall’articolo 52, comma 2, del D.P.R. n. 633 del 1972, in materia di imposta sul valore aggiunto (reso applicabile anche ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi dal richiamo operato dall’articolo 33 del D.P.R. n. 600 del 1973), costituisce un provvedimento amministrativo, il quale si inserisce nella fase preliminare del procedimento di formazione dell’atto impositivo e ha lo scopo di verificare che gli elementi offerti dall’Ufficio finanziario (o dalla Guardia di Finanza nell’espletamento dei suoi compiti di collaborazione con detto Ufficio) siano consistenti e idonei ad integrare gravi indizi. Da detta natura e funzione del provvedimento autorizzatorio ne discende, anche in considerazione del fatto che l’autorizzazione trova base logica nell’articolo 14 della Costituzione sull’inviolabilità del domicilio, che la Commissione Tributaria, in assenza della detta autorizzazione, “non possa utilizzare la documentazione acquisita nel corso dell’accesso domiciliare illegittimo; detta inutilizzabilità non abbisogna di un’espressa disposizione sanzionatoria, derivando dalla regola generale secondo cui l’assenza del presupposto di un procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola“. L’accertamento basato su documenti rinvenuti nel corso di un accesso domiciliare non autorizzato dal Pubblico Ministero è nullo, stante la inutilizzabilità di quanto acquisito. Peraltro , ove vi sia stato un secondo accesso, debitamente autorizzato, la documentazione successivamente rinvenuta durante questo secondo accesso è pienamente utilizzabile per fondare la verifica ed il conseguente accertamento fiscale (Cass. 16-05-2013 n.11672 sez. T)

2In relazione ai locali ad uso promiscuo (considerando tali anche quelli che, sebbene distinti, siano adiacenti ai locali di un’abitazione familiare e tra loro comunicanti), gli agenti del Fisco devono munirsi, prima dell’accesso, dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, pena l’illegittimità dell’accesso. Rientrano tra i locali ad uso “promiscuo” (adibiti cioè oltre che all’esercizio di attività economiche, agricole e professionali “anche” ad abitazione, secondo il dettato dell’art. 52, c. 1, penultimo periodo, del decreto IVA) non solo quelli in cui i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l’attività economica, ma ogni qual volta l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento di documenti propri dell’attività commerciale o professionale nei locali abitativi e, quindi, sia possibile averli sottomano per ogni evenienza e, nel contempo, però, detenerli in stanze abitualmente destinate al sonno o ai pasti. Ne deriva che anche in relazione a questi locali, gli agenti del Fisco (funzionari civili dell’Agenzia delle Entrate ovvero militari della GdF) debbono munirsi, prima dell’accesso, dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, oltre che di quella “interna” rilasciata dal capo dell’Ufficio da cui essi dipendono, pena l’illegittimità dell’accesso e delle relative conseguenti acquisizioni probatorie nonché l’invalidità degli atti impositivi finali di accertamento che siano fondati su dette prove irritualmente acquisite in quanto inutilizzabili (Corte di Cassazione n. 4140 del 2013).

3Si pensi ai recuperi, fondati su elementi probatori validamente acquisiti, che, pur se accertati nello stesso atto impositivo (ed eventualmente contenuti, prima ancora, in un unico atto istruttorio, quale un PVC al termine di una verifica), risultino indipendenti da quelli formulati in forza dell’acquisizione probatoria conseguita con l’accesso illegittimo. Si pensi a quei recuperi formulati sulla base delle risultanze acquisite in sede di tali accessi ove, pur prescindendo da tali elementi istruttori illegittimamente acquisiti, la stessa possa comunque giustificarsi alla stregua di ulteriori, validi e diversi elementi pure evidenziati nell’atto impositivo adottato. Si pensi al recupero fondato su soli approfondimenti di spunti istruttori, che, seppur originato da quanto illegittimamente acquisito in sede di accesso presso un luogo diverso da quello individuato nel provvedimento del Procuratore della Repubblica, si è comunque sviluppato autonomamente e allo stesso modo ha trovato rango di sostenibilità, se non sulla base di nuovi e diversi elementi, anche in base a ricostruzioni logico giuridiche esplicitate nell’atto di accertamento, in assenza di adeguate argomentazioni e giustificazioni in senso contrario da parte del contribuente.

4 È illecita l’ispezione a casa della convivente del contribuente anche se la Guardia di finanza ha ottenuto l’autorizzazione della Procura per la sua abitazione. Accesso autorizzato nell’abitazione del contribuente. Ma solo in quella ufficiale, non in quella “di fatto“. Non utilizzabile la “documentazione contabile” rinvenuta non nell’abitazione del contribuente ma in quella della sua convivente. L’autorizzazione del Procuratore della Repubblica all’accesso “non costituisce un mero adempimento formale” ma è “indefettibile presupposto di validità dell’acquisizione probatoria conseguita con l’accesso“. L’autorizzazione data dal Procuratore della Repubblica “non può legittimare l’accesso” in altri luoghi ove si ritenga che l’abitazione debba essere individuata in via di fatto (Cass. 22-02-2013 n.4498 sez. T -)

5 Anche nel caso di continuità tra abitazione e locali commerciali è necessaria l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica. L’accesso è avvenuto presso i locali di un opificio, sede dell’impresa, comunicanti con l’abitazione familiare: tale situazione, comprovata attraverso la produzione di certificati anagrafici, planimetrie e stralcio di una deposizione resa da un militare verbalizzante nell’ambito di altro procedimento penale, è sufficiente a dimostrare che i locali erano adibiti ad uso promiscuo. La mancanza dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, richiesta dall’art. 52, c. 1, D.P.R. n. 633/1972, è idonea a determinare l’invalidità degli atti consequenziali. La destinazione ad uso promiscuo si concretizza non soltanto quando i medesimi locali siano contestualmente utilizzati per lo svolgimento dell’attività commerciale e per la vita familiare, ma anche tutte le volte in cui “l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento dei documenti propri dell’attività commerciale nei locali abitativi”. Anche in questo secondo novero di ipotesi è necessaria l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, volta a tutelare l’inviolabilità del domicilio privato e, per il suo tramite, anche lo spazio di libertà del contribuente (Cass. 20-02-2013 n.4140 sez. T)

6Le violazioni che i funzionari tributari, in primo luogo la Guardia di Finanza, possono eventualmente commettere nell’ambito di indagini di polizia giudiziaria non hanno automatico riflesso in ambito fiscale, posto che il procedimento penale e quello tributario sono disciplinati da diverse norme, che rispondono a differenti finalità. Non è pertanto possibile, in maniera incondizionata, eccepire la nullità dell’atto impositivo sulla base dell’inutilizzabilità di elementi derivanti da indagini penali ove le norme del codice di procedura penale, non erano state puntualmente osservate. L’omissione delle formalità di garanzia difensiva prescritte per il procedimento penale non costituisce ragione di inutilizzabilità degli elementi raccolti nel procedimento di accertamento fiscale, in ossequio al principio della autonomia del procedimento penale rispetto alle procedure dell’accertamento tributario. La rilevanza penale degli accertamenti tributari non comporta l’affievolimento del loro valore probatorio in sede civile o tributaria, mentre le regole e le garanzie previste per il giudizio penale hanno valore soltanto all’interno dello stesso (Cass. 31-01-2013 n.2352 sez. T).