Controllo stradale: le prove raccolte sono a disposizione del Fisco!

sono validamente utilizzabili per accertamenti fiscali le prove acquisite durante una perquisizione per controllo stradale

Con la sentenza n.46233 del 19 novembre 2013 la Corte di Cassazione ha ritenuto utilizzabili in giudizio le fatture per operazioni inesistenti acquisite durante una perquisizione per controllo stradale.

La sentenza

La Corte, innanzitutto, rileva che la legge 15275 è stata emanata con finalità di tutela dell’ordine pubblico e la disposizione di cui all’art. 4 consente alla polizia giudiziaria, “nel corso di operazioni di polizia ed in casi di eccezionali di necessità e di urgenza che non consentono un tempestivo provvedimento dell’autorità giudiziaria, di procedere, oltre che all’identificazione, anche all’immediata perquisizione sul posto di persone il cui atteggiamento o la cui presenza, in relazione a specifiche e concrete circostanze di luogo e di tempo non appaiono giustificabili, al solo fine di accertare l’eventuale possesso di armi, esplosivi e strumenti di effrazione”.

In tali casi, afferma la sentenza, “la perquisizione può anche estendersi, per le medesime finalità, al mezzo di trasporto utilizzato dalle persone suindicate per giungere sul posto. Delle perquisizioni deve essere redatto verbale, su apposito modulo, che va trasmesso entro quarantotto ore al procuratore della Repubblica e, nel caso previsto dal primo comma dell’articolo citato, consegnato all’interessato”.

La Corte, quindi, afferma il principio secondo il quale il termine «operazioni di polizia» utilizzato dal legislatore nell’art. 4 legge 11075 “ deve essere considerato in senso ampio, comprendente ogni attività peculiare della polizia giudiziaria effettuata nell’ambito specifiche attribuzioni della stessa e non richiede una preventiva organizzazione né l’espletamento di attività coordinate e complesse per il raggiungimento di un determinato scopo preventivamente individuato, ben potendo coincidere con l’ordinaria attività di istituto”.

Nel caso in esame, “la perquisizione è stata giustamente ritenuta legittima dai giudici del merito in quanto, come emerge dalla sentenza impugnata, l’atto è stato eseguito in occasione di un controllo stradale sui mezzi in transito predisposto dalla Polizia di Stato, dando atto a verbale che l’indagato mostrava indecisione alla vista dell’auto della polizia, una volta fermato risultava privo di patente di guida e di altri documenti di identità e, ad un controllo nella banca dati, risultava gravato da numerosi precedenti di polizia, cosicché non vi era oggettivamente il tempo di ottenere il decreto di perquisizione dall’autorità giudiziaria per accertare l’eventuale possesso di armi, esplosivi o strumenti di effrazione come richiesto dalla norma. Né rileva, altresì, la circostanza che, nell’ambito di tale attività, la cui legittimità, come risulta dal ricorso, è stata riconosciuta anche in sede di riesame, la polizia giudiziaria abbia poi rinvenuto le fatture poi sequestrate, non potendo certo ignorare fatti aventi rilevanza penale occasionalmente accertati nell’ambito di attività di iniziativa o delegata finalizzata, come nella fattispecie, ad altri scopi”.

Parimenti infondata risulta per la Corte “l’ulteriore eccezione concernente il mancato avviso all’indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore perché, come già affermato da questa Corte (Sez. IlI n. 8097, 2 marzo 2011), detto avviso non è dovuto quando viene effettuata una perquisizione ai sensi dell’art. 4 legge 110/75”.

In ordine alle fatture false, la Corte afferma che, nel caso di specie, i giudici del merito hanno rilevato “ come le fatture, di rilevante importo, fossero state emesse da ditta che risultava aver cessato la propria attività; che risultavano non pagate, ad eccezione di un modesto acconto; che la sede della ditta coincideva con l’abitazione dell’imputato, presso la quale lo stesso risultava irreperibile; che la ditta non disponeva di un deposito ove custodire le Ingenti quantità di pneumatici, di una sede operativa e di dipendenti e che l’imputato non aveva presentato la dichiarazione dei redditi per tali attività”.

Brevi note giuridiche generali

I verificatori del Fisco, sia civili che militari, godono di una serie di poteri, specificatamente previsti dalle norme fiscali.

In generale, ai sensi dell’art. 52, c. 3, del D.P.R. n. n. 633/1972, è in ogni caso necessaria l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria più vicina (atteso che l’esigenza di ricorrere a tali procedure può insorgere improvvisamente durante le normali ricerche), per procedere, durante l’accesso, a perquisizioni personali1 e all’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse2, casseforti, mobili, ripostigli e simili.

La perquisizione può essere eseguita su qualunque persona presente al momento dell’accesso, sia nei confronti dei clienti che del personale dipendente, nel caso in cui sussista il sospetto che parte della documentazione o altro materiale ritenuto utile per il controllo possa essere celato da uno dei soggetti presente all’atto dell’accesso, il quale invitato ad esibire spontaneamente quanto in suo possesso, si rifiuti e/o comunque adotti un comportamento ostruzionistico ( esibizione parziale o incompleta di quanto nascosto).

Per effettuare la perquisizioni personale (atto di polizia giudiziaria) è necessario che l’autorizzazione rilasciata venga notificata al soggetto da sottoporre a controllo e, si ritiene che “nelle more dell’ottenimento dell’autorizzazione, la persona da perquisire possa essere tenuta sotto sorveglianza dai verificatori”3.

Anche per l’apertura di cassetti e borse e quant’altro risulti protetto da chiusure, è necessaria l’autorizzazione del magistrato, in quanto tali beni sono attratti nella categoria concettuale del domicilio. L’eventuale assenso del contribuente, che fa venir meno la richiesta di autorizzazione al magistrato, legittima l’operato dei verificatori, consenso che dovrà essere trascritto sia nel p.v. di accesso o giornaliero che nel p.v. di constatazione, così come richiesto dalla Commissione tributaria Centrale, sez. IX, con decisione n. 2841 del 10 luglio 1995. In ogni caso, è d’obbligo che i verificatori adottino tutte le cautele del caso, atteso che la Cassazione, con sentenza n.1036 del 2 febbraio 1998, ha ritenuto (pur se con una pronuncia rimasta isolata) che il consenso prestato possa essere frutto di “sudditanza psicologica”. Merita di essere evidenziata in questa sede la sentenza n. 21446 dell’8 luglio 2009 (dep. il 9 ottobre 2009), della Corte di Cassazione, secondo cui “l’espresso riferimento all’assenso all’asporto dei materiali, prestato dalla C, circostanza quest’ultima – vale la pena di sottolinearlo – che non è stata mai contestata dalla ricorrente” viene “a confutare l’ipotesi del preteso sequestro, posto che quest’ultimo, consistendo in un atto di coazione da parte dell’Autorità postula, per definizione, ai fini della sua configurabilità, la sottrazione (materiale e giuridica) del bene alla disponibilità dell’avente diritto, in quanto tale, necessariamente effettuata contro la sua volontà”. In pratica, la Corte, correttamente e legittimamente, distingue l’acquisizione dal sequestro sulla base della sussistenza o meno del consenso: se c’è consenso è acquisizione se il consenso non c’è è sequestro.

Si registra, ancora, l’intervento della Cassazione (sentenza n. 9565 del 5 marzo 2007, dep. il 23 aprile 2007), la quale afferma che occorre l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica solo per procedere ad “apertura coattiva” di borse, non essendo, invece, necessaria l’autorizzazione ove l’acquisizione di documenti contenuti in borse sia avvenuta con la collaborazione ed in continua presenza del figlio e della moglie del contribuente e, comunque, senza la manifestazione di alcuna contraria volontà.

L’attività svolta dovrà essere documentata attraverso un apposito p.v. di apertura coattiva.

Invece, nel caso in cui i cassetti e gli armadi sono aperti non è necessaria l’autorizzazione, in quanto la ricerca si rivolge alla acquisizione di documenti, materiale, indizi, prove in ordine alla non corretta tenuta delle scritture contabili e alla mancata osservanza delle norme fiscali, che per loro natura potrebbero trovarsi proprio in armadi e/o cassetti.

La perquisizione, in questo caso, assume un connotato amministrativo e non processual-penalistico.

In ordine alla posta elettronica le potestà di controllo non divergono dalla normale corrispondenza: se l’e-mail è già stata aperta i verificatori ne possono prendere cognizione, diversamente occorre l’autorizzazione del magistrato. Sul punto, rileviamo che la Corte di Cassazione, con la sentenza n.21103 del 16 maggio 2013, ha ritenuto sequestrabili computer e pen drive del professionista sottoposto a controllo. Per la Corte, “la legittimità del sequestro probatorio deve essere valutata, non già nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza dell’accusa, ma in riferimento all’idoneità degli elementi su cui si fonda la notizia di reato a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini, per acquisire prove certe o prove ulteriori del fatto, non esperibili senza la sottrazione all’indagato della disponibilità della “res” o l’acquisizione della stessa nella disponibilità dell’A.G. (cass. pen. sez. 3, 15177/2011 Rv. 250300 Massime precedenti Vedi: N. 33873 del 2006 Rv. 234782, N. 3692 del 2011 Rv. 249695. Nella specie il provvedimento probatorio risulta sorretto da una motivazione che, per quanto riassuntiva o schematica, collega al ragionevole delinearsi di ipotesi criminose l’enunciazione descrittiva dell’inerenza o pentinenzialità dei beni e cose sequestrate all’accertamento di dette ipotesi di reato (cass. pen. sez. 6, 5930/2012 Rv. 252423)”.

Per il sequestro di atti e documenti, in via amministrativa, la disciplina generale è contenuta nell’art. 25 della legge n. 4 del 1929, ove è previsto che “non si può procedere, tranne che nei casi indicati dallesingole leggi finanziarie, al sequestro dei libri prescritti dal codice di commercioe di quegli altri che, secondo gli usi commerciali, servono all’esercizio delcommercio o dell’industria.La precedente disposizione non si applica alle violazioni delle leggifinanziarie che costituiscono delitto.L’autorità precedente può in ogni caso fare eseguire copia dei libri a spesedel contribuente, ovvero apporre nelle parti che interessano l’accertamento dellaviolazione, la propria firma o sigla, munita della data e del bollo di ufficio; puòaltresì adottare le cautele atte ad impedire che i libri stessi siano alterati o sottratti”.

L’art. 52 del D.P.R. n. 633/19724, consente il sequestro solo nell’ipotesi in cui non sia possibile riprodurre o riportare esplicitamente nel verbale il contenuto di documenti e scritture contabili, oppure ancora nel caso in cui, nonostante la possibile riproduzione del contenuto del verbale, i soggetti interessati alla verifica si rifiutino di sottoscrivere il verbale oppure, con apposite dichiarazioni in esso contenute, ne contestino il contenuto.

È possibile eseguirne o farne eseguire copie o estratti, apporre nelle parti che interessano la firma o sigla dell’organo procedente insieme con la data e il bollo d’ufficio ed adottare cautele atte ad impedirne l’alterazione o la sottrazione.

La norma fa esplicito riferimento alla locuzione “documenti e scritture”, e pertanto l’operazione di sequestro deve intendersi effettuabile con riferimento a qualsiasi tipo di documento e di scrittura, quindi, anche a quei documenti e scritture non aventi natura contabile.

I libri contabili e i registri non possono essere sequestrati, atteso che gli stessi devono continuare ad essere utilizzati anche nei periodi immediatamente successivi all’accesso.

12 dicembre 2013

Gianfranco Antico

1 Cfr. Cass. Sent. n. 20253/2005, che ha negato validità al materiale extracontabile scovato nelle tasche del marito dell’intestataria della ditta verificata, nonostante il consenso del soggetto acquisito preventivamente.

2Crfr. Cass.n.1036 del 2 febbraio 1998, secondo cui, in assenza dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica è illegittima l’acquisizione di documenti contenuti all’interno di una borsa posta dentro l’autovettura del contribuente, ancorché, portata in caserma e chiusa in un plico sigillato, e l’apertura del plico sia avvenuto con il consenso del contribuente.

3 PEZZUTO-SCREPANTI, in “La verifica fiscale”, Milano, 2002, pag.72. Sul punto la Corte di Cassazione, con sentenza n. 20253 del 19 ottobre 2005, ha ritenuto inutilizzabile la documentazione extracontabile acquisita dai verificatori attraverso una perquisizione personale seguita senza specifica autorizzazione dell’A.G., escludendo che possa sussistere il silenzio assenso.

4 In particolare, per l’IVA, le imposte dirette e l’IRAP, l’articolo 52 del DPR 633/72 prevede che “i documenti e le scritture possono essere sequestrati soltanto se non è possibile riprodurne o farne constatare il contenuto nel verbale, nonché in caso di mancata sottoscrizione o di contestazione del contenuto del verbale. I libri e i registri non possono essere sequestrati; gli organi procedenti possono eseguirne o farne eseguire copie o estratti, possono apporre nelle parti che interessano la propria firma o sigla insieme con la data e il bollo d’ufficio e possono adottare le cautele atte ad impedire l’alterazione o la sottrazione dei libri e dei registri”.