Il problema dei documenti acquisiti irritualmente

se, durante una verifica fiscale, vengono acquisiti documenti in modo irrituale, tali documenti possono essere utilizzati validamente per emettere un avviso di accertamento?

1. Premessa.

La Corte di Cassazione, con la sentenza 29 maggio 2013, n. 13319, ha espresso un principio di estremo interesse con riguardo ai concetti di inutilizzabilità dei documenti irritualmente acquisiti nel corso del procedimento amministrativo di accertamento tributario e di invalidità dell’atto finale ad esso collegato.

In linea generale, il Supremo Collegio ha affermato che l’inosservanza di norme procedurali poste a tutela di specifici diritti dei cittadini comporta ex lege l’impossibilità di avvalersi dei dati di cui si è in tal modo venuti a conoscenza, ma quanto precede non incide automaticamente sull’atto finale qualora il provvedimento sia supportato da distinti elementi di fatto e di diritto.

Pertanto, il provvedimento è da ritenersi nullo solo nel caso in cui sia totalmente fondato su documentazione acquisita in violazione delle norme vigenti ovvero, pur in presenza di irregolarità nella fase endo-procedimentale, conserva la propria efficacia per le parti in cui non sussiste un nesso diretto con le “prove illegittime”.

In altre parole, a detta della Corte, gli elementi rinvenuti durante un accesso domiciliare non autorizzato dall’Autorità Giudiziaria sono, come regola generale, inutilizzabili, siccome tale omissione incide sull’inviolabilità del domicilio. Tuttavia, inutilizzabilità non è sinonimo di nullità dell’accertamento, in quanto la prima colpisce solo con riferimento a quelle parti che siano legate all’atto istruttorio da un nesso di insostituibile e necessaria consequenzialità; di conseguenza, i giudici hanno ritenuto che, nonostante l’omessa autorizzazione preventiva del P.M., siano comunque utilizzabili i documenti bancari rinvenuti durante l’accesso in quanto, successivamente, i verificatori hanno ottenuto l’apposita autorizzazione amministrativa richiesta per le indagini bancarie.

 

2. Gli accessi ai fini fiscali

Come è ben noto, l’Amministrazione Finanziaria è titolare di incisivi poteri istruttori che si concretizzano nella c.d. “verifica fiscale”, attività investigativa finalizzata alla qualificazione e quantificazione della capacità contributiva del soggetto che ad essa viene sottoposto. L’attività istruttoria, pertanto, è una delicata ed importante fase del procedimento amministrativo di applicazione delle imposte e tende alla prevenzione, ricerca e repressione delle violazioni alle norme tributarie in modo da rendere effettiva la partecipazione dei cittadini alle spese pubbliche, così come disposto dall’art.53 Cost.

Attraverso la verifica fiscale, gli organi deputati di tale attività perseguono il fine istituzionale di controllare che il contribuente, al realizzarsi del presupposto di imposta, abbia:

  • qualificato e quantificato correttamente la propria capacità contributiva attraverso la regolare applicazione delle norme tributarie al caso concreto;

  • abbia adempiuto ai previsti obblighi formali e sostanziali;

  • abbia correttamente quantificato l’obbligazione tributaria a proprio carico e provveduto al relativo versamento.

Gli uffici dell’Amministrazione Finanziaria ed i Reparti della Guardia di Finanza, pertanto, sono legittimati ad eseguire accessi, ispezioni documentali, verifiche e ricerche e ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre violazioni.

Tali poteri possono essere esercitati nei confronti di qualunque persona fisica o giuridica o società di persone o ente che abbia posto in essere attività in relazione alle quali le norme tributarie o finanziarie pongono obblighi o divieti dalla cui inosservanza deriva l’integrazione di fattispecie illecite amministrative o penali.

Il potere di accesso, caratterizzato da particolare invasività, consiste nell’entrare in un luogo dove viene esercitata un’attività commerciale, agricola, artistica o professionale o anche, al ricorrere dei requisiti che verranno analizzati nel prosieguo della trattazione, in locali adibiti ad abitazione del contribuente e di permanervi anche senza o contro il consenso dell’avente diritto per eseguirvi verifiche, ispezioni, ricerche o altre rilevazioni. Il soggetto passivo d’imposta, pertanto, è tenuto a subire passivamente l’accesso, effettuato nei luoghi di cui sopra, legittimamente disposto dagli organi accertatori.

L’atto che dispone l’accesso, strumentale al procedimento amministrativo di accertamento dell’imposta, ha, quindi, carattere autoritativo ed è connotano da immediata esecutività.

Dalle considerazioni de quibus, si evince che tale particolare potestà riconosciuta ai verificatori è destinata ad incidere direttamente sulla sfera giuridica del contribuente, comprimendo in particolar modo la libertà individuale e domiciliare di quest’ultimo. Il legislatore, infatti, ha operato un delicato bilanciamento tra le libertà di cui sopra e l’interesse erariale alla regolare percezione dei tributi, a sua volta strumentale rispetto alla necessità dello Stato di poter avere a disposizione i mezzi economici necessari al perseguimento dei propri fini istituzionali a beneficio della stessa collettività.

Pertanto, la Carta Fondamentale, se da una parte assicura l’inviolabilità del domicilio, dall’altra consente la contrazione di tale diritto fondamentale innanzi ad altri interessi ugualmente garantiti sul piano costituzionale. L’art.14 Cost., infatti, come già ampiamente sottolineato, non solo assicura l’inviolabilità del domicilio, disponendo che non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale, ma prevede, altresì, la possibilità di eseguire accertamenti ed ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali nel rispetto delle singole leggi speciali disciplinanti i settori de quibus.

Nell’ambito del procedimento amministrativo tributario, la normativa principale di riferimento è rappresentata:

  • dall’art.52 del D.P.R. nr.633/1972 in materia di imposta sul valore aggiunto e richiamato da altre importanti norme dell’ordinamento tra le quali si sottolineano:

  • l’art. 33, c. 1, del D.P.R. 29.9.1973, n. 600 in materia di imposte dirette;

  • l’art. 51,c. 4, del D.P.R. 26.4.1986, n. 131 in materia di imposta di registro;

  • l’art. 34, c. 4, del D.Lgs. 31.10.1990, n. 346 in materia di imposta sulle successione e donazioni;

  • l’art. 11, c. 9, del D.Lgs. 8.11.1990, n. 374 in materia di imposte doganali;

  • l’art. 24, c. 5, del D.Lgs.15.12.1997, n. 446 in materia di imposta regionale sulle attività produttive.

  • dagli artt.34 e 35 della Legge 7.1.1929 nr.4 in ragione dei quali:

  • Le violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie, le quali non costituiscono reato, sono accertate dagli ufficiali e dagli agenti della polizia tributaria e dagli altri organi che siano indicati dalle singole leggi.

  • Per assicurarsi dell’adempimento delle prescrizioni imposte dalle leggi o dai regolamenti in materia finanziaria, gli ufficiali o gli agenti della polizia tributaria hanno facoltà di accedere in qualunque ora negli esercizi pubblici e in ogni locale adibito ad un’azienda industriale o commerciale ed eseguirvi verificazioni e ricerche.

  • dall’art.18 del D.Lgs. n. 504/1995 in materia di imposte sulla produzione e sui consumi.

Sulla base della vigente normativa, è possibile individuare diverse tipologie di accesso (in relazione alla natura o alla destinazione) disciplinate in maniera distinta per quanto concerne le modalità ed i presupposti che ne legittimano l’esecuzione. Si distinguono, pertanto:

  • Accessi nei luoghi adibiti esclusivamente all’esercizio di attività economiche1:

  • Accessi nei luoghi utilizzati promiscuamente per le esigenze connesse all’attività esercitata e ai fini abitativi2;

  • Accessi nei luoghi diversi dai precedenti, adibiti esclusivamente ad abitazione;

  • Accessi negli studi professionali3.

L’art.52 del D.P.R. nr.633/1972, in materia di imposta sul valore aggiunto, richiamato sul punto dall’art.33 del D.P.R. nr.600/1973, prevede che: “L’accesso in locali diversi da quelli indicati nel precedente comma può essere eseguito, previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del presente decreto, allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni”.

Per locali diversi si intendono:

  • abitazione dove non si svolga alcuna attività commerciale o agricola;

  • uffici di enti che non esercitino attività industriale, commerciale o agricola;

  • circoli privati, ecc…;

Pertanto, la norma si riferisce in particolare a:

  • locali adibiti esclusivamente ad abitazione;

  • tutti i luoghi di dimora privata, nei quali l’individuo non eserciti attività economiche e nei quali risieda occasionalmente, purché siano ritenuti meritevoli di tutela dall’ordinamento giuridico.

Il delicato bilanciamento tra il principio costituzionale dell’inviolabilità del domicilio di cui all’art.14 Cost. e la preminenza dell’interesse fiscale sancito dall’art.53 Cost. viene attuato attraverso la previsione di un rigido presupposto legittimante l’esecuzione dell’accesso in tali ambienti, adibiti esclusivamente ad usi diversi da quelli economici. Infatti, l’esercizio di tale potere invasivo è legittimo solo nel momento in cui i verificatori:

  • siano in possesso dell’ordine scritto di accesso rilasciato dal capo dell’Ufficio o dal Comandante del Reparto della Guardia di Finanza e contenente l’ordine circostanziato dell’operazione di servizio;

  • abbiano preventivamente richiesto al Procuratore della Repubblica competente l’autorizzazione all’accesso presso l’abitazione del contribuente indicando in maniera chiara ed esaustiva gli elementi informativi da cui originano i gravi indizi manifestati di violazione alle norme fiscali;

  • abbiano l’autorizzazione preventiva del Procuratore della Repubblica, il quale è tenuto, nella fase antecedente al rilascio di tale atto, a:

  • prendere visione degli elementi, che l’organo richiedente ha addotto a suffragio dell’esistenza di gravi indizi di violazioni alla normativa tributaria in virtù dei quali viene chiesta l’autorizzazione ad accedere presso l’abitazione privata;

  • accertarsi della ricorrenza di tutti i presupposti richiesti dall’art. 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e, in particolare, ad assicurarsi che gli elementi esposti dall’organo richiedente siano idonei a configurare gravi indizi di violazioni alla normativa tributaria in materia di imposta sul valore aggiunto e/o di imposte sui redditi;

  • ordinare, al termine delle operazioni, la trasmissione del relativo verbale

Pertanto, l’accesso presso i locali di tal guisa è legittimo solo nel momento in cui:

  • sussistanoex ante gravi indizi di violazione alla normativa tributaria di cui deve darsi specifica motivazione sia nella richiesta di autorizzazione da parte degli organi procedenti, sia nel relativo atto dell’A.G.;

  • è finalizzato al reperimento delle prove delle violazioni sull’esistenza delle quali sono state già acquisiti i gravi indizi portati a conoscenza della magistratura;

  • non si riferisce esclusivamente ad una generica attività di controllo.

Per indizio deve intendersi un documento, una dichiarazione o un atto rappresentativo di una parte o di un effetto di un determinato fatto, che in tal modo è possibile intuire anche attraverso l’esperienza vissuta, il buon senso e le relative massime consolidate dalla prassi.

Al riguardo, la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 17957 del 19 ottobre 2012 (ud. 5 luglio 2012), ha affermato che “l’autorizzazione del procuratore della Repubblica, prescritta dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, commi 1 e 2, ai fini dell’accesso degli impiegati dell’amministrazione finanziaria (o della guardia di finanza, nell’esercizio dei compiti di collaborazione con gli uffici finanziari a essa demandati) a locali adibiti anche ad abitazione del contribuente o a locali diversi (cioè adibiti esclusivamente ad abitazione), è sempre necessaria. Essa rimane subordinata alla presenza di gravi indizi di violazioni tributarie in quest’ultimo caso, vale a dire per l’accesso in locali ‘diversi’ in quanto solo abitativi (cfr. per utili riferimenti Cass. n. 16570/2011; n. 2444/2007; n. 10664/1998)”. Per la Corte “è pacifico che l’autorizzazione all’accesso da parte dell’autorità giudiziaria, in quanto diretta a tutelare l’inviolabilità del domicilio privato, e quindi, indirettamente, lo spazio di libertà del contribuente, rileva alla stregua di condicio sine qua non per la legittimità dell’atto e delle relative conseguenti acquisizioni (cfr. Cass. n. 6908/2011). Giacchè il principio di inutilizzabilità della prova illegittimamente acquisita si applica anche in materia tributaria, in considerazione della garanzia difensiva accordata, in generale, dall’art. 24 Cost. (v. Cass. n. 8181/2007; n. 19689/2004)”.

Il giudice tributario, pertanto, in sede di impugnazione dell’atto impositivo basato su libri, registri, documenti e altre prove reperite mediante accesso domiciliare autorizzato dal procuratore della Repubblica, ha il dovere, “oltre che di verificare la presenza, nel decreto autorizzativo, di una motivazione – sia pure concisa o per relationem mediante recepimento dei rilievi dell’organo richiedente – circa il concorso di gravi indizi del verificarsi dell’illecito fiscale, anche e soprattutto di controllare la correttezza in diritto del relativo apprezzamento; e quindi di verificare che codesto abbia fatto riferimento a elementi cui l’ordinamento attribuisca effettiva valenza indiziaria”.

Di conseguenza, “se nell’esercizio di tale compito, il giudice deve negare la legittimità dell’autorizzazione emessa esclusivamente sulla scorta di informazioni anonime, valutando conseguentemente il fondamento della pretesa fiscale senza tenere conto di quelle prove (v. Cass. n. 21974/2009)”.

 

3. L’inosservanza delle norme procedurali per l’esecuzione degli accessi

Le attività compiute in violazione delle dianzi descritte norme, le quali consentono specifiche e determinate “compressioni” dei diritti fondamentali del cittadino in ragione dell’interesse fiscale alla regolare percezione dei tributi, sono illegittime e, di conseguenza, risultano inutilizzabili – nell’ambito del procedimento amministrativo di accertamento – le relative risultanze istruttorie.

Sul punto la Cassazione civile, sez. I, con sentenza 27 luglio 1998, n. 7368 ha chiaramente affermato che gli avvisi di accertamento o di rettifica o d’irrogazione di sanzioni motivati facendo riferimento a dati, acquisiti dalla Guardia di Finanza a seguito di accesso, senza l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica prevista dall’art. 52 D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, in locali che siano adibiti anche ad abitazione del contribuente, sono illegittimi, atteso che attività, compiute in dispregio del fondamentale diritto all’inviolabilità del domicilio, non possono essere assunte di per sè a giustificazione ed a fondamento di avvisi d’accertamento o d’irrogazione di sanzioni a carico di chi quelle attività costituzionalmente illegittime abbia subito, dato che in mancanza dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica viene meno la prevalenza dell’interesse fiscale, costituzionalmente garantito dall’art. 53 Cost., sul diritto del contribuente all’inviolabilità del proprio domicilio.

In altre parole, senza il presupposto legittimante della preventiva autorizzazione dell’A.G., risultano inutilizzabili gli oggetti e i documenti rinvenuti durante l’accesso e a nulla rileva il presunto consenso del contribuente, se questo viene accordato a seguito di ripetuti richiami alle conseguenze sfavorevoli derivanti dall’eventuale rifiuto di esibizione di libri o documenti custoditi nell’abitazione; questo perché l’inviolabilità del domicilio può venire meno solo a seguito del provvedimento dell’Autorità Giudiziaria, in mancanza della quale non può prevalere l’interesse fiscale all’accertamento, ancorché anch’esso garantito dalle norme costituzionali.

Ex pluribus, con sentenza n. 631 del 18 gennaio 2012 (ud. 23 novembre 2011) la Corte di Cassazione ha affermato che siamo nell’ambito dei “vizi c.d. formali dell’atto impugnato, categoria nella quale va ascritto anche il vizio di invalidità del provvedimento autorizzativo, emesso dal PM – ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 2 – in difetto di ‘gravi indizi di violazione di norme tributarie’, in quanto volto ad inficiare l’atto presupposto della verifica e dunque ad interrompere il necessario collegamento funzionale con l’atto terminale del procedimento impositivo, e che viene pertanto a configurarsi come vizio di invalidità del procedimento amministrativo idoneo a determinare l’annullamento per illegittimità derivata (così Corte Cass. SU n. 6315/2009 cit.) dell’atto consequenziale impugnato”.

La Corte di Cassazione, con la sentenza 29 maggio 2013, n. 13319, riprende i principi enunciati nelle precedenti statuizioni sopra richiamate, ribandendo l’inutilizzabilità di elementi irritualmente acquisiti e, quindi, l’invalidità del provvedimento finale di accertamento che su tali dati sia fondato, ma – nel contempo – in ossequio al principio di conservazione degli atti giuridici, afferma che sia possibile riconoscere la validità dell’accertamento per le parti in relazione alle quali non sussiste un nesso di insostituibile e necessaria consequenzialità con i documenti acquisiti in violazione di specifiche norme di diritto.

Nel caso di specie, i militari della Guardia di Finanza – nell’ambito di un accesso presso un locale adibito ad uso promiscuo (abitazione e studio professionale), effettuato in mancanza del provvedimento autorizzativo della magistratura – avevano acquisito degli estratti conto bancari. Nel prosieguo dell’attività ispettiva, i verificatori avevano comunque provveduto ad acquisire i suddetti dati finanziari in osservanza delle disposizioni vigenti che prevedono – ex artt. 32, comma 1, n. 7, del Dpr 600/1973, e 51, comma 2, del Dpr 633/1972 – l’autorizzazione del Comandante Regionale della Guardia di Finanza o del Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate e del Territorio.

Considerato che l’avviso di rettifica ai fini I.V.A. era fondato proprio sulle risultanze bancarie del contribuente, quest’ultimo aveva eccepito l’illegittimità del provvedimento poiché fondato su documentazione acquisita nel corso di un accesso esperito in mancanza dell’autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria.

In realtà, occorre osservare che il provvedimento impositivo in esame è fondato sui dati pervenuti dalle indagini finanziarie condotte in osservanza delle disposizioni di legge e non sugli estratti conto rinvenuti nel corso dell’accesso domiciliare, i quali – alla luce della violazione procedurale – permangono inutilizzabili. Pertanto, l’avviso di rettifica – benchè conseguente ad un procedimento amministrativo nel corso del quale è stata effettuata un’attività illegittima – mantiene la propria validità non sussistendo con la documentazione “irrituale” alcun nesso di insostituibilità, ma essendo fondato su elementi diversamente acquisiti.

La Corte Suprema, in conclusione, nel confermare la validità della pretesa, ha qualificato l’autorizzazione all’accesso domiciliare come un provvedimento amministrativo, i cui vizi si riverberano sull’atto conclusivo, determinandone l’invalidità “solo con riferimento a quelle parti che siano legate all’atto istruttorio da un nesso di insostituibile e necessaria consequenzialità, mentre nessuna conseguenza comportano per quelle altre parti che siano del tutto distinte ed indipendenti” (cfr Cassazione 23595/2011).

 

15 novembre 2013

Nicola Monfreda

1 A differenza di quanto previsto per le altre tipologie di accesso, per l’esercizio di tale potere in locali adibiti esclusivamente all’attività economica è richiesto un solo presupposto legittimante, consistente nell’ordine scritto di accesso rilasciato dal capo dell’Ufficio o dal Comandante del Reparto della Guardia di Finanza.

2Per accedere in locali che siano adibiti anche ad abitazione, oltre all’apposita autorizzazione rilasciata dal capo dell’ufficio o dal Comandante del Reparto della Guardia di Finanza, è necessaria anche l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, in ragione delle necessita di tutela sancite dall’art.14 Cost. e contemperate dal legislatore con l’esigenza di assicurare il regolare pagamento dei tributi da parte dei cittadini, titolari, oltre che di diritti, anche di specifici obblighi di solidarietà e di partecipazione alle spese pubbliche.

L’autorizzazione da parte del Procuratore non necessita, a differenza di quanto previsto per l’accesso in locali adibiti esclusivamente ad abitazione, di alcun presupposto legittimante essendo sufficiente la sussistenza della necessità di eseguire ispezioni documentali, verificazioni e ricerche ed ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento delle imposte e per l’eventuale repressione dell’evasione e di possibili altre violazioni.

3L’art.52 del D.P.R. nr.633/1972, a seguito delle modifiche introdotte dall’art.18 della Legge 30 dicembre 1991, n. 413, prevede, per quanto concerne l’accesso presso gli studi professionali, che:

Non è più necessaria la preventiva autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria;

  • l’esercizio del potere di accesso deve essere eseguito in presenza del titolare dello studio e tale requisito rappresenta inderogabilmente la conditio sine qua non per la legittimità dell’intera attività di verifica e, di conseguenza, dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze istruttorie di quest’ultima;

  • l’accesso può avvenire anche in presenza di un delegato del titolare dello studio a condizione che:

  • la delega risulti da procura speciale rilasciata per iscritto in quanto, solo in casi eccezionali e comunque fatti rilevare nel processo verbale di verifica, è possibile tenere in considerazione una delega rilasciata telefonicamente;

  • il soggetto delegato deve essere legittimato a sostituire il titolare nell’attività di assistenza alle operazioni di accesso e, pertanto, deve poter opporre eventualmente il segreto professionale.

  • è irrilevante, per l’esecuzione dell’accesso, il consenso o meno del titolare dello studio o del suo delegato.