L'Agenzia delle Entrate stenta a far partire il nuovo redditometro

come ha recentemente dichiarato il Direttore dell’Agenzia, i controlli da nuovo redditometro stentano a partire per problemi di privacy e, comunque, saranno molti meno dei 35.000 previsti inizialmente per il 2013

Il nuovo redditometro ha da pochi mesi compiuto tre anni, ma, di fatto, non è ancora entrato in funzione. La piattaforma giuridica del nuovo strumento è già pronta da tempo (articolo 22 del DL 78/2010), ma le norme attuative hanno tardato a venire alla luce, sino al 24 dicembre scorso, quando, appunto, è stato emanato il relativo decreto attuativo. Che cosa è accaduto nel frattempo?

Innanzitutto, ci sono state quelle che ormai sembrano soltanto un lontano ricordo, ovvero le famose slides di presentazione del 25 ottobre 2011, con cui erano state illustrate le oltre cento voci di spesa di cui avrebbe tenuto conto il nuovo redditometro, che, peraltro, secondo le intenzioni del Fisco, sarebbe stato pronto per febbraio 2012.

In realtà così non è stato e soltanto a settembre dell’anno scorso è arrivato il Redditest1. Tantissimo scalpore, simulazioni continue per misurare la compatibilità del proprio reddito con il tenore di vita manifestato in base ai calcoli del software2, articoli di giornali ed interventi di esperti. Ma a che cosa è servito? Purtroppo a ben poco. Si è compreso ben presto, infatti, che il risultato del Redditest è frutto di un algoritmo sconosciuto che prescinde totalmente dalla struttura del nuovo redditometro e con il quale, quindi, non ha alcun collegamento diretto. Soprattutto, però, come chi scrive ha evidenziato in alcune occasioni, l’ormai famosa luce verde del Redditest non protegge dal nuovo redditometro, che si basa su altri presupposti.

Dopo l’esperienza del Redditest si è ritenuto finalmente opportuno emanare il decreto attuativo delle disposizioni riformate dall’articolo 22 del Dl 78/2010, ed è così stato approvato il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 24 dicembre 2012. La circolare esplicativa dell’Agenzia delle Entrate è giunta soltanto il 31 luglio scorso (circ. 24/E/2013).

Infine, sono stati recentemente annunciati dai vertici del Fisco circa 35.000 controlli sintetici basati sul nuovo redditometro, salvo, poi, il 3 ottobre, scorso darne la smentita: “Siamo già a ottobre e per partire mancano gli ultimi dettagli tecnici”, quindi non sarà possibile espletare tutti i 35.000 controlli previsti entro l’anno – ha dichiarato il Direttore dell’Agenzia delle Entrate a margine dell’intervento al Salone nautico di Genova3.

In effetti, è notizia del 20 settembre scorso che il Garante della Privacy ha avviato l’istruttoria per verificare la compatibilità del nuovo redditometro con la normativa, appunto, in materia di privacy. E fino a che tale istruttoria non sarà conclusa (sembrerebbe entro la metà di ottobre), le 35.000 lettere indirizzate ai contribuenti selezionati per il controllo redditometrico non potranno essere inviate4.

Nella migliore delle ipotesi, quindi, i controlli inizieranno negli ultimi due mesi dell’anno. Stante la tempistica e gli step previsti dalla notifica del questionario sino a quella dell’accertamento, passando per almeno due contraddittori, ben difficilmente, allora, i controlli potranno essere conclusi prima della fine dell’anno.

Tralasciando il non trascurabile impatto del timing delle attività accertative, a distanza di tutto questo tempo e di tutte queste norme, regole e nuovi strumenti, viene da domandarsi se il nuovo redditometro sia davvero così innovativo.

Invero, nelle intenzioni del legislatore, l’aspetto innovativo del nuovo strumento avrebbe dovuto essere così forte che qualcuno si è subito apprestato a coniare un termine mutuato dal software development, che utilizza la notazione puntata per indicare una versione del tutto nuova di un programma: è nato così il «redditometro 2.0”.

Che sia nuovo, sotto il profilo legislativo, è innegabile, atteso che, con l’articolo 22 del DL 78/2010, è stata sostanzialmente riscritta quella parte dell’articolo 38 del DPR 600/1973, che reca la disciplina dell’accertamento sintetico, di cui il redditometro fa parte. E sicuramente anche il nuovo «decreto di funzionamento» dello strumento, il DM 24 dicembre 2012, è ictu oculi profondamente diverso dai vecchi decreti del 1992, che regolavano la versione precedente. Non meno innovativa, per certi versi, appare la circolare 24/E/2013, focalizzata com’è sul nuovo ruolo centrale del «contraddittorio procedimentale», elevato a principio cardine dell’ordinamento anche dalla recente pronuncia delle Sezioni Unite in tema di accertamento anticipato (cfr. Cass. 18184/2013).

Da un punto di vita operativo, tuttavia, viene da domandarsi se il cambiamento introdotto con il nuovo strumento redditometrico sia davvero sostanziale. Per rispondere al quesito occorre considerare, innanzitutto, che il quadro normativo e di prassi sopra delineato ha portato alla creazione di uno strumento presuntivo che, di fatto, consente al Fisco di dire: se tu, contribuente, hai speso in un determinato periodo d’imposta 120.000 euro, allora devi aver dichiarato un reddito di almeno 100.000 euro (il 20% è una sorta di franchigia «da presunzione»). Secondo il documento di prassi del luglio scorso, inoltre, le spese presunte, ovvero le cosiddette medie Istat, verranno utilizzate soltanto in maniera marginale e – sembrerebbe – solo in relazione a quelle fattispecie di cui il Fisco riesce a dimostrarne l’esistenza nel caso concreto: per esempio, le spese medie Istat di istruzione non possono essere attribuite se non vi è presenza di figli in età scolare. Insomma, per lo più il nuovo redditometro è improntato a quelle che sono le spese effettivamente sostenute dal contribuente.

Non vi è dubbio che sia un notevole cambiamento di prospettiva rispetto al vecchio redditometro, vincolato com’era ai coefficienti moltiplicatori previsti dai decreti ministeriali del 1992 e seguenti, che talvolta portavano a presumere una decuplicazione delle spese effettivamente sostenute dal contribuente per un dato elemento indicativo di capacità contributiva (si pensi al possesso di un’utilitaria, che determinava un reddito presunto di 20.000/30.000 euro), ma la traslazione del centro focale dello strumento presuntivo verso il concetto di “spesa effettiva”, così come regolato dal decreto del dicembre scorso ed interpretato dal Fisco con la circolare 24, pare «spingere» la metodologia accertativa verso una regressione strumentale che la rende molto simile a quello che è sempre stato definito come “accertamento sintetico puro”, ovvero quel meccanismo presuntivo (ma nemmeno poi tanto) che nella previgente formulazione letterale dell’articolo 38, comma 4, del DPR 600/1973, era previsto dal primo periodo, laddove era stabilito che il Fisco poteva, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discostava per almeno un quarto da quello dichiarato.

Sulla base di tale disposizione, in passato, erano stati operati quegli accertamenti redditometrici per cui non esistevano fattispecie tipizzate nei relativi decreti ministeriali: si pensi, ad esempio, a talune campagne territoriali di raccolta dati presso le agenzie di viaggio, a margine delle quali, sulla base delle predetta disposizione, gli Uffici spiccavano gli avvisi di accertamento sintetico in funzione del contenuto induttivo dell’elemento certo costituito dalla spesa che il contribuente aveva realizzato presso una data agenzia di viaggi. La presunzione prevista dalla norma (in assenza di uno specifico coefficiente moltiplicatore ministeriale per i viaggi) consentiva di desumere che se tu, contribuente, avevi speso 20.000 euro in viaggi, dovevi avere un reddito almeno di pari importo (o poco meno, considerando la franchigia). Ciò, a ben vedere, sembrerebbe essere esattamente la stesso meccanismo presuntivo che governa il nuovo strumento redditometrico, in relazione a più di cento voci di spesa. Ma, invero, l’accertamento sintetico puro della vecchia versione dell’articolo 38 non prevedeva neppure una casista predefinita, rendendosi applicabile, di fatto, ad ogni spesa.

L’unica novità del nuovo redditometro, allora, sembrerebbero essere le spese medie Istat, in relazione alle quali assume rilievo il lifestage del contribuente, ma, stante i chiarimenti e le istruzioni operative in merito a tali spese, le stesse sembrerebbero relegate ad un ruolo davvero marginale.

 

7 ottobre 2013

Alessandro Borgoglio

 

1 Per un approfondimento sullo strumento sia consentito un rinvio ai seguenti scritti del medesimo autore: “Il redditest precede il nuovo redditometro” su Commercialistatelematico.com del 24/09/2012

2 ReddiTest è un software che consente ai contribuenti di valutare la coerenza tra il reddito familiare e le spese sostenute nell’anno. Nel ReddiTest devono essere inizialmente indicati la composizione, il reddito e il comune di residenza della famiglia, e, successivamente, le spese sostenute nell’anno, suddivise in 7 categorie: abitazione, mezzi di trasporto, assicurazioni e contributi, istruzione, tempo libero e cura della persona, altre spese significative, investimenti immobiliari e mobiliari.

3 Cfr. F. Roggero, “Redditometro, Befera: non riusciremo a fare i 35mila controlli entro dicembre” su Il Sole 24 Ore online del 3 ottobre 2013.

4 Cfr. G. Parente, “Redditometro all’esame privacy” su Il Sole 24 Ore del 20 settembre 2013.