Sospensione delle sentenze di appello solo se c’è danno

un’analisi approfondita dei casi in cui, nel processo tributario, per il contribuente è possibile ottenere la sospensione della sentenza di appello che vede vincitore il Fisco

Premessa

Emerge da un recente pronunciamento di legittimità che la sentenza della Commissione tributaria regionale può essere sospesa se dall’esecuzione possa derivare un danno grave e irreperabile.

La Suprema Corte, con la sentenza 24 febbraio 2012, n. 2845, ha ritenuto, infatti, che al ricorso per cassazione avverso una sentenza della Commissione tributaria regionale si applica la disposizione di cui all’art. 373, comma 1, del Cpc, secondo cui il giudice di merito, può, su istanza di parte e qualora dall’esecuzione possa derivare un danno grave e irreperabile disporre con ordinanza la sospensione della sentenza.

 

Sospensione dell’esecuzione: principio civilistico

Il legislatore disciplina l’istituto della sospensione dell’esecuzione nell’ambito del ricorso per cassazione all’art. 373 C.p.c., prevedendo che il ricorso stesso non sospende l’esecuzione della sentenza, anche se il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte (da presentare al giudice di pace o al tribunale) qualora dall’esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione (c.p.c. artt. 119, 177, n. 2, 623).

Circa l’applicazione dell’istituto della sospensione (art. 373 C.p.c.) anche al giudizio tributario si devono registrare difformi orientamenti giurisprudenziali a cui hanno trovato una soluzione le diverse pronunce della Corte Costituzionale. Non da ultimo la sentenza 17 giugno 2010, n. 217, che ha ritenuto inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 49, c. 1, del D.lgs. n. 546/92 in riferimento agli articoli 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevede la possibilità di sospensione della sentenza di appello tributaria, impugnata con ricorso per cassazione, quando sopraggiunga il pericolo di un danno grave ed irreparabile.

La giurisprudenza di merito dal canto suo ha ritenuto che al giudice di appello non è consentito la sospensione dell’esecutività della sentenza di secondo grado in pendenza del ricorso per cassazione, secondo quanto statuito dalla sentenza n. 165 del 2000 con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione degli art. 47 e 49 del d lgs n. 546/92 in riferimento agli articoli 3 e 24 della Cost. (CTR Lazio 24 novembre 2011). Appaiono contestabili la diretta applicazione dell’art. 373 c.p.c. e gli asseriti connotati della necessità dell’esecuzione coattiva in atto, di una irreparabilità del danno insuscettibile in assoluto di ristorabilità per equivalente, dell’irrilevanza del fumus boni iuris, dovendosi escludere, altresì, che il deposito del ricorso per cassazione costituisca condizione di ammissibilità dell’istanza. (CTR Lazio ord. 13 gennaio 2010).

In precedenza la CTR Puglia (ord. 2 aprile 2003, n. 8) aveva ritenuto ammissibile l’istanza cautelare cautelare osservando che nella legislazione tributaria non sussiste una norma che vieta la richiesta di sospensione di esecutorietà del provvedimento emanato dai giudici di appello. I giudici hanno motivato, inoltre, che l’estensione del procedimento cautelare di sospensione dinanzi alla CTR.

 

Procedimento cautelare in ambito tributario

La tutela cautelare costituisce un elemento processuale di equilibrio tra le parti in causa; è uno strumento di compensazione, in sede processuale, dello squilibrio sostanziale tra contribuente e fisco a seguito dell’emanazione dell’atto impositivo. E‘ in sostanza lo strumento per far ottenere alla parte tutto che ha diritto di conseguire ed è, inoltre, la manifestazione del principio di rilevanza costituzionale in base ala quale la durata del processo non deve andare a danno dell’attore che ha ragione. La tutela cautelare è caratterizzata dalla esecutività, risultando connotata dalla strumentalità e dalla provvisorietà: la prima consiste nel fatto che la misura cautelare è preordinata ad assicurare o garantire gli effetti sattisfattivi della decisione di merito, mentre la seconda consiste nel fatto che il provvedimento cautelare è destinato a venire meno con la sentenza di merito1.

L’esigenza cautelare derivante dalla possibilità per la parte di richiedere la sospensione della sentenza rappresenta una grossa conquista del giudizio tributario, uno dei punti cardine del nuovo rito tributario. Prima della riforma del contenzioso tributario avvenuta a seguito dell’entrata in vigore del D Lgs n.546/1992 (aprile 1996), l’unico rimedio offerto alla parte avverso la riscossione in pendenza di giudizio era dato dalla possibilità di richiedere la sospensione in via amministrativa in virtù delle disposizioni contenute nell’art. 39 D.P.R, n. 602/193. L’ufficio finanziario, tuttavia, aveva la facoltà di disporre la sospensione in tutto o in parte fino alla data di pubblicazione della sentenza della Commissione di primo grado.

Volendo analizzare i presupposti dell’istituto cautelare, si nota che il legislatore con l’ art. 47 D.Lgs. n. 546/1992 ha previsto la possibilità di richiedere giudizialmente la sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato, sulla quale si pronuncia un giudice, soggetto terzo rispetto alleparti, offrendo a queste ultime l’opportunità di tutelare i propri interessi se dall’atto impositivo impugnato può derivargli un danno grave ed irreperabile. L’aver previsto la possibilità di esperire il rimedio della tutela cautelare anche nel grado di appello rappresenta, dal punto di vista normativo processuale, una naturale estensione delle norme già previste per la sospensione della sentenza di primo grado.

 

Nel processo tributario l’azione cautelare può proporsi solo nel corso della causa in via incidentale e, pertanto, in funzione di essa; non è possibile nel sistema processuale tributario una tutela cautelare preventiva avverso gli atti. Il citato art. 47 disciplina l’istituto cautelare della sospensione dell’atto impugnato dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, consentendo al ricorrente la facoltà, se dall’atto impugnato possa derivargli un danno grave ed irreparabile, di chiedere alla competente Commissione provinciale la sospensione dell’atto impugnato, mediante proposizione di una specifica istanza.: quest’ultima può essere inserita nel ricorso introduttivo o presentata separatamente. Il successivo art. 49 prevede che alle impugnazioni delle commissioni tributarie si applicano le norme del codice di procedura civile, escluso l’art. 337 c.p.c. recante disposizioni di sospensione dell’esecuzione e dei processi.

Il legislatore ha indicato nel citato art. 47 le condizioni che devono ricorrere affinché la Commissione tributaria provinciale possa emettere il provvedimento di sospensione, individuandoli nel fumus boni juris e nel periculum in mora. Il primo è da intendere come la ragionevole ammissibilità o fondatezza apparente del ricorso ricavabile da una cognizione sommaria delle censure. Il periculum in mora è il fondato timore che nelle more del processo il contribuente possa subire un ulteriore e diverso danno connotato dai caratteri della gravità e irreperibilità (cd. danno indiretto). Su tali condizioni necessarie per il conseguimento della sospensione dell’atto impugnato, l’amministrazione finanziaria ha chiarito cheil ricorso deve apparire ammissibile e fondato (fumus boni juris) e che l’esecuzione del provvedimento può essere sospesa solo nel caso provocasse concretamente un danno grave e non più riparabile anche in presenza di una decisione favorevole al ricorrente. Il procedimento cautelare si conclude con ordinanza motivata non impugnabile, che deve essere comunicata alle parti ex art. 16, comma 1, e quindi al ricorrente, all’ufficio finanziario, all’ente locale o al concessionario2. La sospensione può anche essere parziale e subordinata alla prestazione di idonea garanzia mediante cauzione o fideiussione bancaria o assicurativa. Il rigetto della domanda principale fa cessare gli effetti del provvedimento cautelare già concesso.

Il concetto di danno grave ed irreparabile si ricava dal comma 1, dell’articolo 47, e si caratterizza come un danno di natura patrimoniale, la cui sussistenza o meno dovrà essere valutata tenendo conto delle condizioni economiche del contribuente. Sostanzialmente la richiesta dell’Amministrazione di una somma oggettivamente rilevante potrebbe di fatto non configurare il presupposto del danno grave ed irreparabile, ove fosse richiesta nei confronti di una grossa società. Diversamente se la richiesta di una somma modesta fosse inoltrata nei confronti di un contribuente che si trovi in modeste condizioni economiche e patrimoniali, potrebbe integrare il presupposto della gravità del danno. Per quanto attiene la irreparabilità del danno, atteso il requisito della patrimonialità dell’atto di cui si chiede la sospensione, la riparabilità del danno è sempre reintegrabile per equivalenza attesa la fungibilità del denaro.

 

Evoluzione della giurisprudenza

Si segnala inizialmente un pronunciamento della Suprema Corte (sent. 13 ottobre 2011, n. 21121) contrario alla concessione della provvisoria sospensione dell’esecutività della sentenza di appello tributaria. Infatti, si legge nelle motivazione che “ La richiesta non può essere accolta, posto che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, nel processo tributario è esclusa ogni possibilità di tutela cautelare nei confronti dell’efficacia esecutiva della pronuncia di secondo grado, secondo quanto stabilito nel D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 49 e 68, senza che ciò determini un’ingiustificata lesione del diritto didifesa, in quanto la garanzia costituzionale della tutela cautelare deveritenersi doverosa, anche alla luce della sentenza n. 165 del 2000 della Corte costituzionale, solo fino al momento in cui non intervenga una pronuncia di merito che accolga, con efficacia esecutiva, la domanda, rendendo superflua l’adozione di ulteriori misure cautelari, o al contrario la respinga, negando in tal modo a cognizione piena la sussistenza del diritto ed il presupposto stesso dell’inibitoria (cfr. Cass. n. 7815/2010).

Il difforme orientamento espresso dalla Suprema Corte ha reso necessario un intervento chiarificatore al riguardo dei giudici delle leggi.

Con la sentenza n. 165 del 2000, il giudice delle leggi ha ritenuto che la scelta di non estendere la tutela cautelare, nel giudizio tributario, ai gradi successivi al primo appare, anche con riferimento all’art. 3 Cost., legittimo esercizio di discrezionalità legislativa e si sottrae alla censura di incostituzionalità. Tali conclusioni sono state poi ribadite con le ordinanze 19 giugno 2000, n. 217, 27 luglio 2001, n. 325 ed infine con l’ordinanza n. 5 aprile 2007, n. 119.

In un altro pronunciamento la Corte Costituzionale, sempre sul problema della ritenuta inapplicabilità dell’art. 373 C.p.c. al processo tributario, ha dichiarato inammissibile la questione per diversi motivi, primo dei quali per non aver il rimettente esperito alcun tentativo di interpretare la disposizione censurata nel senso che essa consenta l’applicazione al processo tributario della sospensione cautelare prevista dall’art. 373 C.p.c., conseguente insussistenza del contrasto con gli evocati parametri costituzionali3.

Occorre evidenziare che sulla questione in esame la stessa Corte Costituzionale in una successiva ordinanza (5 luglio 2010 n. 242), ha ritenuto inammissibile la questione di legittimità in ordine alla denunciata lesione del diritto di difesa, dei principi di ragionevolezza, di riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali imposte e del giusto processo, nonche’ l’asserita violazione della garanzia della tutela giurisdizionale avverso gli atti della pubblica amministrazione, emergendo l’insussistenza del fumus boni iuris e difetto di prova del periculum in mora nel giudizio a quo.

Recentemente la stessa Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 49, c. 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992 (il quale prevede che alle sentenze di appello si applicano le disposizioni civilistiche fatto salvo l’art. 337 C.p.c. in tema di sospensione dell’esecuzione della sentenza e dei processi) in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 113 Cost.. L’esecuzione della sentenza della Commissione tributaria regionale può essere sospesa qualora sia presentata istanza di parte e se dall’esecuzione possa derivare un danno grave e irreperabile, anche nel caso in cui sia stato già proposto ricorso per cassazione dei processi (cfr. sent. 24 aprile 2012, n. 109). La Corte, uniformandosi a precedenti sentenze dei giudici di legittimità4, ha ritenuto che l’art. 337 è costituito da una regola (“L’esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell’impugnazione di essa”) e da un’eccezione alla stessa regola (“salve le disposizioni dell’art. 373 Cpc”) ed anche l’art. 373 è formato a sua volta da una regola (“Il ricorso per cassazione non sospende l’esecuzione della sentenza”) e da una eccezione (“… Il giudice può, su istanza di parte e qualora dall’esecuzione derivi un danno grave e irreparabile, disporre che l’esecuzione sia sospesa”). L’inapplicabilità al processo tributario dell’art. 337 non comporta necessariamente l’inapplicabilità al processo anche delle suddette regole ed eccezioni, e, quindi, non esclude di per sé la sospendibilità dell’esecuzione della sentenza di appello impugnata per cassazione.

I giudici di legittimità, considerata l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale, hanno ritenuto che l’art. 373 C.p.c. è una disposizione specifica per il ricorso per cassazione, rispetto alla quale, per quanto attiene il processo tributario, occorre esaminare il contenuto dell’art. 62 del D.lgs. n. 6345/92 il quale stabilisce che al ricorso per cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal C.p.c. in quanto compatibili con quelle del presente decreto. Quanto stabilito dall’art. 373, c. 1, C.p.c. costituisce una eccezione alla regola generale (stabilita dal primo periodo dello stesso comma) ed è una eccezione propria del ricorso per cassazione, come tale applicabile anche per ciò che riguarda il ricorso per cassazione avverso una sentenza delle Commissioni tributarie regionali, atteso che non è prevista alcuna diversa disciplina per il ricorso per cassazione.

La giurisprudenza delle Commissioni tributarie ritiene che la Commissione tributaria regionale può disporre la sospensione in tutto o in parte dell’efficacia della sentenza di primo grado se emergono gravi e fondati motivi per una possibile insolvenza di una delle parti.

In presenza di un danno grave ed irreparabile per il contribuente, il giudice di appello sospende l’esecuzione della sentenza impugnata, in applicazione del principio di diritto secondo cui anche in materia tributaria è ammessa la tutela cautelare nei gradi successivi al primo.

I giudici tributari, nel fare proprie le motivazioni addotte nella sentenza n. 217/2010 della Corte Costituzionale, hanno rilevato che la disposizione contenuta nell’art. 337 C.p.c., inapplicabile al processo tributario in virtù di quanto disposto dall’art. 49 D. lgs n. 546/1992, è formato da una regola (“L’esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell’impugnazione”) e da una eccezione a detta regola (“salve le disposizioni degli art. 373…”), così come l’art. 373 C.p.c.; l’inapplicabilità della medesima regola contenuta negli artt. 337 e 373 non esclude di fatto la sospendibilità dell’esecuzione della sentenza di appello impugnata per cassazione. Tra le norme fatte salve dagli artt. 337 e 373 vi è l’art. 283 C.p.c. secondo cui il giudice dell’appello, su istanza di parte proposta con l’impugnazione principale o incidentale, ove sussistono gravi e fondati motivi in relazione alla possibilità di insolvenza delle parti, sospende in tutto o in parte l’efficacia esecutiva o l’esecuzione della sentenza impugnata, con o senza cauzione. Nel caso di specie i giudici tributari, dopo aver ritenuto attendibile quanto eccepito dal ricorrente sul proprio stato di insolvenza, suffragato anche dalla presentazione di bilanci attestanti perdite d’esercizio e documentazione da cui si desume il fallimento di un proprio debitore nonché una consistente situazione debitoria verso istituti di credito, hanno ritenuto che ci fossero gravi e fondati motivi tali da giustificare la sospensione della sentenza di primo grado (CTR Milano, sent. 20 giugno 2011, n. 9/18/2011 del 20 giugno 2011).

La CTR di Roma (ord., 26 gennaio 2012, n. 7/1/2012) ha ritenuto che l’art. 373 Cpc è compatibile con l’art. 49 del d lgs n. 546/92 in quanto sancisce l’inapplicabilità al processo tributario della regola che attribuisce efficacia alle sentenze civili ma non l’operatività delle disposizioni sulla sospensione, da qui la possibilità di sospendere l’esecuzione della sentenza della CTR, impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione nel caso sia presente il requisito della gravità del danno5. Precedenti pronunciamenti di merito avevano ritenuto che per la proposizione dell’istanza cautelare non esiste alcun specifico divieto nell’ordinamento tributario, trovando la sua legittimazione non tanto nell’art. 47 del D.lgs. n. 546/92 che lo prevede solo dinanzi alla Commissione di primo grado6, ma nell’art. 61 che, “in quanto norma di rinvio, implicitamente e logicamente è riferibile alla commissione regionale e alla pubblicazione della sentenza di appello” (CTR Puglia, 2 aprile 2003,n.8).

 

Il caso

Nella fattispecie sottoposta al vaglio della sezione tributaria della Suprema Corte, la società ricorrente ha impugnato con distinti ricorsi tre avvisi di accertamento con cui l’ufficio finanziario aveva effettuati dei recuperi di imposta ai fini Iva e delle imposte dirette. La CTR accoglieva l’appello dell’ufficio e rigettava l’appello incidentale. Successivamente la stessa CTR, su istanza di parte, adottava un provvedimento di sospensione ex art. 373 C.p.c. della predetta sentenza. Avverso detto provvedimento l’ufficio ha proposto ricorso per cassazione eccependo l’inapplicabilità nel processo tributario delle norme contenute nell’art. 373 C.p.c..

La Suprema Corte ha ritenuto preliminarmente che per dirimere la questione sollevata è utile rinviare a quanto stabilito dalla Corte Costituzionale la quale in diversi pronunciamenti ha stabilito che la garanzia costituzionale della tutela cautelare debba ritenersi imposta solo fino al momento in cui non intervenga, nel processo, una pronuncia di merito che accolga la domanda, risultando superflua l’adozione di ulteriori misure cautelari. Da qui emerge che la previsione di mezzi di tutela cautelare nelle fasi di giudizio successive a detta pronuncia, deve ritenersi rimessa alla discrezionalità del legislatore. E’ stato sottolineato che il giudice delle leggi ha affermato che la scelta di non estendere la tutela cautelare, nel processo tributario, ai gradi di giudizio successivi al primo appare come legittimo esercizio di discrezionalità legislativa, sottraendosi alla censura di incostituzionalità (Cost., sent. n. 165 del 2000). In un successivo e più recente pronunciamento la stessa Corte costituzionale (sent. 17 giugno 2010, n. 217), nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità, ha ritenuto che il primo comma dell’art. 49 non costituisce ostacolo normativo ai fini dell’applicazione al processo tributario dell’inibitoria cautelare di cui all’art. 373 C.p.c..

La disposizione contenuta nel citato art. 373 è norma specifica per il ricorso per cassazione e va accertato se la stessa sia compatibile con le norme del decreto n. 546 del 1992, in particolare con l’art. 49. I giudici delle leggi hanno affermato che l’art. 373, c. 1, per. 2, C.p.c., è una eccezione alla regola generale ed è una eccezione propria del ricorso per cassazione, come tale applicabile anche per quanto attiene al ricorso per cassazione avverso una sentenza delle Commissioni tributarie regionali. In tal modo si ristabilisce la garanzia costituzionale della tutela cautelare, equiparandola a quella assicurata al ricorso per cassazione avverso qualsiasi altra sentenza.

Alla luce di quanto sopra considerato, la Suprema Corte ha enunciato il principio di diritto in base al quale “Al ricorso per cassazione avverso una sentenza delle Commissioni tributarie regionali si applica la disposizione di cui all’art. 373, comma 1, secondo periodo secondo cui ‘il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall’esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione’. La natura speciale della materia tributaria nonché l’esigenza che sia garantito il regolare pagamento delle imposte fa derivare una rigorosa valutazione delle condizioni del fumus boni iuris dell’istanza cautelare e del periculum in mora7.

Pertanto secondo i giudici della Suprem corte è legittima la sospensione delle sentenze depositate dalla Commissione tributaria regionale se dall’esecuzione delle stesse possa derivare un danno grave ed irreparabile.

In considerazione di quanto contenuto nella sentenza, è da ritenere che l’istituto della sospensione cautelare, ammesso da tutta la giurisprudenza, non è più da considerare in termini restrittivi e non si comprende come il legislatore non intervenga con una disposizione ad hoc che modifichi la vigente normativa introducendo detto istituto anche in fase di impugnazione.

 

12 ottobre 2012

Enzo Di Giacomo

1 E. Di Giacomo – A. Buscema, Il processo tributario, Giuffrè, 2004, pagg. 356 e ss..

2 Circ. Min. 23 aprile 1996, n. 98/E.

3 Corte Cost. 17 giugno 2010, n. 217.

4 Cass. n. 2845/2012.

5 Contra CTR Milano, Ord. 29 giugno 2011, n. 10/18/2011. I giudici tributari non hanno ritenuto di accogliere la sospensione presentata dalla società ricorrente posta in liquidazione in quanto la stessa istanza non invocava la sospensione della esecutorietà della sentenzadi primo grado, ma era lo stesso atto impugnato, come eccepito dall’ufficio, ad essere dotatodi efficacia esecutiva, nontrovando applicazione al caso in esame le motivazioni contenute nella richiamata sent. n. 217/2010 della Consulta.

Cfr. CTR Lazio, 24 novembre 2009, n. 193; CTR Toscana 19 marzo 1998.

6 G. Pastore – A. De Rinaldis, Il Processo Tributario – Flussi processuali, pag.59, Giuffrè. La legge non indica espressamente un elenco di atti sospendibili. E’ possibile ritenere che lo siano tutti gli impugnabili dinanzi alla commissione tributaria provinciale. Al riguardo esistono due teorie, una estensiva secondo cui gli atti sono tutti suscettibili di sospensione siano essi impositivi o della riscossione o atti negativi; un’altra restrittiva secondo cui sono sospendibili solo gli atti appartenenti alla fase della riscossione o a quella esecutiva.

7 Circ. Min. 31 luglio 2001, n. 73/E. Circa l’applicabilità dell’art. 373 C.p.c. al processo tributario l’amministrazione finanziaria si è dichiarata contraria, avallando il contenuto della sentenza n. 165/2000 della Corte Costituzionale. In particolare, l’amministrazione ha fornito istruzioni operative agli uffici chiarendo che, in caso di giudizio, gli stessi dovranno eccepire l’inammissibilità del procedimento cautelare, e, in via del tutto subordinata, nel merito in ordine al fumus boni iuris ed al periculum in mora.