Processo troppo lungo: rimborso salvo

anche in assenza di apposita normativa, il contribuente può ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale quando la causa dinanzi al giudice tributario avente ad oggetto un rimborso d’imposta si protrae per troppo tempo

Il contribuente può ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale quando la causa dinanzi al giudice tributario avente ad oggetto un rimborso d’imposta si protrae per troppo tempo.

La Corte di cassazione, con la sentenza n. 16212 del 24 settembre 2012, ha affermato che non spetta alcuna equa riparazione in caso di lite sull’accertamento mentre è ammesso un risarcimento del rimborso di imposta se il processo è durata troppo tempo.

 

Il principio di un termine ragionevole di durata dei processi

E’ contenuto nell’art. 3 della legge 24 marzo 2001, n. 89 (legge Pinto), e non trova applicazione nel processo tributario, eccezion fatta per le liti di natura civilistica che non attengono, quindi, all’ammontare del tributo ma solo ad aspetti consequenziali o di natura penale. Pertanto, l’equa riparazione contenuta nella legge nazionale per la violazione dell’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo non è riferibile all’eccessiva durata delle liti che involgono la potestà impositiva dello Stato.

La legge n. 89/2001 è stata prevista dal legislatore al fine di introdurre un rimedio di natura giurisdizionale alle violazioni che si verificano per la durata dei processi. In particolare, l’art. 2, c. 1, della legge Pinto stabilisce che il soggetto che ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto della violazione della Convenzione ha diritto a una equa riparazione nel caso di mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’articolo 6, comma 1, della stessa Convenzione. Il successivo art. 3, c. 3, prevede la possibilità di proporre ricorso per la richiesta di equa riparazione nei confronti del ministero dell’Economia e delle Finanze quando si tratti di procedimenti tributari.

A quanto sopra esposto, deve aggiungersi che l’art. 6, della citata Convenzione sancisce che il soggetto, per avere tutela da parte della norme convenzionali, deve essere parte di un giudizio civile o penale, e che la Corte di giustizia con sede a Strasburgo ha sempre inteso tale norma nel senso di escludere dalla sfera di applicazione della Convenzione le controversie relative a obbligazioni, anche se di natura patrimoniale, che risultino da una legislazione fiscale.

 

Il caso

Nella fattispecie in esame, che verteva su una controversia originata dall’impugnazione di un accertamento durata oltre sette anni, l’amministrazione finanziaria ha proposto ricorso per cassazione impugnando il decreto della Corte di Appello che su ricorso della contribuente, volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ex art. 2 legge n. 89/2001, aveva condannato lo stessa amministrazione al pagamento di una somma a titolo di equa riparazione.

La SC, fornendo un’apertura al tema in esame, ha ritenuto preliminarmente che al fine di individuare l’area di applicazione della disciplina del diritto all’equa riparazione per mancato rispetto del termine ragionevole del processo, occorre considerare le indicazioni che emergono dalla giurisprudenza della Corte europea, alle quali il giudice nazionale deve conformarsi, garantendo in tale modo i diritti e i doveri di natura civile di ogni persona, e non le obbligazioni di natura pubblicistica, laddove non sia estensibile il campo di applicazione dell’art. 6 della Convenzione alle liti tra il cittadino e il fisco. Fermo restando quanto precede, i giudici di legittimità hanno ritenuto, tuttavia, che “non può affermarsi in assoluto che tutte le controversie portate all’attenzione del giudice tributario rimangono estranee alla possibile applicazione della tutela di cui alla legge n. 89 del 2001, in quanto potrebbero rientrarvi le richieste di rimborso di somme, rifluenti nell’area delle obbligazioni privatistiche, anche le pretese tributarie dell’amministrazione qualora siano connesse a sanzioni, che in questo caso sono suscettibili di rientrare nella seconda parte del par. 1 dell’art. 6 della Convenzione” (cfr. Cass n. 13657 del 2007 e n. 2371 del 2001).

La Suprema Corte, pur ribadendo che nel caso specifico il giudice tributario è stato adito per contestare un avviso di accertamento concernente la rettifica del valore nominale di un immobile assoggettato ad Invim, e che pertanto il processo tributario è estraneo all’ambito di applicazione della legge n. 89/2001, ha affermato che le richieste di rimborso possono rientrare nell’ambito di applicazione della predetta legge n. 89 se la controversia si potrae per troppo tempo. E’ appena il caso di ricordare che la giurisprudenza ha ripetuto a più riprese la chiusura delle controversie tributarie ad ogni forma di indennizzo in caso di irragionevole durata del processo. Non da ultima la sentenza n. 24614 del 3 dicembre 2010, in cui la Suprema Corte ha ribadito che la Legge Pinto non può essere automaticamente estesa giudizio fiscale, atteso che l’equa riparazione non può essere collegata all’eccessiva durata dei processi tributari, in quanto “la materia fiscale fa parte ancora del nucleo duro delle prerogative della potestà pubblica“ (cfr. Cass 8 novembre 2005, n. 21653).

 

4 ottobre 2012

Enzo Di Giacomo