Il libero convincimento del giudice nel processo tributario

i giudici di Cassazione tornano a spiegare il valore probatorio delle dichiarazioni testimoniali raccolte in sede di procedura di accertamento

Con sentenza n. 9108 del 6 giugno 2012 (ud. 14 marzo 2012) la Suprema Corte di Cassazione si è occupata, fra l’altro, del carattere delle dichiarazioni di terzi.

 

La sentenza

Il libero convincimento del giudice

Sul punto specifico, in apertura, la sentenza afferma che “nel processo tributario, gli elementi indiziari, concorrono a formare il convincimento del giudice, se confortati da altri elementi di prova. Ove rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c., essi danno luogo a presunzioni semplici (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54), generalmente ammissibili nel contenzioso tributario, nonostante il divieto di prova testimoniale (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 20.4.2007 n. 9402 – con riferimento alla dichiarazione del terzo acquisita dalla Guardia di finanza nel corso di un’ispezione il cui verbale era stato debitamente notificato al contribuente -)”.

Le presunzioni semplici costituiscono “prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione (cfr. Corte Cass. 3′ sez. 11.5.2007 n. 10847; id. 3′ sez. 13.11.2009 n. 24028; id. 2′ sez. 27.10.2010 n. 21961), atteso che, nel nostro ordinamento, fondato sul principio del libero convincimento del giudice, non esiste una gerarchia di efficacia delle prove, per cui i risultati di talune di esse debbano necessariamente prevalere nei confronti di altri dati probatori, essendo rimessa la valutazione delle prove al prudente apprezzamento del giudice. Da ciò consegue che il convincimento dei giudice sulla verità di un fatto può basarsi anche su una sola presunzione, eventualmente in contrasto con altre prove acquisite, se da lui ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli altri elementi di giudizio ad esso contrari, alla sola condizione che fornisca del convincimento così attinto una giustificazione adeguata e logicamente non contraddittoria (cfr. Corte Cass. 1′ sez.26.3.2003 n. 4472; id. 3′ sez. 18.4.2007 n. 9245; id. 3′ sez. 11.9.2007 n. 19088; id. 1′ sez. 1.8.2007 n. 16993; id. 5′ sez. 8.4.2009 n. 8484), con la ulteriore precisazione che non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, cioè che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza (cfr. Corte Cass. 1′ sez. 1.8.2007 n. 16993; id. 5′ sez. 8.4.2009 n. 8484)”.

Per la Corte, la critica mossa alla sentenza – pur se astrattamente fondata – è inidonea ad inficiare la motivazione che sostiene la decisione, atteso che la stessa CTR laziale ha ritenuto con giudizio in fatto che l’Amministrazione finanziaria non aveva indicato “alcun elemento valido che giustifichi la sua pretesa tributaria” essendosi limitata a richiamare le dichiarazioni rese dai dipendenti della società, che ex se integravano semplici indizi (privi dei requisiti ex art. 2729 c.c.); e che la società aveva, di contro, fornito prova dei fatti attestanti la effettiva esecuzione delle operazioni fatturate.

Ne consegue per la Corte “che le erronee affermazioni giuridiche, formulate in astratto dalla CTR, in ordine ai requisiti che debbono assistere la prova presuntiva semplice, possono comportare una mera correzione della motivazione, ma non intaccano la valutazione probatoria, compiuta in concreto, che fonda il ‘decisum’“.

 

Il valore delle dichiarazioni

In ordine alla contestata falsa applicazione dell’art.7, c. 4, del D.Lgs. n. 546 del 1992, atteso che nel processo tributario, come peraltro affermato anche dal Giudice delle Leggi nella sentenza n. 18/2000 il divieto della prova testimoniale “non postula la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai terzi che, rivestendo il carattere di ‘elementi indiziari’, non possono, pertanto, ritenersi illegittimamente acquisite”.

I Giudici d’appello, infatti, non hanno affatto espunto dalla valutazione del materiale probatorio le dichiarazioni rese dai dipendenti della società e trascritte nel PVC, ma hanno poi valutato tali dichiarazioni nel merito, statuendo che l’Amministrazione aveva offerto a supporto della pretesa tributaria soltanto dette dichiarazioni, e che non poteva pertanto ritenersi assolto l’onere probatorio con l’allegazione di meri elementi indiziari, con ciò facendo corretta applicazione della norma processuale, avuto riguardo ai principi enunciati in materia dalla Corte, secondo cui nel processo tributario le dichiarazioni rese da terzi agli organi della Amministrazione finanziaria (o della Polizia giudiziaria) possono trovare ingresso a carico del contribuente, fermo il divieto di ammissione della prova testimoniale posto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, “con il valore probatorio proprio degli elementi indiziali, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione” La stessa Corte di Cassazione, con sentenza n.4269/2002 ha esteso tale potere anche al contribuente in virtù del principio di parità delle armi tra le parti processuali e della effettività del diritto di difesa ex art. 111 Costituzione (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 15.11.2000 n. 14774; id. 23.10.2001 n. 13005; id 25.01.2002 n. 903; id. 08.08.2003 n. 11994; id. 20.04.2007 n. 9402; id. 17.2.2010 n. 3724 – che estende detta facoltà anche alla produzione di “atti notori”, aventi valore probatorio indiziario “quali documenti facenti fede solo riguardo alla data, all’esistenza ed alla provenienza delle dichiarazioni in essi scritte, ma non quanto all’attendibilità delle dichiarazioni medesime, da ritenersi soggette, allo stesso modo di qualsiasi altra scrittura privata, al vaglio del giudicante che deve tener conto di ogni elemento da cui possa desumersi la maggiore o minore veridicità delle stesse – vedi Corte cost. sent. 21.1.2000 n. 18)”.

 

29 giugno 2012

Francesco Buetto