Lotta all’evasione: tra spot mediatici e accordi internazionali forse qualcosa si muove

sembra che qualcosa, a livello profondo, stia cambiando nella società italiana riguardo alla consapevolezza dei danni pesantissimi causati dall’enormità della evasione fiscale nel nostro Paese e dalla necessità di strumenti più adeguati al corretto contrasto all’evasione fiscale (Arnaldo Vitangeli – La finanza sul web)

Anche se abbiamo (per ora) scampato il pericolo, essere stati così vicini a fare la fine della Grecia pare aver cambiato la percezione di molti italiani sui doveri che ogni cittadino è obbligato a rispettare a vantaggio della comunità intera, primo fra tutti pagare le tasse.

In tempi di sacrifici, tagli e austerity che colpiscono prevalentemente le classi medio/basse infatti, la presenza di un considerevole numero di individui che mantengono uno stile di vita altissimo risultando per il fisco avere redditi molto bassi o addirittura inesistenti è giudicata ormai intollerabile.

Probabilmente per questo, oltre che per le accuse di far pagare per intero il costo del risanamento dei conti pubblici a lavoratori dipendenti e pensionati, il governo Monti ha intrapreso quella che sembra essere la prima vera campagna a 360 gradi contro l’evasione fiscale.

Anche Tremonti, a dire la verità, si era impegnato per il recupero del gettito fiscale, ma questa battaglia aveva, nelle file del partito dell’allora superministro dell’economia, molti tiepidi sostenitori e molti aperti avversari e non mirava a intervenire direttamente sulla cultura degli italiani a riguardo, (contraddittorie apparivano in questo senso alcune esternazioni del Presidente del Consiglio, che sembrava comprendere le “ragioni” degli evasori).

Nonostante questo, e nonostante prima della seconda metà del 2011, quella che ora appare come una vera e propria allergia dell’opinione pubblica nei confronti di furbi e parassiti non si fosse ancora manifestata in tutta la sua ampiezza, una certa inversione di tendenza, pur tra molte ambiguità, si era registrata già durante il governo Berlusconi.

Ora sembra che il nuovo governo sia fermamente intenzionato a proseguire su questa strada con una determinazione ben superiore a quella di quanti lo hanno preceduto, sia di centrodestra che di centrosinistra.

Si è partiti con il famoso “blitz” a Cortina (replicato poi a Sanremo durante il Festival della canzone italiana), che molti hanno criticato, sostenendo che si trattasse sostanzialmente di uno spot pubblicitario, ma che, proprio per questo, è stato giudicato dall’opinione pubblica come il segnale di un cambiamento profondo.

Poi sono arrivate notizie su “Serpico”, il super computer in grado di processare 22 mila informazioni al secondo per mettere a confronto dichiarazioni dei redditi, polizze assicurative, informazioni del catasto, del demanio, della motorizzazione e molto altro e stanare così gli evasori fiscali.

Il governo Monti, inoltre, ha recentemente dato vita a una task force contro l’evasione fiscale che raggruppa quattro Agenzie (Entrate, Dogane, Territorio, Demanio), i Monopoli e la Guardia di Finanza, e si riunirà periodicamente per monitorare i risultati raggiunti e rafforzare il coordinamento fra tutte le strutture operative coinvolte.

Infine notizia di questi giorni è quella dell’accordo che l’Italia ha stretto con Stati Uniti, Francia, Germania, Regno Unito e Spagna per la costruzione di una banca dati comune.

Il sistema, che prende il nome di Foreign Account Tax Compliance Act (Fatca), è costituito da un insieme di regole concepite per scoraggiare l’evasione fiscale mediante società offshore e paradisi fiscali.

In pratica si tratta dell’adesione dei 5 paesi europei co-firmatari alle nuove regole americane per la lotta all’evasione fiscale, (regole che, tuttavia, non entreranno in vigore prima del 2013).

Il messaggio che il governo vuole far passare, sia agli evasori che all’opinione pubblica, è chiaro: lo Stato non è più disposto a considerare l’evasione fiscale come un peccato veniale su cui si può chiudere un occhio, o come un problema irrisolvibile e cronico, ma la considera un cancro da estirpare.

Al di là delle ragioni strettamente legate al consenso politico e di immagine (che lasciano supporre che il governo tecnico abbia in qualche modo ambizioni politiche) dovute al cambiamento nella percezione dell’opinione pubblica del fenomeno dell’evasione, ci sono ragioni economiche serissime per considerare la lotta all’economia sommersa come un tassello irrinunciabile per il rilancio della nostra economia.

Nel 2011, secondo i dati raccolti da “Tax research London” il valore dell’economia sommersa nel nostro paese è stato pari a 418 miliardi di euro con un danno per le casse dell’erario che equivale a quasi 181 miliardi, numeri che ci assegnano, ancora una volta, il primo posto in Europa in questa poco onorevole classifica.

E’ facile anche per chi non ha una grande cultura economica capire quanto grandi sarebbero i vantaggi se si riuscisse a diminuire drasticamente l’enorme ammontare di denaro non versato al fisco.

Il primo e più ovvio vantaggio sarebbe quello di poter abbassare la pressione fiscale, tra le più alte al mondo, che penalizza drammaticamente le nostre aziende.

Coma auspicato da Emma Marcegaglia, Presidente di Confindustria, i soldi recuperati nella lotta all’evasione dovrebbero essere utilizzati in primis per abbassare le tasse su imprese e lavoro dipendente, in modo da dare una spinta a investimenti, sviluppo e occupazione.

Lo scopo è quello di innescare un circolo virtuoso per cui, attraverso condizioni fiscali più favorevoli per le aziende, si generi maggior reddito destinato all’impresa, una maggiore occupazione e quindi una crescita del PIL, che permetterebbe anche, senza aumentare la pressione fiscale, di incrementare le entrate complessive dello stato, oltre che di sostenere la domanda aggregata, attraverso una crescita dei salari e della percentuale di popolazione attiva.

La presenza di entrate in surplus permetterebbe, mantenendo ferma la linea di rigore nei confronti di sprechi e costi inutili, di intervenire su tre fronti: sviluppo di infrastrutture strategiche, (settore in cui in Italia siamo di fatto fermi da decenni) implementazione di politiche di supporto del reddito (necessarie in un paese come il nostro dove il rapporto tra salari e pensioni e costo della vita è tra i più svantaggiosi d’Europa) e investimenti in innovazione e sviluppo, imprescindibili per garantire la competitività delle nostre imprese, e miglioramento dei conti pubblici.

Il miglioramento del rapporto debito pubblico/pil infatti, andrebbe considerato per quello che è realmente, ossia appunto un rapporto con un numeratore e un denominatore.

Per intervenire su questo rapporto dunque si hanno due possibilità, intervenire sul numeratore, e quindi diminuire l’ammontare complessivo del debito, o intervenire sul denominatore, e dunque aumentare l’ammontare complessivo del PIL.

Ma le due soluzioni non sono equivalenti, né dal punto di vista economico né dal punto di vista sociale.

La critica maggiore che si può fare al Governo Monti (al di là di quelle sull’equità dei sacrifici richiesti ai cittadini in un momento delicato) è proprio quella di concentrarsi prevalentemente sui tagli e sul rigore per riportare ordine nei conti pubblici.

Il rischio, in assenza di una forte politica di supporto allo sviluppo, è quello che a una diminuzione del Debito corrisponda un’equivalente diminuzione del PIL, con il risultato di non migliorare il rapporto ma di indebolire l’economia.

Tuttavia una vera politica di sviluppo necessita di risorse finanziarie che, al momento, ci dicono non essere disponibili, ma certamente una parte non trascurabili di quelle risorse può essere trovata nell’immenso serbatoio dell’evasione fiscale.

Va da sé che una vera lotta all’evasione fiscale non può che avere come obbiettivo principale i grandi evasori, (e deve quindi concentrarsi sulle incongruenze tra redditi dichiarati e consumi), oltre che le società con sedi nei paradisi fiscali, che si potrebbero scoraggiare con una semplice legge, che severi paletti e limiti all’operatività dei soggetti domiciliati nei suddetti “paradisi”.

Attaccare invece i negozianti e i piccolissimi imprenditori, che lottano contro la crisi che attanaglia l’economia mondiale sarebbe un errore imperdonabile, e non sortirebbe affatto i benefici economici che abbiamo elencato.

 

12 marzo 2012

Arnaldo Vitangeli

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