Indagini finanziarie: il caso del contribuente in contabilità semplificata

come può un contribuente in contabilità semplificata vincere le presunzioni in caso di accertamento sui movimenti di conto corrente bancario

La sentenza n. 78/10, emessa dalla CTP di Padova, concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate in seguito alle indagini finanziarie effettuate sui conti correnti, con l’applicazione delle presunzioni di cui all’art. 32 DPR 600/1973 e 51 DPR 633/1972, si rivela di estremo intesse sotto svariati profili, anche alla luce del più recente orientamento della Cassazione, in fattispecie di indagini bancarie, particolarmente severo nei confronti dei contribuenti.

 

Anzitutto per quanto riguarda la metodologia dell’accertamento e dell’indagine bancaria, in quanto la CTP di Padova sconfessa la tesi dell’amministrazione finanziaria secondo cui sarebbe in ogni caso legittima, anche in fattispecie di contabilità semplificata, l’applicazione della presunzione prelievi = compensi non dichiarati in relazione alle poste di conto corrente di cui il contribuente non è in grado di produrre prova a contrario (ossia di giustificare documentalmente il prelievo).

 

La difesa del contribuente, recependo un condivisibile orientamento dottrinario, è partita con l’esegesi del dato letterale della norma – art. 32 c. 1 p. 2 DPR n. 600/1973 che, relativamente ai prelievi, recita testualmente “alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi e compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni”.

Si osservava infatti, che proprio la presenza dell’inciso “e semprechè non risultino dalle scritture contabili” stava a significare che la norma si doveva necessariamente applicare ai soggetti in contabilità ordinaria.

Diversamente l’inciso non avrebbe avuto alcun senso e quindi non era corretto pretendere di applicare la norma, come viceversa sosteneva l’Agenzia delle Entrate, ad un soggetto in regime di contabilità semplificata, proprio perché non poteva essere in possesso di tali scritture contabili.

 

Difatti, in applicazione del principio generale di diritto condensato nel brocardo nemo ad impossibilia tenetur, è evidente che al contribuente in regime di contabilità semplificata, il quale non è obbligato in virtù di questo regime alla registrazione dei movimenti finanziari, non può essere imposto in sede di accertamento bancario di ricordarsi, a distanza di anni, e di ricostruire minuziosamente tutta la movimentazione dei conti correnti che lo riguardano.

 

Il primo approdo della sentenza è quindi la sanzione del riconoscimento dell’illegittimità della presunzione prelievi = compensi non dichiarati per quanto riguarda i conti correnti oggetto dell’indagine finanziaria.

 

Il secondo aspetto di estrema rilevanza messo in luce dalla sentenza concerne il regime probatorio e la ripartizione dell’onere della prova. Assodata la natura juris tantum delle presunzioni di cui sopra, il contribuente per vincere la presunzione sfavorevole opposta dall’Agenzia delle Entrate ben può produrre documentazione anche proveniente da terzi, idonea a giustificare i prelievi, in aderenza all’insegnamento della Cassazione secondo cui “in forza del principio della parità delle parti, ben può il contribuente produrre in giudizio dichiarazioni di terzi, relative, nel caso di specie, alla giustificazione di movimentazioni bancarie” (Cass. Civ. sez. Trib. n. 9958/2008).

 

Nel caso odierno il ricorrente ha allegato i mastrini e partitari delle ditte fornitrici, grazie ai quali è stato possibile indicare i beneficiari di gran parte delle somme prelevate dai conti correnti oggetto dell’indagine finanziaria.

 

Accogliendo la tesi difensiva della contribuente, la CTP di Padova ha rigettato l’estremo tentativo dell’Agenzia delle Entrate che, di fronte alle produzioni documentali avversarie, tentava di addossare alla ricorrente un onere della prova impossibile, richiedendo la produzione in giudizio delle copie degli assegni tramite i quali si sono effettuati i pagamenti ai fornitori.

 

A questo punto della dialettica processuale infatti, l’onere della prova si sposta interamente sull’Agenzia delle Entrate, in linea a quanto già stabilito in giurisprudenza: “A norma dell’art. 32 DPR 29 settembre 1973 n. 600, la presunzione prelievi = compensi viene vinta dal contribuente mediante la mera indicazione delle generalità del beneficiario della somma di denaro prelevata e, ove l’ufficio contesti l’effettività della dazione di danaro in favore dell’accipiens indicato dal contribuente, è tenuto a provarne, anche attraverso presunzioni, l’insussistenza” (CPT di Bologna n. 158/2007), ma la resistente nulla ha prodotto a contrario.

 

Degna di nota è poi la particolare severità con cui la CPT di Padova sanziona l’operato dell’Agenzia delle Entrate la cui pretesa esattoriale è risultata temeraria ed ingiustificata: “Nell’atto di costituzione in giudizio l’Agenzia delle Entrate ritiene opportuno illustrare i presupposti che hanno condotto l’Ufficio ad emettere l’atto impugnato […] Tali presupposti sarebbero potuti risultare un utile supporto agli indizi di sottrazione di reddito imponibile costituiti dai movimenti finanziari non giustificati. Ma non essendo stati contestati al contribuente nello stesso avviso di accertamento emesso dall’Agenzia, non risultano ora più utilizzabili”.

 

Si evidenzia infine che, malgrado l’estrema severità verso l’Agenzia delle Entrate, l’ufficio non ha proposto appello e la sentenza è passata in giudicato.

 

5 ottobre 2011

Roberto Molteni